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Campo che converte i gay effeminati? No, è una bufala

Creato il 08 maggio 2013 da Uccronline

Raymond BuysSudafrica: “Tre morti nel campo che convertiva gay effeminati in veri uomini”. Lo titola il portale gay.it, ma Google ci dice che è l’intero web a parlarne. Non solo le bacheche di Facebook, ma persino i quotidiani rimbalzano la notizia: “Il fatto quotidiano”, ad esempio, descrive quel campo come creato per «eliminare la loro omosessualità e renderli “normali”, con un addestramento feroce, soprusi, torture».

Inorridito e incredulo che nel modernissimo Sudafrica ci fossero genitori disposti a pagare 1.900 euro per inviare figli in simili lager (oltre ad autorità in grado di concedere permessi per l’esercizio di simili attività), ho sentito l’urgenza di fare qualche verifica sulle fonti trovando una prima e documentata ricostruzione sul Dailymaverick. La scoperta? La notizia è vera, ma solo a metà. Ad essere falsa, in particolare, è la metà più sensazionalista: i tre adolescenti morti ci sono ma non si tratta affatto di un campo di conversione per gay, né, ancora, ci sono prove che quelle tre povere vittime fossero omosessuali

In effetti, il tizio che avrebbe allestito questo campo paramilitare (Alex de Koker) è in questi giorni alla sbarra, a Johannesburg, con l’accusa di omicidio. Le prove lo inchiodano. L’“Echo Wild Game Rangers” (questo il nome del campo) era infatti condotto con metodi severi e violenti. Ma non era un campo per gay: era un campo – recitava lo slogan – “To Make Men Out Of Boys” (“per trasformare i ragazzi in uomini”).

E i gay? Andiamo con ordine. Sembra che a dare per primo la notizia del processo, il 24 aprile, sia stato il Telegraph, dove l’ultima vittima (Raymond Buys) è descritta come «sofferente di problemi di apprendimento»; un ragazzo che – aggiunge il Dailymaverick intervistando la madre – era stato «lasciato al cancello del campo per via della sua natura ribelle». Non un omosessuale, insomma, ma un adolescente problematico, come – si legge – le altre due vittime e come i tanti che, nel disagio di simili contesti (si pensi al servizio di leva), sono tristemente candidati ad attirare le antipatie dei capetti di turno, magari a conoscere perfino la morte se a dare gli ordini sono criminali come De Koker.

L’equivoco nasce il 25 aprile, quando Melanie Nathan – un avvocato che si batte in difesa degli omosessuali – nel suo blog gay-friendly, scrive un pezzo per contestare i metodi di conversione degli omosessuali e, in merito a quel fatto di cronaca, avanza l’ipotesi, usando condizionale e senza offrire alcuna prova, che le tre vittime potessero essere «effemminate». È la prima a farlo: non lo si legge infatti negli articoli precedenti, né nelle dichiarazioni di polizia, familiari e colleghi di campo (tutte linkate dal Dailymaverick). Le sue supposizioni, ad ogni modo, vengono immediatamente prese per oro colato: la notizia si ingigantisce a tal punto che, nel giro di un paio di giorni, la propaganda omosessualista, accolta acriticamente da molte redazioni, racconta della scoperta di un diabolico campo di conversione e sterminio per giovani gay odiati dai genitori. Non c’è portale gay dove la notizia non appaia.

La cosa non finisce qui. Continuo a seguire il caso (che, per inciso, in Sudafrica non sembra aver appassionato nessuno) e il primo maggio, mi imbatto in un articolo un certo Andre Bekker, un ex-gay, oggi teorico di un metodo per uscire dall’omosessualità. Il suo articolo, per la verità, mira a smontare le riflessioni che l’attivista Melanie Nathan aveva suggerito nel suo pezzo. Ma Bekker – quel che più ci interessa, al di là della polemica su simili “guarigioni” – torna a quel fatto di cronaca e fa notare che «non c’è nessuna prova che suggerisca che i crimini siano stati condotti in ragioni dell’omosessualità delle vittime». E aggiunge: «alla luce di ciò, sembra che ciò che si racconta nei media non sia altro che propaganda, basata su una mezza verità». I miei sospetti sono finalmente condivisi.

A sbrogliare la matassa interviene finalmente Truthwinsout (un movimento sudafricano che si batte contro la discriminazione religiosa dei gay), che, sempre il primo maggio, è costretto ad ammettere: «il caso è stato raccontato con molta irresponsabilità e con falsi titoli circa l’omosessualità dei ragazzi e gli scopi del campo». E fa di più: contatta proprio Melanie Nathan, l’attivista che avrebbe acceso l’incendio, la quale concorda: «purtroppo alcuni bloggers e alcune testate giornalistiche hanno inserito nella storia parole che nessuno ha mai detto». Ma nemmeno questo basta: il tam tam continua impazzito e inarrestabile e persino autorevolissimi portali dell’informazione italiana si ostinano a rilanciare la falsa notizia: “Sudafrica – titola, ancora il 6 maggio, l’Huffington Posttre ragazzi morti torturati nel campo per rieducare i gay”.

Insomma: siamo dinnanzi all’ennesima bufala prodotta dal propaganda omosessualista, che non si ferma nemmeno davanti ai corpi di tre poveri adolescenti e e che si disinteressa persino delle nette smentite di chi avrebbe messo in giro la notizia. Googlare per credere: la bufala, venduta come immacolata verità, è diventata virale; nessuno si è procurato di verificarla (quindi di smentirla; credo che in Italia lo si faccia per primi su questo sito) e il mondo si è ormai irrimediabilmente convinto che in Sudafrica sia stato chiuso un campo dove si uccidevano omosessuali nel tentativo di “normalizzarli”. A distanza di ormai una decina di giorni, i portali gay già parlano d’altro; la propaganda, insomma, con uno stile da far impallidire il MinCulPop, pare aver vinto. Non contro di noi, che, invece, di questa storia vorremmo continuare a parlarne, per porci un semplice interrogativo: a cosa serve tutto ciò?

O. Ottonelli


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