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Diaz – Don’t clean up this blood (di Daniele Vicari, 2012)

Creato il 29 agosto 2012 da Iltondi @iltondi

Il 21 luglio 2001 a Genova, in occasione del G8, le storie di alcune persone finiscono per incrociarsi. Tra loro Luca (Elio Germano), un giornalista della Gazzetta di Bologna che ha scelto autonomamente di andare lì per documentarsi sugli scontri, in seguito alla morte di Carlo Giuliani, avvenuta il giorno prima. Poi una giovane anarchica tedesca, un manager francese, un anziano che ha sfilato per la Cgil, il vicequestore aggiunto Max (Claudio Santamaria) e gli organizzatori del social forum. Tutti si ritroveranno all’interno della scuola Diaz, in una notte tragica e indimenticabile. Diaz – Don’t clean up this blood (di Daniele Vicari, 2012)

Una bottiglietta di vetro che si frantuma a terra, un evento apparentemente innocuo. Invece è l’origine di tutto, l’indegno raid alla scuola Diaz e, come appare già in locandina (minimalista e di forte impatto visivo), “La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale” (Amnesty International). «Tutto ’sto casino per una cazzo di bottiglia», si chiederà una poliziotta in una scena emblematica del film, quando ormai il massacro nella Diaz è già avvenuto. Ma la bottiglietta di vetro che atterra al suolo e si frantuma è anche il punto di partenza per raccontare diverse storie. Si comincia da immagini che si riavvolgono e si finisce dritti in quel maledetto 21 luglio del 2001, fra attivisti, black bloc, no-global e protestanti pacifici. Gli innocenti: quelli che appunto quella notte dormivano nella scuola Diaz e gran parte dei quali arrivarono in ospedale con ferite più o meno gravi; quelli che vennero portati alla caserma di Bolzaneto e videro soppressi i loro diritti civili. Non c’è bisogno di spiegare gli antefatti delle rivolte, a Daniele Vicari (Velocità massima, Il passato è una terra straniera) interessa soprattutto raccontare/documentare la violenza per non scordarla mai. Scene infinite di manganellate, soprusi e torture, sottolineate dal commento musicale, bellissimo e angosciante, di Teho Teardo (ha composto colonne sonore per Gabriele Salvatores, Guido Chiesa, Paolo Sorrentino e Andrea Molaioli). Non è un film militante, ma una pellicola tra inchiesta e denuncia (basata sugli atti giudiziari), che riprende la tradizione del cinema italiano alla Francesco Rosi (Salvatore Giuliano, Il caso Mattei). Corale, senza protagonisti che rubano la scena, parla in tutte le lingue: italiano, francese, inglese, spagnolo, tedesco. Riprese aeree, camera a spalla nelle scene convulse (a ricreare reportage amatarioli), sequenze d’azione e guerriglia urbana, effetti speciali (elaborazioni digitali e green screen). Girato in gran parte a Bucarest, Romania, con la ricostruzione di un intero quartiere di Genova, strade e ambienti interni. Il sottotitolo si riferisce a un cartello lasciato nella scuola da un’attivista, dopo la scoperta del massacro. Non si può non vedere.



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