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Donna schiava, zitta e…

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Come si apprende da un detto vecchio e sessista, a quanto pare la donna in Italia ha l’imprescindibile dovere di assecondare le voglie sessuali del consorte e di ramazzare alla perfezione.

Il caso riguarda la separazione di una coppia fiorentina. Nel 2005 il Tribunale di Firenze aveva pronunciato la separazione senza addebito. In appello il marito ha ottenuto invece la pronuncia di addebito, poiché a quanto pare la moglie per sette anni si era rifiutata di avere rapporti sessuali con lui e negli ultimi due aveva trascurato le condizioni e la pulizia della casa <<riducendola in condizioni invivibili>> (quest’ultima affermazione del marito non è stata però presa in considerazione al momento della decisione della Cassazione).

Da questa storia di deduce, ancora nel 2012, l’immagine di una famiglia italiana in cui vige il dovere, per la donna, di prestarsi a rapporti sessuali, anche controvoglia, per non ledere l’equilibrio psicofisico del consorte e l’obbligo immancabile di essere una perfetta domestica donna di casa, sfaccendando per rendere lustro e splendente ogni angolo dell’abitazione (poco importa se lavora quanto e come il marito).

Nessuno mette in dubbio l’importanza della sessualità all’interno di una coppia, ma non possiamo ancora oggi ragionare attribuendo alla donna che rifiuta le avance del coniuge la causa del fallimento di un matrimonio. L’articolo del corriere.it ironicamente titola:

Moglie «freddina» a letto?

Colpevole della fine delle nozze

In questo articolo la donna viene definita “l’insensibile Monica” e si evince che secondo la Suprema Corte ci siano tutti gli elementi di accusa per acclarare la specifica responsabilità individuale del fallimento della coppia.

Mi chiedo, ma le motivazioni per cui questa donna abbia interrotto i rapporti sessuali col marito sono state accertate per asserire che la responsabilità della rottura siano esclusivamente di lei? Sette anni di mancata intimità e di problemi di coppia possono davvero essere attribuiti ad un’immotivata (secondo la Cassazione) astensione dal sesso? Qualcuno si è chiesto perché questa donna abbia rifiutato il marito?

Ancora più stridenti appaiono le parole dell’anacronistica  pronuncia:

Il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge, poichè, provocando frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner, configura e integra violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca la comunione coniugale. Un comportamento del genere – prosegue l’alta Corte nella sentenza 19112 – non può in alcun modo essere giustificato e legittima pienamente l’addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l’esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato.

In poche parole si descrive l’uomo come una povera vittima che ha subito irreversibili danni fisici e morali. La sua persona sarebbe stata offesa e la sua dignità (virilità?) calpestata. La moglie, sarebbe inoltre venuta meno a quel dovere coniugale di assistenza morale. Era forse la sua badante?

La dignità dell’uomo pare misurasi ancora oggi in base a quanta “gnocca” prende al giorno. In un paese dove una donna su tre ha subito violenza da parte di un uomo nel corso della vita e vi sono i più alti tassi di violenza domestica e di femminicidi perpetrati all’interno delle famiglie, fenomeni che vengono quasi completamente ignorati, una sentenza che si esprimere con parole così pensanti per supportare il diritto di un uomo a copulare appare davvero anacronistica. Tanto più che risulta problematico indagare le reali dinamiche che si possono essere venute a creare all’interno della coppia.

Se fosse successo a generi invertiti le parole della pronuncia sarebbero state le medesime? Il dubbio che il reale intento sia quello di preservare il concetto di virilità maschile così scalfito rimane, anche perché è di pochi mesi fa un’altra pronuncia della Suprema Corte, volta a ricordarci che gli attributi maschili sono “intoccabili” poiché simbolo imprescindibile di forza d’animo e virtù.



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