Magazine Cultura

Eleanor Cole – Episodio 13 – Romanzo a puntate di Alessandro Forlani

Creato il 05 agosto 2012 da Fant @fantasyitaliano

Eleanor raccolse i tre barattoli intatti, neppure anneriti dallo scoppio del razzo: li aveva ribaltati l’onda d’aria dell’esplosione, ma il foro della testata e le schegge fumavano roventi in un muro troppo a destra. Rimise i bersagli in fila sullo steccato:
«Di nuovo», ripeté.
Delfina ricalcò nella polvere la linea di là dalla quale fare centro era facile; Farinelli ricaricò il lanciarazzi, si fermò sul tracciato. L’arma gli avvolgeva l’avambraccio sinistro come una gluppa di tovaglioli, come un nodo d’asciugamano:
«Mi dispiace», ronzò; da quando gli Ammit lo avevano riparato, la sua voce aveva un’eco di molla di carillon.
Eleanor scrollò le spalle:
«Ti ho scelto per il canto, l’erudizione e la cortesia: la guerra non m’interessa. Appena torneremo sul fondaco, smonteremo quell’affare e tornerai delizioso.»
«…ma già che te l’hanno dato», Delfina interloquì, «sarà il caso di imparare ad usarlo; almeno per fottere l’altro e non noi: non voglio morire di granata sbagliata»; spostò il roboto sulla linea di tiro, e ancora gli spiegò del rinculo, dell’alzo, dell’impiego del mirino, del singolo missile e della salva di razzi.
Ai tavoli di formica del sabbioso patio, gli indigeni sfaccendati ululavano ad ogni scoppio. Gli anziani Capo-Scavo si affacciavano di tanto in tanto dai divisori color cenere onnipresenti, le cortine di alluminio o di stracci che segnavano gli ambienti e spartivano il labirinto. Grugnivano all’inettitudine del roboto, menagramavano di vibrazioni del calcestruzzo che potevano attirare quelle cose dal sottosuolo.
Tornavano dietro le tende nel rumore d’officina.
Eleanor, corrucciata su uno sgabello, sopportava a sorsi di birra l’arsura e la rudezza dell’esploratrice nell’istruire l’automa:
«D’inerzia, parabole, calcoli, caratteristiche tecniche, Farinelli, signora, ne sa certo più di voi.»
«Sì: ma io sono segnata di molte più cicatrici di qualsiasi manuale di balistica, e le reazioni di un nemico in combattimento non sono altrettanto prevedibili di quelle di un barattolo appoggiato su un paletto.»
Farinelli sparò, una granata sfiorò i bersagli, si tuffò in un tombino scoperto che eruttò addosso agli Ammit acque nere ed immondizia. Gli indigeni applaudirono divertiti lo stesso; il cortile era schizzato di schifo fino ai tavoli dell’osteria.
Eleanor affondò nel boccale, l’aroma della birra le attenuò l’odoraccio. Delfina affondò il viso fra le mani, poi sospirò con gli occhi azzurri al cielo, si buttò sullo sgabello accanto a lei e le tolse e le vuotò la gamella.
«Ditemi perché vi siete decisa ad armarlo», sbuffò l’esploratrice, «fino a ieri insistevo io, ma adesso… Non ha speranza. Convincetemi del contrario.»
Lei cercò parole plausibili per ciò che aveva visto nell’abisso: un racconto di mummie, negromanzia, geologia d’interiora, di fenomeni paranormali ripresi da telecamere che un cittadino dell’Universo del secolo XXVII potesse non sperava credere, ma almeno ascoltare. Ammetteva che nell’antichità della Terra c’era qualcosa di pervertito, di guasto; che l’Uomo s’era portato fino le stelle. Così potente da ammalare un intero mondo, e così buio, nonostante l’argento fulgido dei galeoni spaziali, che ancora si celebrava con il sangue, e che ghermiva con chele e pungiglioni preistorici.
«Eravate ancora debole ed offuscata quando il vecchio vi ha portato laggiù, potreste avere avuto allucinazioni», Delfina rispose, «e da antropologo cercate qualcosa che volete cocciutamente trovare: un Uomo che non c’è più. Ma ho visto cose strane e meravigliose di là dall’atmosfera dei pianetuncoli di provincia, ammettiamo perciò che voglia credervi: che cosa intendete fare?»
Eleanor le offrì del kentucky, posò la tabacchiera sulla panca fra loro con il motto rovesciato verso lei:
«Questa gente vuole vivere una vita ordinaria, aspira alle sciocchezze cui tutti aspiriamo: il look, fare shopping, gli olomovie, i weekend. È quello che i nostri capi ci chiedono di ottenere, e insomma è lavoro per noi due, sta bene? O che restino come sono: minerale e miniere; purché non sfamino l’abominio che c’è là sotto. Anche questo spetta a noi: da concorrenti, i nostri leader vorrebbero la stessa cosa. Io però, come scienziato ed essere umano, ho di fronte, la prima volta nella mia vita, qualcosa che nega la realtà che professo», scandì quella parola, «un’imboscata all’Umanità dietro l’angolo delle stelle. Se esiste davvero un negromante vivo fuso ad un pianeta da ottocento anni è impossibile che si beva Coca Cola; viceversa se ci si veste Yves Saint Laurent è intollerabile che esista e stregoneggi, capite? Non transigo su che vada distrutto, ma prima voglio vederlo e studiarlo.»
«Non mi avete persuaso.»
Farinelli, ricaricando il lanciarazzi, intonò paurosi versi di Rinuccini dei ministri infernali a sentenza di Orfeo; la musica di Jacopo Peri che accompagnava quel coro gli uscì dalle labbra con un clac di tagliola:

Sì trionfaro in guerra,

d’Orfeo la cetra e i canti

o figli della terra

l’ardir frenat’e i vanti

tutti non sete prole

di lui che regge il sole.

 

Scender al centro oscuro

forse fia facil opra

ma quanto, ahi quanto è duro

indi poggiar poi sopra.

Sol lice alle grand’alme

tentar sì dubbie palme.

«Non sa usare il lanciarazzi, ma ha più cervello di voi. Capito l’antifona? Se quel… cancro è esteso all’intero pianeta, se suppura dal secolo XIX, se ha poteri soprannaturali, se ha davvero attraversato lo spazio, noi non abbiamo possibilità.»
«È dovere provarci», Eleanor insistette. Delfina accartocciò il bicchiere vuoto con un pugno:
«Siete ferma in queste sabbie da sette giorni; io, se ricordate, da molto si più. Avete un radiofaro: usatelo; chiedete di portarci via da questa plaga venefica, lasciamo queste scimmie ai loro orrori. Torniamocene su una nave, segnaliamo il problema, ci pensino la Marina o l’Esercito: bombardino questo sasso e stanino lo stregone. O gli Ammit scavino come le talpe che sono, ci riforniscano di minerale e si trastullino con il vodoo: a chi credete che importi? L’avete detto, signora: questo è un Universo che ha scelto la Coca Cola.»
Gli indigeni ciondoli alla staccionata, che assistevano alle prove di Farinelli, si azzittirono cupi in volto con gli sguardi all’esploratrice. Il fracasso di martelli e trapani, nelle officine dall’altra parte dei divisori, tacque all’improvviso con un rintocco metallico.
«Il vostro temperamento», Eleanor sibilò, «ci ha messo di nuovo nei guai»; si strinse a spalla a spalla all’automa e l’esploratrice.
I Capo-Scavo sgusciarono dalle tende circondati dal loro popolo afflitto, con gli occhi arrossati dalla rabbia del tradimento:
«Se è questo che pensate, tanto vale sacrificarvi al suo appetito. Prendetele!»


You just finished reading Eleanor Cole - Episodio 13 - Romanzo a puntate di Alessandro Forlani! Consider leaving a comment!


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :