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Cosa insegna l’incipit di Delitto e Castigo

Da Marcofre

“All’inizio di un luglio caldissimo, sul far della sera, un giovane uscì dallo stambugio che aveva in affitto nel vicolo S., scese nella strada e lentamente, quasi esitando, si avviò verso il ponte di K.”

Questo è l’incipit del romanzo Delitto e Castigo, credo che un po’ tutti lo conoscano. Qual è l’aspetto che ci può aiutare a comprendere come costruire una frase almeno interessante?

I verbi. Buona parte degli scrittori invitano a prestare attenzione proprio a questa fenomenale architrave della frase. Buona parte delle persone che scribacchiano al contrario, riempiono la pagina di avverbi, oppure di aggettivi. Prestano scarsa considerazione ai verbi. Qui Dostoevskij li usa ovviamente, e sono di movimento.

Uscire

Scendere

Avviarsi

C’è anche esitare e avere in affitto, però la lezione di questo scrittore russo mi sembra chiara. Azione, movimento. Lui sa che iniziare con un personaggio che va da qualche parte, significa gettare un’esca al lettore. Dove va? Siamo a luglio, e quel caldissimo anche se possiamo considerarlo un banale elemento atmosferico, non lo è affatto. Così lo legge chi non sa leggere. Chi invece desidera comprendere come si costruisce il motore narrativo, sa che questo è un dettaglio importante.

Non fa caldo, fa caldissimo eppure questo giovane esce. Ripeto: non è una minuzia, bensì un pezzo importante. Nonostante il caldo costui esce: segno che deve andare da qualche parte. Deve vedere qualcuno, forse. O fare qualcosa.

Altro elemento da tenere in considerazione: di questo giovane sappiamo che… è giovane. Basta. Il viso? Il vestito? Il colore degli occhi? Non è il momento, non è importante. Adesso è importante catturare il lettore (non si scriverà mai abbastanza sull’importanza dell’incipit), e ci riesce con il movimento.

Altro aspetto da tenere in considerazione: si procede per sottrazione. Provo a spiegare.

Sul far della sera.

Stambugio

Quasi esitando.

Costui esce quando le ombre avvolgono la città, perché non desidera farsi vedere in giro quando il sole splende e tutto si vede con chiarezza. Si sottrae, appunto.

Stambugio indica la sua condizione di povero, costretto a vivere non in un’abitazione, ma in un buco. Sottrazione appunto.

Quasi esitando: esce, scende in strada, ma quando si avvia verso la sua destinazione non ne è convinto. Quasi esitando, appunto. C’è anche quell’avverbio “lentamente” che rende l’avvio ancora più particolare. Infine va, certo, ma anche qui possiamo intravedere una decisione che manca di risolutezza, forse qualcosa sottrae al protagonista la necessaria lucidità.

In poche righe il buon Fëdor ci indica quali sono le cose da evitare, e quelle da tenere in considerazione. L’azione prima di tutto, e questa viene affidata ai verbi. Lui sapeva bene, come tutti i bravi scrittori, che il lettore bisogna sedurlo. Proprio perché non sa quello che desidera, diventa necessario solleticarlo. Quindi esordisce con una scena ridotta all’osso, con un giovane che esce e scende in strada.

Si intuisce che è spinto da qualcosa, che questo qualcosa lo costringe a uscire di sera, nonostante il caldo e la scarsa volontà di andare. Non tutto è definito, certo. Però l’esca è gettata ed è quella giusta.


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