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E' ora di rompere il potere egemonico della Germania. Nessuno ha consegnato a Frau Merkel il bastone di Feldmaresciallo d'Europa

Creato il 03 ottobre 2014 da Tafanus

Senza crescita, Jobs Act inutile (di Massimo Riva - l'Espresso)
Merkel-baffiMa quanti posti di lavoro il resto d'Europa deve ancora perdere per consentire a Frau Merkel e a Herr Schäuble di averne uno in più in Germania? Sarà magari sgradevole porre il quesito in termini che evocano sanguinose rappresaglie del passato, ma è un fatto che questo è anche il modo più chiaro di rappresentare le reali conseguenze pratiche della "lex germanica" imposta dal governo di Berlino agli altri paesi di eurolandia. A ben vedere, infatti, il vero nocciolo dei problemi sul tavolo non è che da parte tedesca si insista sulla necessità che i paesi in maggiore difficoltà facciano le riforme utili al risanamento dei loro conti. Ciò che è razionalmente difficile da comprendere e da giustificare è la tenace opposizione di Berlino a ogni ipotesi di manovra monetaria o di bilancio mirata a spingere in avanti il tasso di crescita e per questa via rendere più agevole e sostenibile il riequilibrio contabile.
Si è già visto, durante la grave crisi della Grecia, come la renitenza tedesca ad assumere decisioni tempestive e adeguate alla dimensione dei problemi sia servita soltanto ad aggravare la situazione e così a rendere molto più costosa, in termini sia finanziari sia sociali, la ricerca della via d'uscita. Oggi la questione si ripropone perché sotto la pressione che viene dalla torre d'avorio berlinese un po' dappertutto in Europa il nodo del rilancio della crescita economica continua a restare in sott'ordine rispetto al tema delle riforme. Sì, certo, ogni tanto si fanno balenare nell'aria i 300 miliardi di investimenti che la prossima Commissione Juncker avrebbe in animo di realizzare, ma anche questa per ora del tutto ipotetica operazione viene sempre rappresentata come una sorta di premio o di caramella che verrà offerto a chi si mostrerà più bravo nel fare i compiti a casa.
Ora, se si guarda all'Italia, nessuno può negare che sia per noi indispensabile rivedere la spesa pubblica, combattere corruzione ed evasione fiscale, rendere più spedita la giustizia civile e rimettere ordine in un mercato del lavoro caotico e segmentato in troppe varianti. Ma, con buona pace del "Jobs Act" e di altre novità annunciate, parimenti nessuno può coltivare l'illusione che possano bastare anche ottime opere di bricolage legislativo per rimettere in moto la macchina delle assunzioni. In un contesto di crescita bassa o addirittura negativa, alle imprese si possono pure offrire lavoratori al minimo di salario e di diritti ma chi se li vorrà mai prendere in carico se il mercato resta debole e malcerto?
Massimo-rivaL'esperienza storica , ancor prima della buona dottrina economica, insegna che il riassorbimento di una disoccupazione massiccia come l'attuale non è neppure sperabile quando il tasso di crescita del Pil si colloca fra uno o due punti percentuali. Al più si può ottenere che i posti di lavoro non diminuiscano ovvero crescano in qualche misura marginale. L'obiettivo prioritario per raggiungere lo scopo postula quindi che il passo della crescita venga forzato attraverso tutti gli strumenti utili e necessari: dall'espansione monetaria e creditizia (condizione necessaria e però insufficiente) alla mobilitazione degli investimenti pubblici come traino a quelli privati e, non per ultima, alla rianimazione della domanda. Tutte cose note e stranote che, però, non riescono a trovare spazio nelle scelte europee per subordinazione intellettuale e politica alla dominante ideologia tedesca dell'austerità, costi quel che costi… agli altri.
Cosicché la parte più desolante di questo spettacolo è quella offerta dalle sedicenti forze progressiste federate nel Partito Socialista Europeo, che per storia politica e culturale dovrebbero essere le prime ad alzare la bandiera della priorità della crescita. E, invece, si accontentano di discutere sul conteggio delle foglie degli alberi ma senza mai guardare alla dimensione della foresta. Così facendosi complici di chi vuol ridurre l'Europa alla stregua di quel che diceva Napoleone dell'Austria: «Toujours en retard, d'un'année, d'un'armée, d'un'idée».
Massimo Riva
1809/0630/0830


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