Due le occasioni per arrestare Giuseppe Lo Russo, capo dell’omonimo clan, operante nel quartiere di Miano che l’ex capo della squadra mobile, Pisani, si sarebbe lasciato sfuggire. Nella prima non lo ammanettò, nella seconda, invece, si adoperò al fine di farlo rilasciare.
Sono queste le altre due pesanti accuse mosse al vicequestore Pisani, da parte del pentito Salvatore Lo Russo, fratello di Giuseppe, a capo di un clan conosciuto anche con l’appellativo de “I Capitoni”.
Non mancano le giustificazioni di Vittorio Pisani fornite al giudice per le indagini preliminari, Maria Vittoria Foschini che resta, però, poco convinta.
E, come se non bastasse, dall’ordinanza emergono stretti rapporti tra l’uomo di giustizia e l’imprenditore Marco Iorio (arrestato all’interno dell’operazione Megaride con l’accusa di riciclaggio in vari ristoranti messi sotto sequestro e, proprio ieri, riaperti). Amicizia che il pentito Lo Russo conferma con queste parole «Pisani è amico di Marco Iorio presso il cui ristorante va a cenare tutti i giorni».
In passato pare che Pisani abbia indagato su una rapina avvenuta in uno dei ristoranti dell’imprenditore, rintracciandone celermente i colpevoli. Questi, stando alle accuse, confessarono e restituirono immediatamente 30 mila euro ma Vittorio Pisani, li lasciò andare via senza denunciarli e senza fare rapporto.
A rendere ancora più corposo il fascicolo delle indagini (del pm della Dia Amato, coordinato dal procuratore aggiunto Pennasilico), che ha travolto e messo in cattiva luce un brillante, dinamico ed anagraficamente giovane vice questore italiano, concorrono tanto piccole accuse quanto quelle più pesanti (come quella di aver intascato 160 mila euro in tre anni, consegnati dal capoclan dei capitoni, Salvatore Lo Russo).
E mentre la dottoressa Foschini, giudice per le indagini preliminari, firma dieci pagine per motivare il suo NO alla richiesta di revoca del divieto di dimora a Napoli e provincia (applicata sul primo dirigente lo scorso 30 giugno e presentata dagli avvocati difensori di Pisani), si passa in rassegna il lungo interrogatorio a cui Pisani, davanti allo stesso gip, è stato sottoposto per difendersi dalla accuse (ipotesi di rivelazione di atti coperti da segreto istruttorio e favoreggiamento) lanciategli, tra capo e collo, dal pentito di camorra, Salvatore Lo Russo (personaggio tra i più controversi nella storia della mala napoletana).
Salvatore Lo Russo, definito in passato “doppiogiochista”, oltre a provocare sanguinose faide in diversi quartieri di Napoli (che lasciarono non pochi morti in strada) cercò anche di far arrestare il fratello per prendere in mano le redini del clan. In virtù di quest’ultimo tentativo, lo stesso pentito (ieri maggiore confidente di Pisani tanto da aiutarlo a raggiungere ottimi risultati investigativi e oggi accusatore numero uno del superpoliziotto) rincara la dose affermando che in due diverse occasioni, Vittorio Pisani, non arrestò il fratello Giuseppe (all’epoca capo indiscusso della cosca di Miano).Il pentito, spiega che in una prima occasione, fu proprio lui ad avvisare l’allora capo della squadra Mobile della presenza di due boss Gennaro Longobardi, ras di Pozzuoli e Giuseppe Lo Russo, con i quali, aveva pranzato. Alzandosi con una scusa dal tavolo del ristorante “Covo dei Pirati” di Ischia, si legge sulle pagine del quotidiano napoletano “Il Roma”, chiamò Pisani che, in quella circostanza arrestò il latitante Longobardi ma non Lo Russo senior.
L’ex capo della polizia di Napoli, si difende da queste imputazioni. Al gip racconta che per raggiungere il ristorante via mare passando inosservato, utilizzò una barchetta da pescatore. Sulla stessa tornava, poi, con il boss in manette. Ma resta da chiarire, perché, potendone arrestare due in un solo colpo, legò i polsi di solo uno di questi.
Per il secondo presunto, mancato arresto di Giuseppe Lo Russo, bisogna tornare al 1997 e, ancora una volta ad Ischia. Sull’isola, il boss di Miano, veniva fermato dalla polizia per un normale controllo. Ipotizzando che gli stessero facendo un foglio di via per “estradarlo” da Ischia (i malviventi che approdano sulla terrà circondata dalle acque del Tirreno, ricevono, solitamente, questo trattamento) e stando alle dichiarazioni del fratello Lo Russo, Giuseppe veniva liberato per “intercessione” di Pisani. Il superpoliziotto, infatti, si sarebbe preoccupato di chiamare il dirigente del commissariato per chiederne il rilascio.
Incriminazione che Pisani giustifica al gip. Secondo l’imputato, lasciare libero Giuseppe Lo Russo era necessario per non compromettere le attività investigative in corso. Indagini, lo ricordiamo, che hanno portato Pisani ad arricchire la sua carriere di numerosi successi, uno fra tutti, l’arresto del super latitante dei Casalesi Antonio Iovine.E se questi erano da annoverare tra i “macigni” non si risparmiano nemmeno le pietre scagliate, con forza, contro “l’avvocato”(il nome in codice utilizzato da Lo Russo per riferirsi a Pisani).
E’ ancora il pentito a raccontare come Pisani fece “pressing” sugli agenti di polizia intervenuti a placare la rissa, tra Marco Iorio e Pocho Lavezzi, successiva ad un banale incidente stradale nel quartiere di Chiaja (dove pulsa la movida notturna). La polizia intervenuta sul posto, fermò ed identificò il centravanti del Napoli ma, pare che Pisani, dopo le incessanti richieste d’aiuto ricevute da Iorio, fu costretto ad intervenire.
E in questa scottante situazione dove vige la regola dell’alternanza di piccole e grandi accuse, un altro episodio, è pronto ad essere ricordato e utilizzato contro il grande commissario di Napoli.
Ad aggiungere rumore a questa già chiccheratissima vicenda è il suono dei soldi. Ben trentamila euro. Questo l’ammontare del bottino per un furto subito all’interno di una delle attività di Marco Iorio, ai danni dello stesso. A seguire le indagini in prima persona, è ancora una volta Pisani sollecitato da Iorio vittima della rapina nel suo ristorante al Vomero, in Piazza Vanvitelli.
Diversi giorni di indagini e interrogazioni di alcuni sospettati dopo, il superpoliziotto arrivò all’identità dei ladri. I responsabili, confessarono il reato commesso, restituirono i soldi rubati e, pare che, furono “graziati” da Pisani che né li incriminò, né stese rapporto su queste attività (anche perché Iorio non aveva sporto alcuna denuncia per il furto).
A rincarare la dose sulla già pesante mole di accuse del pentito contro Vittorio Pisani, è un esposto anonimo. Lo stesso esposto, che parlava dei rapporti poco chiari tra Iorio, Pisani e Lo Russo, prima che il boss si pentisse e le cui indagini, furono affidate allo stesso Pisani.
Giuseppe Parente