Magazine Cultura
Come sapete, non sono una fan sfegatata di Zerocalcare.
Apprezzo alcuni dei suoi racconti a fumetti del lunedì (per esempio, tra gli ultimi pubblicati questo, Il bagaglio a mano) e trovo alcune sue invenzioni assolutamente geniali. Epperò c'è qualcosa nei suoi lavori che mi è in qualche modo estraneo e che me lo tiene a una certa distanza.
Devo dire che nel suo ultimo lavoro, Dimentica il mio nome, ho avuto la conferma di tutto quello che avevo pensato dopo la lettura di Un polpo alla gola. Ossia che i graphic novels di Zerocalcare sono traboccanti di parole, al punto che le pagine sembrano il risultato di un vero e proprio horror vacui, che Zero è una specie di fucina di idee, tantissime, fors'anche troppe, che vanno a invadere ed esondare dai suoi racconti, che il doppio disegnato di Zero è la massima espressione di una generazione che non riesce ad affrancarsi da una condizione tardo-adolescenziale anche in età adulta, forse ancora più di quanto non sia accaduto alla mia generazione (che è quella immediatamente precedente).
Tutto ciò detto, questo nuovo lavoro mi è piaciuto molto.
Mi pare che - pur con qualche eccesso narrativo - la storia tenga e sia ben organizzata, oltre che interessante per chi legge. Mi piace anche molto l'idea di una narrazione continua ma organizzata per unità in qualche modo autonome, una specie di approfondimenti o divagazioni, identificate da un titolo proprio, una specie di via di mezzo tra il romanzo a fumetti e la striscia del lunedì.
Alcuni passaggi sono a dir poco esilaranti. E credo che la migliore qualità di Zerocalcare consista nella sua capacità di tradurre in parole e in immagini cose che in qualche modo tutti abbiamo pensato, provato e vissuto. Cosicché Zerocalcare dà una specie di rilevanza universale a quelle esperienze, che pur essendo in buona parte personali e legate al momento storico che si vive, in qualche misura appartengono a tutti.
E così, "depurando" le sue strisce di tutti i riferimenti che appartengono nello specifico all'immaginario collettivo della generazione dell'autore, la sostanza del racconto attiene alle caratteristiche intrinseche dell'umanità tutta, che Zerocalcare rivela e svela con un umorismo e un'autoironia più che apprezzabili.
Per chiudere voglio citare solo alcuni passaggi che mi hanno fatto particolarmente ridere o colpito:
[In riferimento a una incongruenza tra Wikipedia e i ricordi della nonna] Wikipedia a mi nonna je spiccia casa.
[durante la messa, l'amico "Secco"] Sto continuo alzarsi e sederci mi sconcentra. Me pare la lezione di step dei vecchi.
[Zero da piccolo] Mamma, che vuol dire apericena? Non dire quelle parole, figliolo. Prega che spariscano presto.
[Zero, dopo alcune rivelazioni sulla storia passata della sua famiglia] La nostra famiglia è come un film col primo tempo girato da John Woo e il secondo tempo, quando arrivo io, l'ha fatto Terrence Malick.
[Sull'attrazione inevitabile per la tranquillità] È come un baratto. Tu dai un pezzetto di una cosa tua, in cambio di sicurezza, comodità. Ma pezzetto dopo pezzetto, quanto sei disposto a cedere per essere rassicurato?
Dimentica il mio nome è un graphic novel sovrabbondante e forse fin troppo ambizioso, però - a parte qualche sfilacciamento nell'ultima parte - mi pare che dimostri che Zerocalcare sta crescendo in empatia e comunicatività anche nel racconto lungo. Speriamo che sappia coltivare queste qualità, senza farsi sopraffare dalla tendenza a strafare.
Comunque questo lavoro mi ha decisamente riconciliato con lui.
Voto: 4/5
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