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C’era una volta una rana che visse felice e contenta

Creato il 24 novembre 2014 da Andreapomella

24 novembre 2014

Tempo fa ho chiesto a mio figlio di inventare una fiaba, e lui, senza pensarci, ha detto: "C'era una volta una rana che visse felice e contenta". Mi sono messo a ragionare sulla fiaba di mio figlio, e ho pensato che la fiaba conteneva molte informazioni interessanti. Per esempio: è chiaro che la rana è morta. Se così non fosse, non ci sarebbe bisogno di usare un tempo lapidario come il passato remoto, insistendo sulla felicità sfiorita di questa rana. Ho pensato anche che mio figlio, nella fretta di concludere la storia, avesse commesso un errore di ridondanza: gli aggettivi felice e contenta, in effetti, sono sinonimi. Anche se nel suo caso si è rifatto alla formula canonica di chiusura delle fiabe tradizionali. Dacché ne ho dedotto che mio figlio opera già nel solco di una tradizione letteraria, che insomma rifugge dallo sperimentalismo, che non azzarda neppure un io narrante in prima persona. "Ero una rana, e vissi felice e contenta" imporrebbe un coinvolgimento emotivo nel lettore e scoperchierebbe un mucchio di possibilità legate allo sviluppo della storia che un bambino di quattro anni difficilmente riuscirebbe a gestire (se "ero una rana" ora cosa sono diventato?). Qualche volta mi piace fare un gioco (ma mio figlio non lo sa): apro un libro, leggo la prima frase della prima pagina e l'ultima frase dell'ultima pagina, le abbino e vedo cosa viene fuori. Con Moby Dick succede questo: "Chiamatemi Ismaele. [...] che, nella sua ricerca dei figli perduti, trovò soltanto un altro orfano". Messa in questo modo, penso che la storia della rana abbia un potenziale enciclopedico e digressivo, la brutta notizia è che allora mio figlio è un giovane autore modernista.


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