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Fiat. In Italia vuole chiudere, mentre in Brasile assume 600 operai

Creato il 16 settembre 2012 da Iljester

Fiat. In Italia vuole chiudere, mentre in Brasile assume 600 operai

Appare evidente che la crisi – per FIAT – esista solo in Italia, e che solo in Italia obiettivamente sia impossibile produrre a condizioni competitive con gli altri paesi. Una pressione fiscale allucinante, un paese con una burocrazia e una sindacalizzazione cancerosa, non possono che ostacolare qualsiasi libera iniziativa imprenditoriale. Eppure – orbi come sono – qui in Italia attaccano Marchionne, l’AD della FIAT, accusandolo di voler portare la FIAT all’estero, “rubandola” agli italiani.

Fiat. In Italia vuole chiudere, mentre in Brasile assume 600 operai

Mi riferisco al fatto che FIAT voglia chiudere Fabbrica Italia e voglia rinunciare all’investimento (di venti miliardi) nelle fabbriche italiane, concentrandosi sulla produzione estera. 

Ma che colpa gliene possiamo fare? Qui da noi, gli operai vengono assunti per cooptazione sindacal-giudiziaria, lo Stato aumenta le tasse come se stesse giocando a Monopoli, fregandosene altamente dell’impatto che queste possono avere sull’economia delle famiglie e sulle realtà imprenditoriali. L’ossessione per i mercati finanziari, l’esigenza opprimente di soddisfare la famelica voglia di speculare di banche, agenzie finanziarie e Stati stranieri interessati a demolire la nostra capacità di esportazione e di produzione, impediscono politiche di sviluppo economico capaci di trattenere i vecchi e attrarre i nuovi.

Ma se io avessi venti miliardi da investire in un’idea imprenditoriale, credete sul serio che la attuerei in Italia, dove la manodopera – con la quale sono costretto a sposarmi per la vita - mi costa un’occhio della testa e dove il fisco ti uccide solo per aver pensato di crearne una? Credo che nessuna persona sana di mente – a meno che non sia il “Fate bene fratelli”, oppure abbia altri obiettivi (incentivi e finanziamenti statali a fondo perduto) – lo farebbe. Sceglierebbe semmai piazze parecchio più amichevoli: dagli Stati Uniti (dove FIAT sta facendo faville), fino alla Cina, l’India e il Brasile.

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E a proposito del Brasile, è di queste settimane la notizia che FIAT ha assunto ben 600 operai, destinati all’area di pressatura, battilastra e pittura. La nuova manodopera porterà la produzione della più grande fabbrica mondiale del gruppo, a Betim, alle periferia di Belo Horizonte, da tremila a 3150 vetture al giorno. Il quadro del personale passerà dagli attuali 18.600 a 19200 dipendenti, con grande soddisfazione delle autorità brasiliane che sperano così in un incremento della produzione e del benessere del paese.

E Landini con Camusso si attaccano al tram (fabbricati rigorosamente in Brasile), e con loro si attaccano al tram tutti i “comunisti” della FIOM e della CGIL, sempre lì a latrare contro tutto e tutti, se nessuno fa come dicono loro e non creano fabbriche bolsceviche, gestite dai comitati dei soviet sindacali.

Il fatto è che mentre loro sognano le fabbriche bolsceviche, altri bolscevichi – i brasiliani e i cinesi – si fregano le nostre realtà imprenditoriali, dando ai suddetti imprenditori mano libera di creare e gestire le loro fabbriche come vogliono, investimenti, aiuti, legislazioni leggere e tappetti rossi. E loro, giustamente, ne approfittano e mollano l’Italia, paese liberale nelle parole, ma comunista nei fatti.

C’è dunque da fargliene una colpa se lasciano dietro una scia di ambiziosi sindacalisti disoccupati? La verità è che nel nostro paese è la malattia a considerare l’antibiotico l’infezione e non se stessa. Questi sono i paradossi della realtà italica, dove il mondo viene percepito al contrario di come avviene all’estero. E dove la Storia e l’evoluzione sociale arrivano sempre in ritardo, tranne negli aspetti negativi dell’una e dell’altra, e anche questi – badate – vengono sempre percepiti in modo distorto e spesso arbitrario.

Finché in Italia saremo stretti tra l’incudine della speculazione bancario-finanziaria e il martello del sindacalismo rozzo e ideologico, e finché avremo a causa dell’uno e dell’altro una pressione fiscale da suicidi e una giustizia senza il senso della realtà, non potremo far altro che assistere a questi tristi spettacoli di deindustrializzazione e delocalizzazione delle imprese italiane nei paesi esteri, che – spiace dirlo – si stanno arricchendo sulle nostre esperienze e sulle nostre realtà, ridendoci dietro e pensando a quanto siamo idioti.

Fonte: Il Giornale, Il Secolo XIX


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