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Ennio AbateUn commento per difendere Di Ruscio dall’abbraccio dei suoi ammiratori

Da Ennioabate
Di RuscioIn occasione dell’uscita dei Romanzi di  Luigi  Di Ruscio (della cui morte nel febbraio 2011 avevo  dato notizia qui e qui) è uscito su LE PAROLE E LE COSE l’estratto di un saggio di Andrea Cortellessa (qui). Ho lasciato il seguente commento. [E.A.]

Il titolo del post («La vergogna delle lettere italiche») mi è parso a prima vista promettente, ma poi che delusione.
Povero Di Ruscio! E poveri, assieme a lui, tutti i suoi «cristi polverizzati» (meridionali per lo più, s’intende) dalla cultura nazional-popolare dei Palmiro!
Povero Di Ruscio trattato a pesci in faccia (altro che pesce d’aprile!) dal Calvino, che già si faceva le ossa per tenere le sue «lezioni americane» al ceto medio internazionalizzatosi sotto le bandiere a stelle e strisce invece che a quelle rosse!La somma ipocrisia di quella letterina di ripulsa andrebbe analizzata politicamente riga per riga.
«Questo Suo scrivere […] ha una sua forza»! Eh, sì, i proletariacci, anche quando scrivevano, una certa forza l’avevano ancora in quel 1° aprile del 1969, mentre Calvino stilava, compìto, il suo parere editoriale.
« L’idea generale mi sembra buona», ma sa « io sono un maniaco dell’ordine e della geometria, e nel Suo eroico disordine mi raccapezzo poco». Ma non si scoraggi. In Italia di questi tempi ci sono anche i “maniaci del disordine”, sostenuti persino da «una casa editrice», che fa concorrenza alla Einaudi-PCI. Vada a farsi consigliare da loro.
Ora (2014) Cortellessa è un critico fine e sa che i tempi sono mutati. E allora mica insiste su queste questioncelle politico-letterarie. T’incasella, invece, il Di Ruscio nel «sistema delle prolessi». Gli dà una patente di nobiltà anticata e fuori moda («queste “immagini al futuro” […]senz’altro da ricollegare all’esempio di Fortini»). Tira fuori dal cilindro « la cruciale settima tesi di Benjamin», che fa sempre un certo effetto, anche se la «stimmate del «materialista storico» – colui che rifiuta di «immedesimarsi con il vincitore» – non la porta più nessun padre Pio della sinistra odierna. E poi un pizzico di « letizia danzante e stralunatamente francescana». Un altro di «tenerezza efferata dei trasporti della carne». E arriviamo all’ultima stazione gloriosa: la contemplazione del «miracolo di una scrittura del tutto soggettiva, e quasi sempre ossessivamente autoriferita, che nondimeno a ogni riga mai cessa di rivolgersi a noi».
A noi chi? E che cavolo essa dice oggi a questi noi da far rinascere o redimere?
Forse sono due domandine che dall’ aldilà potrebbe fare lo stesso Di Ruscio.

12 marzo 2014 alle 22:39

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