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Il 25 Aprile si avvicina. La terribile storia di Giuseppina Ghersi, la tredicenne uccisa perché accusata di collaborazionismo

Creato il 21 aprile 2012 da Iljester

Il 25 Aprile si avvicina. La terribile storia di Giuseppina Ghersi, la tredicenne uccisa perché accusata di collaborazionismo

Non posso raccontarvi tutto nei dettagli. Espongo sul mio blog una versione sintetica del drammatico caso che solo negli ultimi anni è venuto alla ribalta. Fino al 2005 infatti poco si sapeva di questa orribile storia, abilmente taciuta come tante altre accadute alla fine della seconda guerra mondiale.

Giuseppina Ghersi ebbe forse (o probabilmente) una sola colpa nella sua vita: aver scritto un tema che la maestra inviò al Duce, ottenendone i complimenti, seppure la piccola venne sospettata di collaborazionismo con i nazifascisti, già dal 1944. In ogni caso, prigioniera dei partigiani morì terribilmente, dopo atroci violenze, nel campo di prigionia dove venne rinchiusa con i genitori, miracolosamente scampati alla stessa fine.

Giuseppina nacque nel 1931. All’epoca dei fatti era una una studentessa tredicenne dell’istituto magistrale “Maria Giuseppa Rossello” in Savona. Piuttosto intelligente e studiosa, viveva con i genitori che esercitavano l’attività di vendita di frutta e verdura. I Ghersi erano una famiglia piuttosto agiata.

In base alla testimonianza del padre della ragazza (che la sintetizzerà in una denuncia alla Procura della Repubblica di Savona), la drammatica storia di Giuseppina inizia in 25 aprile. In quel dì, alle 5 pomeridiane, i partigiani, appena entrati a Savona, chiedono ai Ghersi del «materiale di medicazione» che la famiglia non esita a «fornire volentieri». Il giorno successivo, come di consueto, i coniugi si dirigono verso il loro banco di frutta e verdura, ma in zona San Michele, poco dopo le 6.00 del mattino, sono fermati da due partigiani armati di mitra. Vengono portati al Campo di Concentramento di Legino.

A questo punto i Partigiani — così come riferisce la denuncia e le testimonianze dei Ghersi — iniziano il saccheggio della casa dei Ghersi, mentre all’appello manca solo Giuseppina, in quel momento a casa di amici di famiglia.

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I Ghersi vengono trattenuti in cella per due giorni, e i partigiani chiedono della piccola perché intendevano farle alcune domande (essendo stata inserita in una lista di proscrizione, come “spia” al soldo dei nazifascisti). I genitori fidandosi degli uomini che avrebbero dovuto liberarli dall’oppressione fascista, vengono accompagnati dove è custodita la ragazza, e da quel momento inizia l’incubo.

La famiglia Ghersi viene nuovamente riportata al Campo di Concentramento dove si consumerà l’orrore. Madre e figlia – così come raccontano gli stessi Ghersi – vengono malmenate e stuprate (è il 27 aprile), mentre il padre viene costretto ad assistere, incalzato dai suoi aguzzini di rivelare dove tenesse nascosto il denaro e gli oggetti preziosi. Giuseppina intanto sviene e come riferisce l’esposto «non aveva più la forza di chiamare suo papà». Arriva sera e i due coniugi (non la bambina) vengono accompagnati al comando di Via Nella, dove viene loro comunicato che non vi sono accuse a loro carico. Ciononostante i due vengono rinchiusi ancora nel carcere di Sant’Agostino, mentre la piccola Giuseppina rimane in mano ai suoi aguzzini. La ritroveranno cadavere, ferita a morte con una raffica di mitra, presso il Cimitero di Zinola su un cumulo di altri cadaveri. È il 30 aprile 19451.

Al riconoscimento della piccola partecipa Stelvio Murialdo il quale dà una testimonianza agghiacciante:

… erano terribili le condizioni in cui l’ avevano ridotta, evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a cancellare la sua giovane età… Una maschera di sangue, con un occhio bluastro, tumefatto e l’altro spalancato sull’inferno. Ricordo che non riuscivo, come paralizzato, a staccarmi da quella povera disarticolata marionetta, con un braccio irrigidito verso l’ alto, come a proteggere la fronte, mentre un dito spezzato era piegato verso il dorso della mano…

Dopo questi terribili fatti, i Ghersi vanno via da Savona e la storia di Giuseppina cadrà nel dimenticatoio nonostante negli anni ’50, l’Associazione dei Ragazzi di Manfrei tentano di farla conoscere ai più. Ma quelli erano anni bui, e il ricordo del Fascismo era ancora molto forte. Non a caso, fu proprio in quegli anni che si consolidò il dogma della Resistenza storica.

Il silenzio dura fino al 2005, quando si inizia a commemorare per la prima volta i martiri delle Foibe. Nel 2008 si tenta così di fare riconoscere una targa in memoria della piccola Giuseppina, ma senza successo. La notizia esce su La Stampa, versione locale. A tal proposito Vanna Vaccani Artioli, per 27 anni Segretaria Provinciale e Consigliere Nazionale dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani Italiani), interpellata sulla questione, affermerà laconicamete:

Mi ricordo di Giuseppina Ghersi. Era poco più che una ragazzina ma collaborava con i fascisti. La sua fu sicuramente un’esecuzione2.

Dopo di allora scende nuovamente il silenzio. Finché nel 2011, il Consigliere Comunale Alfredo Remigio, chiede che venga «intitolato uno spazio pubblico o, quantomeno, istituito un Giorno del Ricordo in memoria di Giuseppina Ghersi». Il Comune di Savona naturalmente respinge la richiesta, mentre la sinistra insorge indignata e Wikipedia rifiuta di aprire una pagina sulla ragazza, ritenendo la storia (e le fonti) poco chiare.

Personalmente sono rimasto piuttosto addolorato e impressionato da questa vicenda, e ho provato a vederci chiaro, andando per la rete a cercare informazioni ulteriori. Come sempre accade in questi casi, si è creata una sorta di contrapposizione ideologica tra chi ritiene la storia della resistenza un dogma con i suoi crismi e le sue verità precostituite (tentando peraltro di considerare l’emergere di queste vicende strumentalmente atte a demolire il mito della liberazione dal fascismo), e chi invece prova a squarciare il velo di ipocrisia che amanta come un sudario un periodo della nostra storia recente non privo di sfumature inquietanti3. Perché è certo che la Storia con la S maiuscola non emette giudizi, né dà visioni etiche dei fatti, come alcuni vorrebbero. La storia è puramente oggettiva, e piegarla alla ideologia dominante è ancora più terribile dei singoli fatti umani che la compongono. 

  1. Nel del Comune di Zinola i documenti riportano la data del 26 aprile. Questa data contrasta con la versione data dal padre della piccola.
  2. L’accusa di collaborazionismo non può essere ribattuta perché, nel contempo, i parenti di uno dei partigiani, probabilmente coinvolti nel fatto, denunciarono La Stampa, richiedendo un risarcimento che per legge spetta loro visto che il crimine in questione è stato amnistiato dalla Repubblica Italiana e a nessuno può essere imputato.
  3. A tal proposito riporto la versione di Gianpaolo Pansa, nel suo Il Sangue dei Vinti: «… La mattina del 25 aprile, una ragazzina di 13 anni, Giuseppina Ghersi, studentessa delle magistrali alla “Rossello”, venne sequestrata in viale Dante Alighieri e scomparve. Apparteneva a una famiglia agiata, commercianti in ortofrutticoli. I Ghersi non erano neppure iscritti al PFN. Soltanto un loro parente, Attilio M., 33 anni, operaio, aveva la tessera del partito. (…) Forse era proprio costui all’origine del sequestro di Giuseppina. Secondo Numa, che ha ricostruito l’intero episodio, durante la guerra civile la ragazzina poteva aver visto qualcosa che non doveva vedere e l’aveva riferito all’Attillio. (…) I rapitori di Giuseppina decisero subito che lei aveva fatto la spia per i fascisti o per i tedeschi. Le tagliarono i capelli a zero. Le cosparsero la testa di vernice rossa. La condussero al campo di raccolta dei fascisti a Legino, sempre nel comune di Savona. Qui la pestarono e la violentarono. Una parente che era riuscita a rintracciarla a Legino la trovò ridotta allo stremo. La ragazzina piangeva. Implorava: “Aiutatemi!, mi vogliono uccidere”. Non ci fu il tempo di salvarla perché venne presto freddata con una raffica di mitra, vicino al cimitero di Zinola. Chi ne vide il cadavere, lo trovò in condizioni pietose.»

di Martino © 2012 Il Jester 


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