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Anila Hanxhari. Poesie

Creato il 05 ottobre 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi
Anila Hanxhari

Anila Hanxhari

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(c) – Tutte le opere pubblicate online per gentile concessione dell’Autrice Anila Hanxhari. E’ fatto severo divieto di riprodurre in parte o in toto le opere qui presentate con qualsiasi messo informatico, elettronico, meccanico, fotografico e cartaceo, né è possibile rappresentarle in pubblico senza il consenso scritto dell’Autrice.


Quando sono l’amore che si riempie di neve
E amo mentendo ciò che non ho
E do oltre il possibile
Vorrei che mi amassi quando naufrago
E sono la carnefice e la vergine
Come il sangue guadagno maltempo e non cresco
Vorrei che mi amassi quando nessun confine
Trattiene e vende i miei anni
Perché non sono ancora un corpo
Vorrei che mi amassi quando sono sola
E mi rifaccio il cuore con la paura l’ovatta e una rosa
Tu mi vuoi bene perché hai memoria di ciò che conosci
Dio fammi foglia che si dà all’aria
E non può fare male all’altra foglia
Con il tintinnio assopito dell’ospite
Vorrei che mi amassi quando m’imbroglio
Come la ferita e il prurito
Perché se ti manco non invecchi amore
E il corpo non è altro che il ritiro della sete
In cui trascini la bocca
Vorrei che mi amassi quando non ho memoria
M’incurvo come un muro e un granchio
E non nasco ma m’invento
Da un bagaglio di polline e una farfalla
Vorrei che mi amassi quando dormo
In un fiore di gomma sul comodino
Con la polvere sulla bocca
Quando i miei seni tremano come dighe
Con il latte prosciugato nella pelle di daino
Quando invecchio e mi pongo il pianto
Rumoreggio come la cicala
E sono la fodera della durata
Non si lacera l’anima ma lo strappo
Basta un barlume per avere della veduta il rogo
Vorrei che mi amassi quando sono madre
E cedo il figlio nell’età dell’angelo
L’infilascarpe che usa la luce

Vorrei che mi amassi per la vanità
Che non ha specchi ma il resoconto della maschera
Per la mia vita stropicciata senza cane
Mi si chiede come donna di avere pazienza e pathos
Di trovare soluzioni alle albe
Pulire le rive con i capelli
E dire che i disastri hanno strettoie
Mi ripudiano perché non rimbocco coperte
Ma curo le braccia perché abbiano la forza per farlo

2)

Sono vestita di fiori secchi
Mi sta alle calcagna l’età
Capace di rammendare l’eterno
Sul muro di casa
Con la paura del cielo tra gli assopiti
Stento composizioni sul tavolo
Tra i mulini al vento
La terra mi raccoglie
Nei mormorii dei rotocalchi
Intagliata con l’occhio do Omero
Si stempera la corteccia della distanza
E non c’è fioritura che martella l’anima
Dove ringhia la maschera
Che sorseggia colombi dai sassofoni
E la pioggia mi riempie come bottiglia
A gocce
Pagliacci sopraggiunti
Per liberarmi del gambo

Non scarto stelle bruciate solo
Per il gusto capriccio della luce

Per te Albania

Per te ritarda la mia casa
E se sfilacci il seno da un figlio
Chi farà da tappabuchi all’onda
Due pugni tirati con i gabbiani
(anche le case scappano di casa)
Non fa rientro dopo il temporale
Trasloca e mi butta fuori albero
Per dirmi vivi dove puoi
Acqua sull’orlo di un figlio
La mia terra è dov’è la mia casa
Si riconoscono perfino le zanzare
I galli che si svegliano tardi
Noi entriamo l’una nell’altra
Solcando con la neve la grondaia
Disseto perfino quelle mani
Ossibuchi della luce e stagni
Piaghe radunate come agnelli

Non parto è non perché distante
Ma ristretta come maglia e polvere di strada
Un trasloco di colli e vigneti
Muri che suonano a campana
Una preghiera dove entro da arredo
Terra sparsa sopra una barra
Cenere che cammina a piedi
Da donna
Anche se t’imbottiscono di cemento
E ti chiudono lo zip della bocca

I sassolini tra le dita del piede
Sono per fermarmi lo sguardo
E riposarmi le vesti
Per essere nella veduta
Rimanere pur andando

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