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Educazione siberiana

Creato il 11 marzo 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

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Educazione siberiana” è un micro romanzo di formazione, dove tutte le componenti, i precetti morali, l’anziano saggio, un gruppo di amici leali, la donna desiderata ma impossibile, sono presenti in tinte nuove. Gabriele Salvatores ha definito il suo film, così come il romanzo di Nicolai Lilin da cui è tratto, un “eastern” proprio perché è un dilatato rito di passaggio ambientato nel Far East, tra le nevi lituane.  In Transnistria, deportata sotto il regime di Stalin, vive una comunità criminale di origine siberiana. Regolata da rigide norme interne tramandate oralmente, promuove il “rispetto per tutte le creature viventi, eccetto che la polizia, i banchieri, gli usurai. Rubare a queste persone è permesso”, questo è  uno degli insegnamenti di nonno Kuzya al nipotino Kolima e all’amico Gagarin. Nel corso del film seguiremo le alterne vicissitudini di questi due personaggi, dall’infanzia all’età adulta, passando attraverso la caduta del Muro di Berlino, per scoprire due modi differenti di gestire il cambiamento che ne deriva. I due bambini partecipano attivamente alla comunità, organizzando agguati ai camion della polizia e rubando merce di utilità sociale, fino ad ottenere la sacra picca, che come la croce li accompagnerà per l’intera loro vita. Insieme si allenano a diventare adulti a suon di piccate su maiali appesi, imparano che il denaro non va mai portato in casa, che l’avidità è esecrabile, e che i più deboli sono i “protetti da Dio”. Gagarin interrompe bruscamente il suo apprendistato tra i Siberiani perché, catturato durante un agguato, trascorre tutta l’adolescenza in carcere. Lì ha modo di conoscere il Seme Nero, organizzazione criminale influente e capillare, disprezzata dai  Siberiani per aver infranto le regole tradizionali ed essersi mischiata alle altre mafie. Quando esce dal carcere trova all’esterno un mondo nuovo ed il suo compagno storico sostanzialmente immutato. In questo stesso momento fa la sua comparsa l’amata impossibile Xenja, appena arrivata tra i Siberiani con il padre medico. Inizia allora un’altra esplorazione, quella dell’altro da sé, dell’attrazione fisica da un lato, e del mondo esterno in via di occidentalizzazione dall’altro. Mentre si muovono in una nuova geografia fatta di grattacieli spuntati improvvisamente come funghi e brand multinazionali, Kolima viene ferito in seguito ad una lotta tra gang. Curato dal medico e assistito da Xenja, scopre che il loro amore non troverà mai compimento perché la donna è affetta da demenza. Mentre Kolima utilizza le regole della comunità per adattarsi al nuovo, Gagarin le rifiuta: attratto dal desiderio di migliorare la sua condizione economica, comincia a spacciare droga e a farne uso a seguito del Seme Nero. Le strade dei due amici si dividono nuovamente ed inevitabilmente perché, capovolgendo le loro adolescenze, Kolima va in carcere e Gagarin prosegue il suo apprendistato nella mala. Il primo affina il suo talento da disegnatore ed incisore, registrando intere biografie sulla pelle dei carcerati e viene in seguito liberato, per svolgere una missione importante. Xenja è stata violentata e per questo il colpevole va punito, secondo le regole del mutuo soccorso della comunità, macchiatasi di disonore per non aver saputo tutelare un membro più debole. Kolima si arruola persino nell’esercito russo per dare la caccia al colpevole, che naturalmente è Gagarin. Riesce a scovarlo e gli concede la morte che merita ma con onore: spezza in due parti la picca dell’amico, ne lascia una vicino al cadavere, l’altra la prende lui stesso, in quanto persona che Gagarin aveva più amato, come prescritto dalle regole siberiane. I due, anche se per motivi e con modalità diverse, finiscono con lo staccarsi completamente dalla comunità di origine, come il lupo della favola di nonno Kuzya anche Kolima parte verso Ovest. La storia è di un fascino glaciale come lo sono i volti dei giovani attori e i paesaggi lituani, così come il bagaglio pedagogico di cui si fa portavoce lo ieratico John Malkovich. Il film è di sicuro di ampio respiro, si percepisce da subito il profumo del cinema americano, tuttavia molti degli spunti di riflessione rimangono tali. Si accenna al cambiamento epocale, allo stato assolutista di Stalin, allo sviluppo delle mafie, alla perdita dell’identità, ma senza mai entrare nel dettaglio. Inoltre l’intreccio narrativo col feedback continuo appare a volte forzato. La fotografia è brillante così come certe inquadrature da angolazioni inusitate, come quella dell’agguato al camion e quelle in notturna. Toccante è la scena della giostra, quando i protagonisti volteggiano nell’aria sotto le note di Absolute Beginners di David Bowie, cercando di acchiappare il nastro celeste, decretato simbolo della felicità. Commuove anche la scena in carcere, quando Kolima all’ombra di un fascio di luce innevato tatua i corpi dei suoi compagni di cella, dopo che come un padre confessore ne ha ascoltato le vite. La colonna sonora realizzata da Mauro Pagani ha un impianto volutamente epico, e grazie alla collaborazione con l’Orchestra di Stato mongola riesce a dare l’atmosfera nostalgica che ispira il film. Come lui stesso ha affermato in un’intervista la colonna sonora deve “diffondere profumi in una sala in cui ancora per il momento non si possono diffondere”. I profumi non mancano nel film, ma a volte rimangono purtroppo solo tali.

Voto 7,5/10



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