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Crisi in Libia, Italia in guerra e Roma in pericolo?

Creato il 16 febbraio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Le notizie allarmanti che giungono dalla crisi in Libia hanno fatto tornare d'attualità il ruolo del nostro paese nella gestione delle crisi internazionali, soprattutto di quelle che investono la riva sud del mediterraneo, a non troppi chilometri di distanza dalle coste italiane. Un' escalation improvvisa che ha portato la crisi in Libia al centro del dibattito politico italiano. Governo e partiti s'interrogano su come affrontare la questione e se considerare l'opzione di un intervento militare.

Lo scenario libico è sempre più fosco e spirano venti di guerra: barbare uccisioni, partenze sempre più massicce e difficili da gestire, minacce dei miliziani dell'Isis - ormai in controllo di una parte di quel che resta dello stato libico - che si dicono pronti a "colpire l'Italia crociata." L'evacuazione repentina dell'Ambasciata italiana a Tripoli e il rimpatrio dei nostri concittadini hanno dato il segno di una situazione che rischia di complicarsi ulteriormente, prefigurando scenari preoccupanti per la nostra sicurezza.

La sola immagine - costruita e rilanciata dai siti della galassia jihadista - delle bandiere nere del Califfato che sventolano su Roma ha provocato una reazione forte della classe politica che, però, come spesso accade si divide sulle misure da adottare per la gestione della questione libica.

Il Governo

Il primo ad assumere una posizione forte è stato il ministro degli esteri Paolo Gentiloni che ha assicurato che l'Italia è "pronta a combattere, in un quadro di legalità internazionale", ovvero nel contesto di un'azione multilaterale sotto le insegne dell'Onu o inquadrata nel sistema di intervento Nato. Ancora più in là si è spinta il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, per la quale "l'Italia è pronta ad andare a combattere l'avanzata dello Stato Islamico, anche guidando una coalizione di contingenti di paesi diversi". La Pinotti ha esplicitato anche che l'eventuale nostra missione potrebbe assumere dimensioni molto significative. Second ipotesi filtrate in queste ore si ragiona dell'invio di 5.000 uomini nell'ex colonia. Prese di posizione piuttosto esplicite, che sembrano voler spingere in avanti il nostro paese nell'eventuale costruzione di un'alleanza occidentale anti-Isis, evitando di lasciare ad altri (francesi, inglesi) la guida dell'operazione. La Libia, infatti, per evidenti motivi di vicinanza geografica e di importanza economica ed energetica, ha rappresentato storicamente un teatro strategico d'interesse privilegiato del nostro paese.

Un po' più prudente è stato, invece, il premier Renzi che ha posto l'accento sull'importanza di "raddoppiare gli sforzi diplomatici e politici, prima che militari", per la risoluzione del caso-Libia. Anche per l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi prima di ricorrere alla forza "bisogna esperire ogni sforzo per giungere ad una mediazione, condotta dall'Onu, e coinvolgendo tutti i paesi interessati, anche Egitto e Algeria."

Le posizioni dei partiti

Decisamente favorevole ad una spedizione militare in Libia Berlusconi. Il leader di Forza Italia ha già fatto sapere che se governo e Parlamento decidessero in questo senso il partito azzurro non farebbe mancare il proprio sostegno. Ancor più esplicito Giovanni Toti, consigliere politico dell'ex Cavaliere: "accogliamo con favore l'intento dell'esecutivo, per cui saremo sicuramente d'accordo in caso di un intervento in Libia".

Nella destra italiana c'è perfino chi rimpiange i tempi di Gheddafi e dei rapporti privilegiati tra Berlusconi e il dittatore che "almeno - dicono - riusciva ad assicurare un minimo di stabilità e ordine nel paese."

Un no secco all'idea di schierare uomini in Libia arriva dal M5S. Per il deputato Di Battista l'"uso delle armi peggiorerà solo la situazione". Una nota del direttorio pentastellato, ricostruendo la storia recente delle vicende nordafricane, ha anche attribuito alle "decisioni dell'allora Pdl e del Pd che nel 2011 si chinarono alle pressioni di Francia e Usa a danno dell'Italia e della popolazione civile in Libia", la colpa del caos libico. Nel fronte del no anche Sel di Nichi Vendola che, fedele alla sua linea pacifista, esclude qualsiasi supporto ad un eventuale intervento.

Non si è fatta attendere, infine, una presa di posizione molto dura del leader della Lega Nord, Matteo Salvini, che ha sottolineato soprattutto i rischi di un vero esodo di profughi verso le coste italiane. Secondo il segretario confederale questo scenario sarebbe da incubo perché permetterebbe a terroristi desiderosi di colpirci di infiltrarsi tra i disperati. "Per cui i profughi vanno soccorsi ma tenuti al largo e non fatti sbarcare in Italia". Per Salvini l'unica scelta possibile è quella di " dialogare con le tribù libiche e fare accordi sul territorio con i poteri libici."

Peccato che in Libia non esista un governo legittimato e riconosciuto con cui trattare dato che il paese è ormai teatro incontrollato delle scorribande di gruppi fondamentalisti armati sempre più nell'orbita dei tagliagola dell'Isis. E in Occidente, sull'onda emotiva degli attacchi di Parigi e Copenaghen, il pericolo incombente fa più paura e forse avvicina il momento delle armi.

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