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Che cosa vuol dire per Napoli vedere morire un diciassettenne nel Rione Traiano

Creato il 06 settembre 2014 da Nicola933
di Erica Vaccaro Che cosa vuol dire per Napoli vedere morire un diciassettenne nel Rione Traiano - 6 settembre 2014

Che cosa vuol dire per Napoli vedere morire un diciassettenne nel Rione TraianoDi Erica Vaccaro. Napoli, Rione Traiano, quartiere difficile di una città difficile. Chi non conosce la città può provare ad immaginare cosa voglia dire crescere e vivere in alcuni quartieri di Napoli, ma se non si ha l’intelligenza di andare oltre quelli che sono gli episodi di spaccio, camorra e guida senza casco si finisce per abbandonarsi a esemplificazioni spicciole e banali, come quelle di Pietro Senaldi su liberoquotidiano.it. Scrive Senaldi: “Napoli è una città che vive al di fuori della legge, i cui abitanti, anche quelli che non sono criminali, tengono abitualmente comportamenti che in altre parti d’Italia non sono tollerati. Peggio, spesso non sono subiti con fastidio ma accettati con compiacenza come un tratto caratteristico della città, un qualcosa di pittoresco da fare con orgoglio”. Sono parole che a mio modesto parere meriterebbero molta poca considerazione ma che vale la pena riportare, poichè rappresentano l’emblema di quello che possiamo definire un pregiudizio semplicistico e mediocre di chi non ha mai sperimentato sulla sua pelle cosa voglia dire vivere in questa città e soprattutto cosa voglia dire per un ragazzo di 17 anni vivere e morire nel Rione Traiano.

Scrive ancora Senaldi “L’indagine chiarirà se il carabiniere è un assassino, di certo Davide è vittima anche della Napoli che lo piange e lo descrive come il bravo ragazzo che, probabilmente, non era”. Ecco, invece di giocare a Poliziotto buono ladro cattivo e viceversa, prendendo le parti dell’uno o dell’altro, bisognerebbe soffermarsi un attimo a pensare, perché la vicenda non può essere stigmatizzata in termini di torto-ragione. Come in tutti gli episodi di omicidio o maltrattamento  che vedono coinvolti dei poliziotti, i giudizi si dividono tra quelli che difendono il poliziotto buono, che ogni giorno rischia la vita e che per questo dovrebbe essere giustificato anche quando supera il limite e quelli che invece accusano le forze dell’ordine di un uso sproporzionato e illegittimo della forza.

Volendosi soffermare sul caso concreto c’è un dato che a mio giudizio appare inquietante: Davide e il carabiniere che ha sparato avevano solo 5 anni di differenza. Due ragazzi entrambi molto giovani ma le cui situazioni non possono essere paragonate. È vero il poliziotto nella sua quotidianità rischia la vita, ma nessuno l’ha costretto a scegliere questa strada, nessuno gli ha imposto di portare il peso e la responsabilità di una pistola sulla cintura. È una scelta libera e consapevole e in quanto tale non può essere utilizzata a mò di giustificazione. Davide invece non ha scelto di nascere nel Rione Traiano e lì si tratta di quartieri in cui emanciparsi dall’ambiente circostante può essere un’impresa impossibile. Davide però ha fatto una scelta quella sera, ha deciso di salire con altre due persone su un motorino senza casco, non sappiamo ancora se tra gli altri due ci fosse o meno un latitante, ma quello che sappiamo ci basta per dire che quella sera Davide aveva superato il limite. Sbaglia il fratello quando dice che non stava facendo nulla di male “stava facendo solo un giro nel quartiere con il motorino, e per questo a Napoli si deve essere uccisi?”. Davide era salito su un motorino senza casco con altre due persone e non si era fermato all’alt della Gazzella della Radiomobile perché pare che il motorino non fosse assicurato. Ha ragione il fratello quando dice che non doveva essere ucciso. Nessuno dei suoi comportamenti può giustificare un colpo d’arma da fuoco.

Parlando di responsabilità, aldilà di  quella del singolo carabiniere che dovrà essere accertata, bisognerebbe chiedersi se possa essere considerata una scelta corretta quella di affidare una pistola in mano ad un ragazzo di soli 22 anni con così poca esperienza alle spalle e lasciarlo agire in un quartiere come Rione Traiano.

Ogni qual volta un poliziotto entra in un quartiere ad alto livello di criminalità e spara, non rischia solo di colpire vittime innocenti, ma rischia soprattutto di incrinare il livello già minimo di fiducia nei confronti delle istituzioni. Come si può spiegare ad un ragazzino, che vede l’amico perdere la vita per un colpo sparato da un carabiniere, che quelli sono coloro che dovrebbero proteggerlo. “Qui la camorra ci protegge, lo stato invece ci uccide” è il commento uno degli amici di Davide suo coetaneo. Reazioni comprensibili per chi vive in quartieri abbandonati a loro stessi, lontani dalle istituzione e talvolta anche dal mondo. È in queste zone che lo stato dovrebbe far sentire la sua presenza perché l’unico modo che ha la criminalità organizzata di sopravvivere è creare l’illusione di una protezione che lo stato  non riesce a dare.  Purtroppo per questa città lo stato non c’è e quando interviene lo fa nel modo sbagliato, sparando colpi d’arma da fuoco, così come fa la camorra solo in direzione opposta. Davide non è vittima di Napoli, come scrive Senaldi. Davide è vittima di uno stato che ha deciso di disinteressarsi e affidare il suo destino ad un carabiniere di 22 anni.


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