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Grano importato: perché non è buono

Creato il 11 ottobre 2011 da Scienziatodelcibo @scienziatodelci

 

Grano importato: perché non è buono
Ricevo una mail dal signor Giulio, che ha curato gli aspetti legali di una ricerca del CNR in merito alla conservazione dei cereali. Mi scrive con riferimento alla trasmissione di domenica sera 09 ottobre 2011 su Rai Tre (Presa Diretta). Secondo Giulio l’argomento oggetto della trasmissione -grano, pasta, aflatossine-, per quanto interessantissimo come sempre, è stato tuttavia trattato in maniera incompleta e non del tutto corretta (come, peraltro, già gli è capitato di ascoltare in qualche altra trasmissione Rai, vedasi ad es. “Agorà”, Rai3, 12.10.2010). In particolare, il Signor Giulio sostiene che sia inutile battere sulla differenza tra grano italiano e grano importato quando il problema delle micotossine deriva dal fatto che il grano, estero o italiano che sia, viene comunque stoccato per lunghi periodi e trattato chimicamente. Secondo lui è poi assolutamente inutile coltivare grano di ottima qualità (come quello italiano) se poi si continua a conservarlo (come consente l’attuale normativa in materia) con il metodo dei fumiganti che ci serve a tavola le famigerate fosfine. Aggiunge inoltre che oggi esistono metodi sperimentati che consentono di evitare detto rischio, essendo possibile conservare perfettamente il grano in maniera del tutto naturale senza dover ricorrere a prodotti chimici cancerogeni: anche in questo caso, per motivi commerciali, stante la potentissima lobby dei produttori di detti prodotti.

Rispondo al Signor Giulio:

Perché la materia prima locale è “meglio” di quella importata

Innanzitutto mi sento di difendere trasmissioni di inchiesta come Report o Presa Diretta perché bisogna tener conto dello scarso tempo che hanno a disposizione per preparare le inchieste e spesso non sufficiente per poter dire tutto. Nello stesso modo mi sento di difendere, come quasi sempre faccio in questo blog, il prodotto locale….attenzione, non necessariamente nazionale. Il grano e altri prodotti alimentari esteri certamente non è detto che siano meno pregiati di quelli italiani. Il problema sta nel fatto che, quando un prodotto alimentare, più o meno deperibile, lo stocchi, lo trasporti in cargo da milioni di quintali che viaggiano in mare anche per mesi interi e poi lo movimenti di nuovo e lo depositi in altri silos all’interno di un porto mercantile, certamente devi prendere un bel po’ di precauzioni; perché in tutto questo tragitto al prodotto non deve accadere nulla, dato che è molto suscettibile ad infestazioni dovute a insetti, muffe e roditori. Pensiamo ad un grano raccolto e stoccato in loco, trasportato a malapena per qualche ora e depositato per essere poi molito dopo qualche mese. Certamente richiederà meno precauzioni. Poi dobbiamo tenere conto del fatto che i grandi compratori/speculatori del grano (e questo argomento merita un post successivo!) solitamente comprano, stoccano e hanno necessità di tenere il prodotto depositato anche per più di un anno, per giocare sull’andamento dei prezzi del mercato e speculare. Chi commercia grano è come una banca che invece di possedere valute, possiede granaglie. Quindi, non dico che italiano è meglio, ma che ogni paese dovrebbe fare in modo per prima cosa di utilizzare i propri prodotti per il consumo interno, ma questo è il paradosso del mercato globale, all’interno del quale le merci partono da un posto, fanno giri vorticosi e poi magari tornano anche indietro con un prezzo maggiore.

Stoccare e preservare i cereali

Insomma il grano e gli altri cereali, ma anche caffè, cacao ecc. necessitano per forza di cose di trattamenti che altrimenti, destinerebbero grossa parte delle derrate a sicure infestazioni e problematiche di tipo sanitario. Attualmente sono due le tecniche maggiormente utilizzate: l’impiego
di insetticidi di contatto e la fumigazione con gas tossici come la “fosfina”. Diciamo che il vero problema sono gli insetticidi da contatto (i noti antiparassitari utilizzati in quasi tutte derrate vegetali), sono i meno costosi da applicare e lasciano sicuramente residui sul prodotto. L’utilizzo dei fumiganti come la fosfina è invece, a mio avviso, molto più sicuro. Come anche illustrato dal lavoro “Difesa delle colture e sicurezza degli alimenti: considerazioni sulla filiera cereali” dell’Università di Torino e Università del Molise, e come anche ribadito dal Servizio Fitosanitario della Regione Emilia Romagna (Dossier apparso sul numero di settembre 2004 della rivista “Agricoltura”), l’uso della fosfina consente un’accurata disinfestazione, e come per quasi tutti i fumiganti, essendo sostanze volatili, non lasciano residui apprezzabili sul prodotto. Tanto è vero che un’ottimale riuscita del trattamento richiede sili perfettamente impermeabili, altrimenti la sostanza si volatilizza nell’atmosfera. In realtà l’utilizzo della fosfina è molto costoso e quindi si stanno sviluppando da anni nuove tecniche, come quella a cui si riferisce il Signor Giulio: l’utilizzo delle atmosfere modificate.

L’uso delle atmosfere controllate

Il principio delle atmosfere controllate, o modificate, si basa sul fatto che anche gli insetti hanno bisogno di ossigeno per sopravvivere; inoltre una concentrazione elevata di anidride carbonica ha un effetto tossico sugli insetti. Le prime prove sono state fatte utilizzando l’azoto (un gas inerte
che costituisce circa l’80 % dell’atmosfera che noi respiriamo e che quindi non lascia residui). Tuttavia questo metodo ha incontrato non poche difficoltà, in quanto occorre che l’ossigeno resti sotto l’1% (cosa possibile solo in magazzini praticamente stagni) per un periodo molto lungo (3-4 settimane). Successivamente è stato sperimentato l’impiego dell’anidride carbonica. In questo caso è sufficiente una concentrazione del 40-60%, raggiungibile anche in magazzini non perfettamente stagni, in quanto si sfrutta la tossicità del gas. L’efficacia è ottima, a condizione che vengano
rispettate le concentrazioni ed i tempi, che dipendono dalle specie presenti e della temperatura della massa e dell’ambiente. Sicuramente gli ostacoli maggiori all’impiego di questo gas sono
la mancanza di magazzini ermetici, che aumentano i costi, quando non rendono addirittura impossibile il trattamento, ed i tempi di esposizione, relativamente lunghi (10 ed i 20 giorni).


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