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Come le mosche…

Creato il 10 giugno 2012 da Trame In Divenire @trameindivenire
Come le mosche…

Laura Rossi - La Mosca

E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,

vidi un col capo sì di merda lordo,

che non parëa s’era laico o cherco.

(Dante Alighieri, Inferno, Canto XVIII, vv. 115-117)

 

“Come le mosche…”.  Mai editoriale di Largo Bellavista (qui) è stato più appropriato in relazione al momento storico e agli eventi a cui si assiste, per lo più inermi, come sbandati.
Per quanto la merda il “potere” ce la possa rifilare in tutte le salse possibili, per quanto possa essere ben acconcia e servita in un bel piatto, sempre di merda si tratta. “Parbleau!”, esclamò meravigliato quel tale parigino, “ma jè marrò”, rispose il nostro compaesano, consapevole che la merda è pur sempre merda e basta rimestarla che torna a puzzare, quant’anche fosse secca di secoli. Così è il “potere”.
L’accostamento tra  Dante e Pasolini è quanto mai significativo di come, pur essendo trascorsi molti  secoli, il “potere”, non può che fondarsi sulla merda, soprattutto su quella che il potere rifila al popolo, dopo aver ingurgitato ogni sorta di nefandezza. Mentre il popolo, nonostante la “sveglia” di vati e profeti e il sacrificio di sangue di questi ultimi e del popolo stesso, non sa far di meglio che ronzare da uno “stronzo” all’altro in “saecula saeculorum”. Appunto, come le mosche.

“Come le mosche…” è l’editoriale che Alessandra Neglia ha dedicato per il numero di Largo Bellavista del mese di giugno 2012.

Giuseppe Vinci

 

Come le mosche… che ronzano intorno alla merda

In molti ricorderanno il Girone della Merda di Pasolini, nel suo capolavoro Salò o le 120 giornate di Sodoma. «Vi renderete conto che non esiste cibo più inebriante, e che i vostri sensi trarranno nuovo vigore per le tenzoni che vi attendono» diceva la Signora Maggi, parlando delle sue esperienze nel campo delle pratiche anali, in una delle scene più inquietanti e al contempo pittoresche del film. Quando il Duca-Tiranno costringe prima una ragazza in lacrime a mangiare gli escrementi che ha appena defecato al centro della sala e poi obbliga tutte le altre vittime della sua vile follia a non espellere i propri bisogni per alcuni giorni, continuando comunque a provocare loro intossicazioni alimentari. Infine, le feci da loro prodotte in una volta vengono raccolte e servite a tavola durante la cena su un vassoio d’argento.

Pasolini realizzava una delle più schiette e “indigeribili” – come lui stesso ebbe a definire la sua opera – metafore delle perversioni psicopatologiche dei gerarchi fascisti, eccitati dalle fantasie erotiche di tre narratrici. La Signora Maggi è una di queste. Ciò che viene denunciato in questo meraviglioso pezzo di letteratura italiana è il potere – capitalista e non soltanto fascista – come fonte di nefandezze e iniquità. Quello che viene svelato è il fascismo nell’era della globalizzazione, spogliato del suo senso più politico – perché la politica è morta – e rivestito di un nuovo ruolo economico, ancora più subdolo e spietato. Questa perversione sessuale che è la merda, che è la scatofagìa, finisce con il rappresentare il rapporto che il potere instaura con chi gli è sottoposto, quella mercificazione dell’uomo sapientemente spiegata da Marx, e ancora oggi incompresa. Nel girone della merda emerge l’ansia del consumo, che è ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato, ansia di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere liberi e felici, così come il sistema impone. Ed ecco la merda, servita su vassoi d’argento, merda con garanzia di qualità, afrodisiaca.

Merda è potere. Mi vengono in mente le mosche, esseri coprofaghi che vi ronzano intorno, attirate da quella, ricca in realtà di sostanze nutritive e vitamine, di cui amano nutrirsi. Le ronzano intorno con brama. La sua sostanza di scarto, morente, servirà alla sopravvivenza di vivi che pure moriranno prima ancora che essa si consumi, nel più vile dei cicli vitali. Mosche che ricordano tanto tutt’altri animali, ugualmente ronzanti intorno alla merda-potere, elemosinando una briciola, uno scarto, una piccola fetta di una torta. Alcuni li chiamano favori. Sono i moderni “clienti” politici, quelli che impegnano le loro mattinate a visitare gli uffici della pubblica amministrazione per porgere il saluto a questo o quell’altro; sono quelli che vendono la propria libertà in cambio di un “posto”, di un appartamento, di denaro; sono quelli che vivono accanto ai mafiosi e dicono che “la mafia non esiste”; sono quelle donne e quegli uomini che si prostituiscono ai potenti per guadagnarsi un titolo sui giornali; sono gli “scribacchini delle opinioni altrui, che si spacciano per giornalisti; sono quelli che scambiano la democrazia per un mercatino del baratto. Ecco il fascismo globale. Le vittime di una dittatura senza dittatura, che accettano di essere sottoposte al potere, anzi di fare di questo spregevole pasto un vanto. Senza rendersi conto di non riuscire a far altro che starsene lì, come le mosche che ronzano intorno alla merda. Poiché è grazie a quella soltanto che possono prosperare.

Alessandra Neglia (qui)


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