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Anima artistica: Big Eyes

Creato il 18 gennaio 2015 da Stefanodg

imagesNon amo recarmi al cinema per vedere una storia vera: raccontare fatti accaduti è molto più semplice che non inventarli di nuovi; narrare di eventi reali con individui esistenti in maniera romanzata è semplicemente un simbolo di mancanza di idee e d’inventiva da parte degli sceneggiatori. Una storia ideata dalla mente è esclusivamente l’arte dello sceneggiatore, solo qui può dare libero spazio alla sua forma d’essere e la sua particolare espressione di veduta universale.

Allora perché sono andato a vedere Big Eyes, dato che si narra la storia vera di una pittrice donna e delle sue debolezze?

Beh, sono un appassionato di Tim Burton, amo alcuni dei suoi prodotti cinematografici come Spiritello Porcello e Big Fish, capolavori assoluti. Sinceramente devo ammettere che finalmente con quest’ultima opera il regista è finalmente ritornato al suo livello, era da tanto che non realizzava un buon film e per il mio grande entusiasmo non è presente il troppo onnipresente Depp, la rovina del regista.

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In Big Eyes ritroviamo finalmente tutti i classici ingredienti del cinema di T.B. dall’ ironia fino al suo modo di riuscire a narrare tutte le vicende dei suoi personaggi emarginati dalla società con le loro debolezze assumendo un tono fiabesco. Quando sento che quest’ultima opera non appartiene al regista di Edward Mani di Forbici io dico: riguardatevi Big Fish e poi i dipinti di Margaret; sono un elemento che è perfetto per il suo stile grottesco.

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Burton delicatamente, con estrema dolcezza e romanticismo, dipinge la tela della vicenda di Margaret Keane, magistralmente interpretata da Amy Adams, attraverso una tonalità di colori chiari – scuri che racchiudono l’essenza, l’anima della pittrice.

In tutte le inquadrature troviamo quei bellissimi grandi occhi malinconici dei dipinti ma anche quelli tristi e affranti di lei, che si ritrova ingabbiata dalle bugie del marito oltre che dal sistema capitalistico americano che rende tutto un mero prodotto temporale.

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Che cos’è l’arte? Per la pittrice qualcosa di personale, ognuno ha il suo modo speciale di leggere il tessuto mondo e nessuno è in grado di appropriarsene interamente. Lei cattura nei suoi ritratti gli occhi, che ingigantiti fuor di misura diventeranno l’oggetto principale del dipinto. Per Margaret gli occhi esprimono l’anima delle persone; è da questi che si emanano le più pure emozioni.

Un dipinto deve emozionare, provocare dei sentimenti in colui che lo guarda, deve trasmettere o meglio trasferire e arricchire il guardante, ed è questo il fenomeno che deve portare all’acquisto.

Walter Keane mostrerà che non è così: tutto ruota intorno alla fortuna e all’esposizione, ovvero di come parliamo, mostriamo l’oggetto allo sguardo del pubblico, se viene esposto bene sarà venduto ma se attiriamo male il cliente questo non comprerà, pur se l’oggetto è il solito. Tutto dipende dal venditore e dalla fortuna.

Un artista non fa fortuna soltanto con il talento ma dal trovarsi

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nel momento giusto al punto giusto, o attirando la curiosità. La fortuna dei bambini dai grandi occhi scaturisce da una lite tra Keane e il proprietario del locale, la notizia farà il giro dei giornali e i curiosi, ovvero una moltitudine di gente, si reca la sera dopo e quelle seguente nel luogo dell’accaduto, per vedere le opere di quest’artista ribelle. Alla fine dei conti dobbiamo imbatterci nella triste realtà: tutto è business, semplice e mero prodotto commerciale, l’arte se non vende non viene mostrata al grande pubblico. Il pittore, deve continuare a dipingere, deve riscaldare il momento, mostrarsi sempre più spesso alla platea; solo così può restare sulla bocca di tutti e per farlo bisogna sempre inventarsi nuovi mezzi commerciali fino a quando un noto critico non stronca l’autore, qui la sua fama inizierà a scemare. L’arte è moda, dura per un periodo, poi esce un altro autore che a sua volta diventerà di moda, togliendo il posto all’altro e così via. Siamo nell’era del dio denaro: tutto è sotto questa legge, se non vendi, bye bye.

Il vero artista è colui che non ha interesse nella ricchezza, ma che vede nel suo lavoro solo una forma di espressione del suo universo

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Avete mai pensato che le donne non compaiono mai in un libro di storia studiata a scuola, come se non avessero mai avuto importanza nella società, escluse due o tre; a mio ricordo non ho mai studiato una poetessa, una pittrice e non conosco neanche una regista femmina, ma perché?

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Siamo negli anni 50-68, in questo periodo si svolge la vicenda di Margaret, madre single, che ha un dono nella pittura e non conosce il mondo. Si innamora di un presunto pittore, Kean, che la sfrutterà impossessandosi dei suoi dipinti, facendoli passare totalmente come opere sue e forse alla fine perde quasi la cognizione che quei dipinti non gli appartengono ma che sono di sua moglie.  In quei tempi le donne non erano molto considerate, basti pensare alla scena in cui va in chiesa e il prete gli dirà di fare tutto ciò che il marito vuole, perché lui è il capo famiglia e sa tutto ciò che è giusto; quindi è possibile che se non fosse intervenuto Walter ( Christoph Waltz) i dipinti non avrebbero avuto mai fortuna, ma sarebbero rimasti rinchiusi in uno scantinato? Si, probabile.

Il regista, attraverso gli incessanti primi piani, mostra attraverso gli occhi, un vero e proprio specchio dell’animo umano:

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Walter Keane: gesticola moltissimo con le mani, che simboleggia che è un abile comunicatore e venditore. Si intuisce che conosce bene il mondo da come parla e che è sicuro di ciò che fa. La sua più grande capacità è truffare, imbrogliare, raccontare storie false e rifalse. Nel profondo è tra i due il più tormentato dal non essere mai riuscito a divenire un bravo artista.

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Margaret: timida, insicura, debole e priva di vere e proprie iniziative decisionali. E’ un personaggio molo fragile e puro, che non conosce il mondo e quindi facilmente condizionabile dal suo secondo marito che la sfrutterà per ottenere la sua fama personale. Per tutto il film lei dal suo sguardo emanda malinconia e paura del futuro.

La musica che accompagna l’opera cinematografica è soave e solitamente sul jazz, rinviando almeno a mio parere lo spettatore ai film di Woody Allen, per certi aspetti, e agli ambienti parigini.

S.D.G.

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