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Deve sparire l’imbonitore

Da Marcofre

Se si gira per il Web, è tutto un fiorire di consigli su come pubblicare, o quali piattaforme di self-publishing usare. Oppure, quali sono le case editrici migliori per ottenere l’agognato scopo.
Ma per quale ragione lo si fa? Perché è così importante pubblicare? Non è affatto detto che la pubblicazione conduca a chissà cosa. Il mondo è pieno di persone piene di sé che hanno pubblicato in qualche modo. Altre che lo meriterebbero, e invece restano al palo.

Perché pubblicare?

Immagino che la risposta si possa trovare da qualche parte prima, nel lungo processo che precede la pubblicazione (forse).
Quando c’è il talento, e come sappiamo è un ingrediente raro e prezioso, si lavora per produrre qualcosa che sia di valore. A un certo punto, l’autore, forse vittima di un colossale equivoco, forse consapevole di aver creato qualcosa di buono, chiude la storia, pone la parola “fine” al termine della sua opera. E desidera condividerlo.

In fondo molti potrebbero pensare che questo è un post inutile: è arrivato il self-publighing, chiunque può finalmente pubblicare. Gli editori dicono “No”? Occorrono anni prima di avere uno straccio di responso, e questo è sempre: “Ci spiace ma non è in linea con le nostre scelte editoriali”? Al diavolo!

Quindi la risposta alla domanda di qualche riga fa (Perché pubblicare?) è: “Perché si può”.

Possiamo esserne soddisfatti?
Esiste un altro aspetto che merita di essere affrontato. Se pubblicare è diventato semplice, diventa fondamentale domandarsi per quale ragione il lettore dovrebbe essere interessato a una certa opera, anziché a un’altra. Cercare di rispondere a una tale questione diventa difficile. E prima di rispondere occorre ribadire che: deve sparire l’imbonitore e comparire la persona.

Certi autori quello sono: piazzisti. Se lo possono permettere perché hanno un nome, sono perciò conosciuti. Oppure hanno alle spalle una formidabile macchina promozionale. Non devono fare nulla: solo sorridere. Non è nemmeno importante che la storia abbia un qualche valore: il rumore che genera è tale che se ne parla, e a quel punto è tutta discesa.

Per tutti gli altri, la pubblicazione diventa lo strumento necessario per condividere e dimostrare che esiste la bellezza; e ce la meritiamo.

Detto in questa maniera sembra sciocco, me ne rendo conto. Tuttavia, mi pare che siamo approdati nel medesimo territorio in cui le case editrici lavorano (o hanno lavorato?). Il loro scopo era di separare la lana dalla seta, e offrirla. Non tutta la scrittura merita un tale trattamento, ovviamente. Che ci siano gli strumenti per “saltare” l’ostacolo non cambia le cose.

Si pubblica la seta, o almeno si dovrebbe.

Non credo che le tecnologie rendano tutti scrittori, anzi: però hanno il merito di fare chiarezza. Se per esempio un aspirante autore nemmeno ha un blog, non fa una bella impressione. Prima di tutto perché pare rimasto al XX secolo, e non aver compreso che “pubblicare” ormai ha perso l’aurea di sacralità che aveva.

Inoltre, dimostra di non avere passione, né di crederci veramente. Un’opera può contenere difetti, ingenuità: però chi l’ha scritta ha il dovere di metterci la faccia, il nome e il cognome. Soprattutto, è bene che costui o costei comprenda che di solito chi legge blog ha delle aspettative alte, e non sa che farsene di chiacchiere o fesserie.
No, non credo che il blog sia la strada per il successo; può rappresentare lo strumento più semplice per creare conversazioni. La letteratura avrà sempre più bisogno di conversazioni. Di persone.


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