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Fine di una convivenza

Da Ornellaspagnulo82 @OrnellaSpagnulo

La casa ha già preso nuove sembianze, perché le persone muovono gli oggetti anche col pensiero. Così, quasi con il pensiero il divano si è addossato al muro e non occupa più la metà esatta del salone-cucina, creando una barricata eventuale. Anarchica contro fascista? Donna contro uomo? Precaria contro lavoratore? Erano tante le opposizioni. Sulla parete del divano ho attaccato quegli adesivi che mi piacevano tanto: gli stickers a forma di edera verde. Ho preso un altro paio di quadretti e la cassetta finta della posta, su cui attaccavamo i nostri cappotti – c’è ancora un berretto suo appeso, non ho voglia di levarlo, mi resta per ricordo – è tappezzata di calamite: ho scoperto solo adesso che è magnetica! Il tavolo centrale, su cui scrivo, si trova vicino alle portefinestre e qualcos’altro è cambiato nell’aria, ma non saprei dire bene cos’è. La libertà è un’amica e per questo sono in buona compagnia. Sempre sola, per il resto. Non ho resistito a lungo, perché due persone che in comune hanno solo le differenze non vivono di grande sintonia, e l’unione può essere data solo dall’annullamento di una delle due volontà. I sacrifici, però, devono avere uno scopo. Tanto meglio il non sacrificio, che comporta comunque altri sacrifici, come quello di vivere sola.

Almeno torno alle mie convinzioni, a una vita che possa capitare anche a casaccio, ma senza dover assistere a stupidi litigi con poveri lavavetro colpevoli solo di non pagare le tasse e scappare da un paese difficile, senza dover presenziare a ridicoli appuntamenti con non-amici a cui poter dire solo: “Ciao!” e dopo: “Bene”, e poi ancora: “Ciao!”. Non farneticavo dai tempi del liceo. Parlo molto quando sono coinvolta, quando ho sentimenti e ideali comuni alle persone intorno. Altrimenti resto in silenzio. E così restavo con gli amici suoi. Tanto affetto ho ricevuto da lui: è vero. Per questo dovrei stare zitta. Ma cos’è quell’amore che ti riduce al silenzio? È un amore che ti fa sentire fragile. Così mi sentivo, in fondo.

Quanto a lui, lo sa, gli auguro, come si dice spesso, il meglio, l’amore giusto, la felicità. Per quello che mi riguarda, prego per le solite cose, forse ho una maggiore spinta verso il viaggio e l’indipendenza, poi si annulla facilmente in questa società, cade ogni desiderio. Ho provato a viaggiare da sola, e al terzo giorno di mare ho rischiato di essere violentata. Due tizi mi seguivano mentre rientravo in albergo. Mi sono avvicinata alle uniche persone che c’erano in giro, una ragazza con un signore di una certa età e un uomo in carrozzina. L’hanno accompagnato a casa, mostrandomi dei quadri bellissimi di Anna Nevi, crocifissi e paesaggi. Loro, Anna e Giuseppe, mi hanno scortato fino all’hotel.

Forse non sto lasciando soltanto lui: ho voglia di nuovo di ribellione, di spinta vitale autentica, di riconoscere le mie verità.

Le cicale con i loro suoni si stanno calmando, oggi è il giorno di Ferragosto e, tanto per cominciare, non vado fuori porta. Quest’abitudine l’ha trasmessa Mussolini. E resto qui, a Roma, progettando di fare un giro in macchina per le strade della capitale (le ztl sono aperte). E non vedo l’ora che arrivi la settimana prossima, e non vedo l’ora che la festa ricominci: l’anno inizia in fondo il 1° settembre. Il 1° gennaio è solo la sua celebrazione ufficiale, religiosa. Ma la vita, la vita ricomincerà e non sarà come prima, allora perché ho voglia di piangere pensando all’affetto, all’amore? Perché non lo trovo in queste mura così meravigliosamente libere, in questo spazio ritrovato?

Forse noi donne nasciamo già con il concetto del giogo come culla. Stavo bene anche con lui, perché oltre al sacrificio c’era la felicità. Ora c’è solo libertà e libertà, ma niente di felice; qualche speranza.



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