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I miei straordinari luoghi comuni sull’Italia

Da Gynepraio @valeria_fiore

Ieri pomeriggio ho visto questo video, realizzato da Italian Trade Agency e presentato al Forum di Davos dal Ministero per lo Sviluppo Economico. Nello scoprire eccellenze e primati che non conoscevo, ho capito di non essere realmente consapevole di cosa accade dietro le quinte di questo bistrattato Paese. Con il quale, alla fin fine, non sono (ancora) realmente arrabbiata. Forse perché, come al solito, sono fortunata e non devo scontrarmi quotidianamente con le brutture che lo affliggono, al contrario di molte persone che mi sono vicine. Ho amiche insegnanti, psicologhe, ricercatrici, artiste, mamme, libere professioniste, tutte a modo loro bloccate nel loro percorso di crescita da una scuola, una sanità, un’università, un sistema culturale, sociale ed economico agonizzanti se non del tutto paralizzati. Al massimo sono sfiorata da altri mali, come il pensiero retrogrado, l’immobilismo, la corruzione, la miopia imprenditoriale, la burocrazia pachidermica, i disservizi. Anche nel mio piccolo mondo antico di lavoratrice dipendente sovraspremuta e sottopagata, ci sono motivi di dissenso. Ma pur lamentandomene, resisto alla tentazione di inveire contro l’Italia e soprattutto di idealizzare altri sistemi sociali, quello francese, quello scandinavo, quello americano.

Questa riserva di pazienza nei confronti di Madre Patria si nutre anche di alcune consapevolezze che ho maturato vivendo all’estero. Dell’anno che ho passato negli Stati Uniti, una volta tornata in Italia, mi sono mancate e mi mancano tuttora moltissime cose. Sarà forse che per un anno ho vissuto un’esistenza facilissima, fatta di esami simili a compiti in classe di quinta ginnasio in cui prendevo sempre A senza aprire libro? Forse che ero sempre la più carina e benvestita nonostante fossi ingrassata come una scrofa e mi comprassi gli abiti da Walmart? Forse che stavo in un ambiente internazionale con studenti eccellenti da tutto il mondo, uniti e compatti nell’intento di insegnare-agli-americani-come-ci-si-diverte-davvero? Forse che vivevo in una residenza dove ogni procedura era finalizzata a farti perdere meno tempo possibile, dalla burocrazia, ai pasti fino al funzionamento dell’asciugatrice? Forse che quando sono tornata ho iniziato a lavorare 12 ore al giorno in questo posto qui e non ero più né carina, né brava? Fatto sta che una vita in discesa come quella che ho avuto nel 2004 non ce l’avrò mai più, anche se diventerò ricca e famosa.

Ma mentre ero lì, sdraiata sul mio bunk-bed nella stanza che condividevo con Lauren, mi sono fatta molte domande sull’Italia e su cosa mi mancava. Sul perché, anche nelle giornate più belle e con la compagnia più piacevole, ci fosse sempre qualche cosa di diverso, di distonico, di incrinato che non mi permetteva di sentirmi uguale agli americani, o agli altri stranieri che si erano perfettamente adeguati allo stile di vita locale.

Ragionevolezza. Mi sembrava che in Italia le cose fossero come è “ragionevole” che siano. Che le mele sappiano di mele, e non, che so, di cranberry, che le auto siano fatte per trasportare le persone e non gli oggetti -per quello esistono i veicoli commerciali-, che i letti siano posti dove dormire e non transatlantici in memory foam, che le bottiglie d’acqua non pesino 4kg, che “bevanda fredda” significhi refrigerio e non congestione. Non era una questione alimentare: in un anno ho mangiato la pasta forse 3 volte e non mi sono mai lamentata di quanto mi mancassero le prelibatezze di casa mia. Io non volevo la parmigiana di mia madre, capite? Volevo solo una passata di pomodoro dove non ci fossero cipolla, pupille di civetta, peperoncino, sangue di drago né aglio, ma che so, del pomodoro.

italia tomato sauce

Tomato Concentrate (Tomato Paste, Water), Salt, Dehydrated Onions, Dehydrated Garlic, Spices, Natural Flavorings, Sweet Bell Pepper. Allergy Warning: May Contain Traces Of Milk And Wheat.

Bellezza. Mi è accaduto diverse volte che una passante mi fermasse per dirmi che le piaceva la mia gonna, o il mio cappello: non dove l’avevo preso, quanto costava o di che marca era. Insomma, non volevano comprare o vendere niente, ma solo notificarmi il loro apprezzamento. Gli americani sono entusiasti, complimentosi, inclini alle lodi sperticate o agli aggettivi iperbolici: great, astonishing, gorgeous, incredible. Nel loro caso, la meraviglia è figlia dell’ignoranza, bonariamente parlando. Credo che noi cittadini italiani siamo sovraesposti alla bellezza e abituati a darla per scontata: un agente di commercio toscano vede in una giornata lavorativa più meraviglie architettonico-paesaggistiche di quante un cittadino del Kentucky vedrà mai in tutta la sua vita. A me la bellezza mancava, e non sono mica cresciuta in un borgo dell’Aretino, eh? Io sono di Volpiano, vi ricordo. 

italia san gimignano

Humour. E’ molto frustrante essere una buffona e non riuscire a fare ironia in un’altra lingua. Essere abituati a dialoghi rapidi, a utilizzare riferimenti culturali che nessuno capisce. Oppure rendersi conto che un’uscita che tu trovi esilarante non viene compresa a fondo, perché dietro manca quel terreno comune di valori e significati indispensabile per ridere. Ho finalmente capito perché negli Stati Uniti, patria della stand-up comedy e delle serie TV più esilaranti del mondo, continuino a utilizzare le risate registrate. Che tra l’altro le chiamano Canned laughter, risate in lattina, il che mi riporta all’orrida salsa di pomodoro all’aglio.

Molte volte penso che mi piacerebbe vivere in un altro Paese. Che se fossi straniera, sarei alta, magra, meglio istruita, più sana e profumatamente pagata. Ma forse puzzerei d’aglio e non capirei le battute, e allora ci ripenso.


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