Magazine

E così Marsalis e Clapton se ne andarono a fimminazzi…

Creato il 09 novembre 2011 da Postscriptum

E così Marsalis e Clapton se ne andarono a fimminazzi…

A chi consigliare il recentissimo Play the Blues: Live From Jazz At Lincoln Center, opera che documenta un concerto avvenuto nella famosa sala e che vede l’incontro di due mostri sacri della Musica (nel suo senso più lato) come Wynton Marsalis ed Eric Clapton?

Innanzitutto ai nostalgici, senza dubbio. Per la storia di entrambi gli artisti: Wynton Marsalis che, dopo l’inizio carriera promettente in area post-bop (link), ha pensato bene (in realtà male, a mio avviso) di ritornare alle radici più profonde del jazz.  E dunque, in sostanza, è dagli anni ’80 che non dice più nulla di nuovo, a furia di perseguire questa sua specie di eccessiva ricerca filologica (link).

Un percorso simile sembrava averlo intrapreso qualche tempo fa anche Eric Clapton (From The Cradle, link) però poi ha lasciato perdere per cose decisamente peggiori.

Qualcuno starà pensando: ma se non condividi le scelte artistiche di questi due, perché hai scritto la recensione ad un loro lavoro?

La spiegazione è semplice: Clapton is God  e Wynton Marsalis è uno dei migliori trombettisti jazz esistenti. Sono due musicisti estremamente dotati, tecnicamente preparati ed intelligenti nel loro modo di suonare. Soltanto, potrebbero suonare altro e lasciare solchi ben più profondi su questo vinile infinito che è la Storia della Musica, ecco tutto.

In questo preciso caso, tuttavia, i due insieme hanno generato il capolavoro che non mi aspettavo. Badate, cari lettori,  non è mica automatico che le collaborazioni riescano. Sarà stata la congiuntura impossibile ad aver scatenato l’imprevisto? Fatto sta che Clapton non faceva un album decente dal ’94 (From The Cradle, appunto). Marsalis poi, non ne parliamo, dal capolavoro Black Codes del 1985, non ha fatto che rincorrere il passato, sprecando il suo talento e facendo incazzare Miles Davis.

E allora – malgrado Clapton con la barba appena accennata e l’attuale pettinatura di capelli sia inguardabile – credetemi, l’ascolto di questo concerto è una vera goduria. Sin dalla prima Ice Cream (link), veramente divertente. Clapton canta come sempre affascinando, ma quello che è sorprendente è come la chitarra si inserisca in un contesto storico di suoni (basato sulla sezione fiati) dove la chitarra elettrica non avrebbe diritto di prender nota. E invece a tre minuti e zeronove, Slowhand fa il miracolo: suona in pieno stile Clapton ma è così elegante e raffinato che non si può far a meno di pensare che davvero sarebbe stato naturale ascoltare un chitarrista blues (uno come Robert Johnson  ad esempio, eh?) nella band di King Oliver.

Il secondo brano è una vecchia conoscenza per i claptoniani di ferro, Forty-Four (link), una cover di Howlin’ Wolf.  I primi due brani sono in continuità, sembra la scena di New Orleans. Il protagonista è ancora una volta Clapton con un ispiratissimo solo di chitarra.

Marsalis sale in cattedra al successivo Joe Turner’s Blues (link), brano dall’andatura barcollante. Una commemorazione funebre, in pieno stile creole jazz band. Il pezzo è ovviamente basato sulla potenza e creatività degli ottoni (Marsalis, Printup alle trombe e Chris Crenshaw al trombone), a Clapton non resta da far altro che un ottimo e delicato lavoro contrappuntistico.

Il piglio alla Louis Armstrong (o King Oliver, fate voi) contraddistingue  la spiritosa The Last Time (link). Piacevolissima, nel corso del concerto, è la prova del clarinettista Victor Goines e di Crenshaw al trombone, in questo brano alle prese con il wha. Ma in realtà tutta la formazione è sempre all’altezza dei due leoni.

Careless Love (link) è uno slow blues, perfetto per esaltare lo stile di Mr. Manolenta. Tuttavia è l’assolo di Marsalis a raggiunge una liricità così limpida e passionale da farci dimenticare per qualche attimo l’autolimitazione che si è imposta il noto trombettista nel corso degli anni. Forse questo è uno dei migliori brani dell’album. Non il migliore e sicuramente non il più stupefacente. Per qualcosa di veramente sorprendente bisogna ascoltare la pur piacevole Kidman Blues (link) e arrivare alla successiva richiesta che il contrabbassista Carlos Henriquez fa a sua maestà il Re del Blues anglosassone: Layla.

Clapton nicchia, ma poi concede e ne viene fuori qualcosa di straordinario. Non ci sono parole per descrivere questa Layla (link), bisogna ascoltare e basta! Dopo un fuori programma del genere è sicuramente difficile riprendere le redini del concerto e con esse la concentrazione adeguata.

Joliet Bound (link) è un bel pezzo, come tutti gli altri eseguiti sino a Layla. Ma è difficile reggere il confronto con quest’ultima (forse, anzi soprattutto per ragioni emotive). L’unica cosa che potrebbe concludere degnamente il concerto è solo qualcosa come…tipo…ecco, proprio come quando Wynton Marsalis presenta l’ospite della serata: il Gigante Taj Mahal!

Si resta estasiati dinanzi alla grandiosa slow ma coloratissima Just A Closer Walk With Thee (link). La voce del grande bluesman è inconfondibile, le sue corde vocali vibrano lanciando strali all’apparato uditivo ma anche alla coscienza di ogni ascoltatore. Occorre prendere consapevolezza del momento così altamente malinconico: Elvis, i Beatles, i Led Zeppelin, i Van Halen, i Nirvana, tutto il rock che sembra così lontano nel tempo è ormai sparito da tempo, mentre questi vecchissimi leoni, padri fondatori di un genere che ha dato vita proprio a quel rock, sono ancora qui a guardarci con un po’ di tristezza. Il concerto si finisce, si conclude, e l’epitaffio migliore non poteva che essere la storica Corrine Corrina (link).

Un concerto stupendo, pervaso da manifestazioni soprannaturali, spiritosi fantasmi di gente appena uscita fuori dai più luridi postriboli della creola New Orleans: King Oliver, Armstrong, Jelly Roll Morton, Bix e i bianchi dipinti di nero, donnine allegre che ballano e riti voodoo. Bel concerto.

Babar da Celestropoli


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :