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Enemy at the Gates: metafore, storia, finzione.

Creato il 24 novembre 2012 da Idispacci @IDispacci

Enemy at the Gates: metafore, storia, finzione.

Stiamo viaggiando in un treno con militari e civili. Un giovane e bel soldato che indossa la spartana uniforme dell’Armata Rossa scorge tra i passeggeri una meravigliosa ragazza che legge un libro.
Il treno si ferma. I civili scendono e al loro posto salgono centinaia di militari. La piccola locomotiva civile viene sostituita da una motrice blindata, accompagnata da un vagone corazzato. La locomotiva reca sul muso una vistosa stella rossa affiancata da due bandiere dell’Unione Sovietica. Si tratta di una metafora abbastanza esplicita: il treno rappresenta l’Unione Sovietica stessa: la locomotiva la propaganda, o se volgiamo Stalin. Il vagone blindato la nomenklatura, i rozzi vagoni di legno il popolo.
I civili vengono fatti scendere, i soldati vengono chiusi bruscamente dentro i vagoni. Le porte si riaprono solo sulle rive del Volga, da dove i soldati possono osservare Stalingrado all’orizzonte, i cui quartieri in fiamme riecheggiano Dante o Bosch. Nella confusione più totale, i soldati scendono dal treno per essere stipati in rugginosi barconi. Mentre questi vascelli di fortuna attraversano il gigantesco fiume, i tetri e minacciosi Stuka della Luftwaffe calano in picchiata sparando all’impazzata e lanciando bombe, massacrando senza pietà i sovietici, praticamente inermi. Alcuni soldati cercano scampo tuffandosi in acqua, ma vengono crudelmente uccisi dai propri ufficiali.

In queste prime due sequenze si può cogliere l’essenza del film di Jean-Jacques Annaud1. Oltre alle banali considerazioni sulla crudezza delle immagini, ad un occhio più esperto non può sfuggire che vengono presentati due stereotipi, sempre più evidenti con il susseguirsi delle scene. Da un lato la crudeltà razionale, potremmo dire scientifica e sadica al tempo stesso dei tedeschi. Dall’altro, l’irrazionalità tipica del russo stereotipato. In parole povere, il male cosciente, metodico, privo di emozioni e sentimenti, contrapposto all’irrazionalità pura, che porta gli uomini a sentimenti elevatissimi, ma anche a giustificare immani carneficine.
I veri antagonisti, nel corso del film, alle spalle del russo Vasilij e del tedesco König, sono proprio queste due nature dell’agire umano nella situazione in cui l’Umanità viene messa maggiormente a dura prova: nella battaglia più sanguinosa della guerra più sanguinosa della Storia.

Al di là delle interpretazioni agli eventi date da regia e sceneggiatura, al di là della finzione scenica e dei limiti intrinsechi alla forma artistica cinematografica, il film offre una visione molto suggestiva ma decisamente distorta di quello che fu realmente la battaglia di Stalingrado.
Osservando con un minimo di attenzione il film, possiamo trovare alcuni paradossi: ad esempio, si può notare che Vasilij è l’unico soldato sovietico ad essere ripreso nell’atto di uccidere soldati tedeschi. Al contrario, spesso ricorrono sequenze di immani bagni di sangue patiti dai russi, massacrati a centinaia senza vantaggi tangibili.
Ma l’idea narrativa più particolare è legata alla denuncia dei crimini commessi dalle due parti. Anche qui si possono notare due prospettive differenti. Nel corso del film, vengono presentati numerosi crimini (veri o presunti, come si vedrà più avanti), per denunciare gli orrori commessi dal comunismo e sottolineare l’ambiguità della posizione sovietica in quella che viene tradizionalmente ricordata come la guerra tra bene e male.
Da qui, inesattezze e stereotipi: i soldati mandati al massacro senza fucile, gli ufficiali che sparano senza sosta sui propri uomini, le esecuzioni sommarie dei generali sconfitti, i reduci torturati a colpi di martello, la popolazione civile costretta a subire il peso della battaglia, l’uso strumentale della propaganda, il lusso della nomenklatura staliniana in confronto alle sofferenze del popolo.
Anche i tedeschi appaiono in numerose scene come sadici aguzzini, ma con un’insistenza minore che nel caso dei sovietici.

Enemy at the Gates: metafore, storia, finzione.
I nazisti vengono raffigurati mentre uccidono senza indugio i feriti russi, mentre mandano alla morte un prigioniero per rivelare le posizioni dei cecchini nemici, o mentre impiccano un bambino. La protagonista del film racconta anche della brutale uccisione dei propri genitori ebrei. Ma in confronto alle critiche rivolte al sistema sovietico, quello nazista appare più come il Male per antonomasia, che non ha bisogno di esempi per essere riconosciuto come tale.
In un film che gioca molto sulle apparenze, è significativo che i due avversari abbiano entrambi imparato a sparare cacciando. Ma Vasilij andava a caccia di lupi, König di cervi2.

Forse, al di là dei discorsi dei personaggi e delle loro vicende, è la struttura stessa del film a costituire un’enorme critica ad una delle più note teorizzazioni comuniste, quella della “forza del numero”.
Il film insiste costantemente sull’inutilità degli attacchi di massa sovietici e sull’eroismo di Vasilij, che con il proprio esempio ridà slancio all’Armata Rossa, demoralizza i tedeschi e spiana la strada alla vittoria sovietica.
Il messaggio di fondo dell’opera è duplice: se i sovietici, seguendo il precetto marxista della quantità, cercano di contrastare i tedeschi facendo leva sulla propria superiorità numerica e mandando al massacro decine di migliaia di uomini, il numero e la produzione industriale contano solo fino ad un certo punto: l’Uomo è Uomo perché soffre e spera, e un esercito privo di speranze arriverà naturalmente alla sconfitta.
La disfatta tedesca è presentata in questa chiave, e non a caso essa viene annunciata alla fine del film senza che ne vengano spiegate le ragioni strategiche.

Forse nel tentativo di dare ulteriormente torto alla causa comunista nella sua totalità, il regista inserisce la storia di Tania, coraggiosa soldatessa di genitori ebraici che anela il ritorno alla Terra Promessa dopo la guerra, non prima di essersi vendicata nei confronti dei nazisti.

Enemy at the Gates: metafore, storia, finzione.
Per come viene posta la situazione, e per il contesto del film, si potrebbe pensare ad un nuovo tentativo di discredito nei confronti dei comunisti, storicamente considerati anti-sionisti e anti-israeliani.
In ogni caso, si tratta di uno dei pochi riferimenti storicamente solidi del film, anche se forse involontariamente. Infatti i sovietici furono tra i primi a promuovere la fondazione di uno stato di Israele, e Stalin si premurò di fornire abbondanti armi agli israeliani per combattere nella prima guerra arabo-israeliane. Con le conseguenze che tutti conoscono.

Al di là della finzione scenica e della distorsione dei fatti di cui soffrono tutte le forme d’arte (e il cinema in questo si colloca ai primi posti), la vicenda storica sembra piuttosto diversa da quella presentata.
Vassilij faceva parte del 1047° reggimento di fucilieri quando venne promosso tiratore scelto. Era entrato in azione il 22 settembre e venne promosso cecchino il dieci novembre. Un lasso di tempo abbastanza lungo, mentre nel film si ha l’idea di una promozione avvenuta lo stesso giorno dell’arrivo in città.
Zajcev conobbe Tania alla scuola di addestramento per tiratori scelti presso la quale fu assegnato dopo la conclusione della battaglia di Stalingrado. Inoltre, il personaggio di Danilov è inventato. Insomma l’intera storia d’amore, per quanto ben resa e coinvolgente, è irrealistica.

Riguardo invece al contesto storico più propriamente detto, il film si ricollega a stereotipi e schematizzazioni tipiche dell’interpretazione occidentale filo-americana del fenomeno sovietico.
Anzitutto, l’idea, durissima a morire, secondo la quale i sovietici abbiano mandato milioni di uomini al massacro senza addestramento, senza armi, senza munizioni, senza strategie valide. Considerando la stessa vicenda storica di Vassilij, si capisce che l’Armata Rossa del 1942 era sì un esercito uscito devastato dalle sconfitte estive patite contro i nazisti, ma non era affatto un’orda disorganizzata sull’orlo del collasso.
Sicuramente all’inizio della battaglia i soldati russi erano stanchi e demoralizzati, ed è anche celebre la frase detta dal “vero” Zajcev: “non c’è spazio per noi oltre il Volga”. Ma l’URSS non era affatto sull’orlo del collasso, e non fu solo l’eroismo dei cecchini a risollevare il morale dei combattenti: i proclami di Stalin a “non arretrare di un passo” e l’eroismo della popolazione civile furono di grande supporto per i soldati.

Riguardo alle sofferenze sovietiche dipinte del film, bisogna considerare che il grosso della popolazione civile venne evacuata dalla città a settembre, e solo poche decine di migliaia di persone rimasero in città, venendo comunque evacuate i mesi successivi.
Quanto alle esecuzioni sommarie dei generali sconfitti, si tratta di pura finzione: il generale russo Eremenko, che guidò le operazioni iniziali della battaglia venendo seriamente battuto, fu momentaneamente sollevato dall’incarico, ma tornò in servizio nella primavera del 1943, e condusse la riconquista della Crimea.

Enemy at the Gates: metafore, storia, finzione.
Durante la battaglia, che durò più di cinque mesi, morirono in città qualcosa come 180.000 tedeschi e forse 250.000 sovietici; una disparità marcata ma non abissale3. I sovietici non vinsero per il proprio numero, ma grazie alla strategia: riuscirono a circondare le forze tedesche in città con una vasta manovra a tenaglia, decretandone la resa per fame e stenti.

Per concludere, Stalingrado segna in effetti la svolta principale della Seconda Guerra Mondiale, e avrebbe meritato un’accuratezza storica maggiore da parte del regista (Annaud) e degli sceneggiatori (Godard ed Annaud).
Il film rimane un ottimo lavoro di regia, e in generale risulta coinvolgente e appassionante, ma non va interpretato come un documentario o come una ricostruzione accurata della situazione storica.

Valerio Cianfrocca

Note:

  1. Famoso per film come Il nome della rosa, La guerra del fuoco e Sette anni in Tibet.
  2. Per la sceneggiatura e l’idea complessiva del film, Annaud si è ispirato ad un’idea di Sergio Leone, che aveva progettato un film ambientato a Leningrado durante il famoso assedio. Negli appostamenti dei due cecchini e nella tensione dei duelli Annaud è riuscito a donare allo spettatore emozioni tipiche dei film di Leone.
  3. Vale la pena ricordare che in quasi nessuna battaglia della Seconda Guerra Mondiale i nazi-fascisti subirono perdite superiori agli avversari (se si eccettuano i prigionieri), quando a comandare le operazioni erano i tedeschi.

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