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Fabrizio De Andrè giù dall’altare

Creato il 15 luglio 2011 da Mickpaolino

Fabrizio De Andrè giù dall’altare

Devo confessare di essere soddisfatto.
Soddisfatto perchè per la prima volta da quando compro e leggo Rolling Stone, la quasi totalità della rivista è stata dedicata ad alcuni grandi nomi della musica italiana: De Andrè, De Gregori, Battisti e Mauro Pagani (Premiata Forneria Marconi, nda).

Il numero di Luglio è uscito in edicola sbattendo in copertina il volto di Fabrizio De Andrè e al suo interno propone ben 6 articoli dedicati al cantautore ligure, tra i quali il più interessante è quello scritto dal giornalista Paolo Madeddu intitolato Sua Santità Fabrizio De Andrè.

Il pezzo vuole, riuscendoci, restituirci un De Andrè più umano, più terreno, lontano da quell’alone di santità intellettuale che tutti dal 1999 (anno della sua morte, nda) gli hanno conferito in abbondanza.
Si parla dell’uomo Fabrizio, prima del cantautore socialmente impegnato e politicamente confuso De Andrè, e quindi si finisce per sottolinearne la fallibilità e i limiti di un carattere difficile esacerbato dall’atteggiamento dispregiativo con cui molti dei suoi colleghi commentavano la sua musica e le sue idee (Battisti, ad esempio), ma si parla anche di un eccellente artista capace di scrivere alcune fra le canzoni più belle dell’intero panorama musicale italiano.

Quello che salta fuori dalle pagine della rivista è un uomo difficile dal carattere impossibile, antipatico all’inverosimile e sempre pronto a buttare lì una cattiveria; un alcolizzato cronico; un marito spesso infedele, per sua stessa ammissione; un cantautore che stava dalla parte del popolo ma che non disdegnava compensi con molti zeri perchè si considerava egli stesso un bene di consumo.

Ed è forse una caratteristica dei grandi geni, particolarmente in campo musicale, quella di accompagnare ad un talento spropositato un carattere tanto difficile da sopportare da rendere l’artista in persona inviso ad amici, parenti e colleghi: basti pensare a John Lennon e ai film che ci hanno aiutato a conoscerne il caratteraccio.
D’ altra parte, però, è stato lo stesso De Andrè a spiegarci come vanno le cose quando cantava dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.

A completare il percorso cognitivo sul Faber nazionale ci pensa poi l’amico Eugenio Finardi che, sempre nello stesso articolo, racconta che De Andrè detestava essere considerato come un santo o una reliquia sacra e questo lo rendeva spesso insopportabile per i colleghi. Quegli stessi colleghi che dal 1999 ad oggi fanno a gara a chi lo ricorda meglio, a chi lo interpreta meglio, a chi lo canta meglio.

Al di là dei commenti e delle valutazioni soggettive che non potrebbero e non dovrebbero invadere la sfera personale altrui (anche se si tratta di personaggi famosi) quel che ci rimane di questo maestro della musica italiana sono i suoi splendidi 13 album incisi dal 1967 al 1996 che raccontano la storia dell’ uomo Faber e di una società, quella italiana, che egli aveva già visto incominciare a marcire dall’interno.

Non c’è mai stato bisogno che De Andrè fosse più di quel che è realmente stato: un cantautore geniale.



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