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Cose.... di ordinaria quotidianità a Makambako (Tanzania)

Creato il 10 aprile 2011 da Marianna06

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La mia giornata in Tanzania inizia con un coro di galli che si richiamano da ogni angolo di Makambako. I cani dicono pure la loro. Per non parlare di qualche “a solo” d’asina spudorata, in calore. Il tutto nelle tenebre, perché sua maestà, il sole, è ancora a riposo. L’orologio segna le 5,30.

Prima della preghiera in chiesa, leggo il vangelo del giorno. Approfitto della luce elettrica (quando c’è) nella mia stanza, perché è più smagliante di quella in chiesa. È pure un esercizio di lettura in swahili, per non balbettare poi troppo davanti a Dio e agli uomini, specie se le parole sono inusitate e lunghe.

Ma tant’è! Oggi ho ugualmente incespicato nel pronunciare walipoyasikia, e cioè: “essi, dopo aver ascoltato queste parole…”. Come? Un solo termine per esprimerne sei? Già. È la croce-delizia dello swahili.

 

Verso le otto do uno sguardo al quotidiano Mwananchi (il Cittadino), anche se è di qualche giorno prima.

Oggi strabuzzo gli occhi di fronte ad una nuova espressione: watumishi hewa. Sono “i servi del vento”: fannulloni che scaldano gli scranni del parlamento (ma non solo), magari dormendo, percependo tuttavia lauti stipendi. Un deputato, immortalato da un fotografo mentre stava quasi russando, protestò: “Ma io pregavo Dio che mi concedesse la giusta concentrazione”. Ma che bravo!

In Italia, però, c’è di peggio in parlamento: dal sonno si passa ai calci!

Dal giornale apprendo che il primo ministro del Tanzania, Mizengo Pinda, ha ordinato un’inchiesta sulle cause della povertà nel paese. Dopo 50 anni di indipendenza grama, il premier non sa ancora perché la gente tiri la cinghia (con i prezzi degli alimentari alle stelle), non sa che la corruzione sociopolitica sperpera le risorse dell’intera nazione, non sa (o finge di non sapere) che i numerosi progetti di sviluppo sono rimasti lettera morta: ossia sono stati e sono nella mani dei “servi del vento”.

“Eppure l’economia del Tanzania è solida” dichiara il primo ministro (cfr. Mwananchi, 1 aprile 2011).

Poiché tutto il mondo è paese, un altro primo ministro ebbe a dire: “Macché crisi d’Egitto! Non vedete che gli italiani sono ricchi? Tutti hanno il cellulare”.

 

So andando a scuola. Insegno “Conosci la Bibbia” nella classe sesta di un Liceo. Il mio swahili è da sguattero, e mi vergogno. Ma il preside e gli studenti chiudono entrambi gli occhi (o gli orecchi), divertiti dai miei strafalcioni, anche perché non percepisco stipendio.

Incontro un’allieva, di nome Shida  (difficoltà).

- Shida, perché ti chiami “difficoltà”?

- Perché sono nata e vivo in un mare di guai.

Povera Shida! Orfana di madre dalla nascita, con un padre che ha altre due mogli, vive con lo zio materno. È veramente in difficoltà, Shida. Lo si deduce anche dalla sua divisa scolastica consunta, con vistosi buchi.  

Insegno Bibbia, ma nessun studente ne possiede una copia. Costa troppo. Allora bisogna scrivere i punti salienti della lezione sulla lavagna e poi sul quaderno. “Ragazzi, procuratevi almeno un quaderno!” ho raccomandato all’inizio di una lezione, mentre vigeva un andirivieni rumoroso di sedie da un’aula all’altra.

La raccomandazione è caduta nel vuoto già tre volte. Pure il quaderno è un lusso. Quanto al gesso, lo porto da casa. Così lo strofinaccio.

Vado e torno da scuola in auto, essendo distante 7 chilometri. Lungo la strada incontro file di ciclisti con cestoni di patate, pomodori, cipolle, frutta, come pure lagna da ardere e carbonella. Sono contadini che raggiungono il mercato di Makambako, per ricavare qualcosa e stringere meno la cinghia. Ma quanto sudore! E che pericolo lungo l’asfalto, specialmente quando si incrociano due camion o autobus spericolati!

Nel 2010 i morti sulle strade furono 3.600 e i feriti 20.000. Non è poco, dato il basso livello di motorizzazione.

 

Il mercato di Makambako è ormai famoso, enorme, caotico, polveroso, con un settore all’aperto e un altro al chiuso. Mi addentro nel secondo, in un negozietto di due metri per due: uno dei tantissimi. L’insegna all’ingresso è superba: supermarket! Vi conto tre dentifrici, tre asciugamani, tre saponi, tre pacchetti di sigarette, tre birre... Poi desisto dal conteggio, perché tutto è “trinità”, come le tradizionali tre pietre del focolare per cucinare la polenta, allorché il re sole si ritira nel tramonto.

In quel supermercato acquisto una scheda per il cellulare: una delle tre, ma di prezzo diverso. Compro la più cara: cinque €. Io sono ricco, se calcolo che gli stipendi-base nel paese arrivano a 40 € mensili.

All’aperto, impressiona la quantità di biciclette, vecchie e nuove. Corre voce che le bici usate siano state rubate a Mbeya, mentre in questa città sono in vendita quelle trafugate a Makambako.

Cammino, e rivedo le cipolle rosse della strada, disposte per terra su un telo di plastica verde in forma di ingegnose e minuscole piramidi. Più in là, il settore dell’abbigliamento: giacche e maglioni, pantaloni e jeans di moda, camicie e t-shirt con il nome del calciatore argentino Messi, ma anche del nostro Gattuso, e, naturalmente, i locali e sgargianti pareo.

Nonché montagne di scarpe e ciabatte: disposte su rustici scaffali o ammucchiate sul terreno. Calzature di cuoio, di plastica o di gomma: le ultime ricavate con ingegno da copertoni d’auto da buttare. Articoli nuovi, vecchi, sporchi. Un acquirente sta pulendo e colorando di bianco un paio di scarpe da tennis con… farina.

Una donna ha comprato una ciabatta: una sola. Ora rincasa con in testa la calzatura acquistata. Spaiata? No, perché in casa c’è la ciabatta sorella. Non importa se di colore diverso…

Fa caldo: cerco refrigerio all’ombra di un eucaliptus. Due giovani mi hanno preceduto: stanno giocando a dama… con tappi di coca-cola.

Naturalmente non passo inosservato, perché sono mzungu (bianco).

Un tale mi offre una bibita. Un altro mi chiede se veramente “Gesù è l’unico figlio di Dio”. “Certamente” rispondo.

- Allora perché nel Vangelo si parla dei “fratelli” di Gesù?

- I fratelli di Gesù non sono figli di Dio, come Lui. Sono figli di Dio come lo siamo tutti noi: tu ed io.

L’interlocutore è un vecchietto vivace. Sorride lasciando trasparire i suoi denti bianchissimi, tutti intatti, senza dentifricio.

Avviandomi verso la missione, passo davanti ad un chiosco ambulante, sistemato

su un carretto. Da fragili intelaiature pendono cravatte, fazzoletti, calze, mutande, reggiseno e una corona del… rosario. La compro.

 

Venerdì di quaresima: ore 17, Via crucis. La chiesa di Makambako, capace di accogliere un migliaio di persone, è gremita. Alla “seconda stazione”, sento leggere: “Gesù accoglie la croce con gioia”. Mi incavolo.

La croce è felicità?

Gesù veramente accoglie la croce felice? Allora perché, nel giardino degli ulivi, spasima nel terrore? La croce è croce, anche per LUI. Suda sangue:

sangue che gocciola impregnando il terreno (Cfr. Luca 22, 44).

 

Sabato: in missione prove di canto per la veglia di Pasqua, ormai prossima.

Quella notte la chiesa vibrerà addirittura con l’Alleluia di Handel.

Il giorno dopo rivedo lei con le ciabatte diverse. Incontro lui con le scarpe da ginnastica, bianche di farina. Entrambi sorridono, perché hanno udito:

“Non cercate fra i morti colui che è vivo. Gesù, il crocifisso, è risorto. Alleluia!”

(cfr. Luca 24, 5-6).

 

 Francesco Bernardi

   A cura di Marianna  Micheluzzi (Ukundimana) 

 


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COMMENTI (2)

Da marianna
Inviato il 10 aprile a 23:25
Segnala un abuso

Grazie, caro amico, per la precisazione. Riferirò al mio amico. E a me è comunque utile. Buona serata. Marianna

Da shemasi
Inviato il 10 aprile a 18:23
Segnala un abuso

Watumishi hewa non significa servi del vento ma "dipendenti fantasma" piu' che riferirsi ai parlamentari si riferisce a dipendenti fantasmi cioe' a "nomi" a cui vengono corrisposti degli stipendi ma che non corrispondono a persone reali, magari sono gia' morti...