Magazine Diario personale

Il cacciatore di autografi

Creato il 30 settembre 2012 da Povna @povna

L’arrivo dell’Ozio nella piccola città, così come la sua inaspettata apparizione nella serata ‘povnica, ha determinato, la settimana scorsa, una serie rutilante di complicazioni della trama. Perché l’Ozio – che già quella prima volta si era divertito tantissimo – si è infilato nella loro vita sociale con naturalezza, coinvolgendo in primo luogo sua nipote (e l’Amica Vicina al seguito – ché i due si erano trovati, reciprocamente, amabilissimi) in una serie di eventi: dalle cene ufficiali, alle conferenze da premio Nobel in trasferta, dalla lettura di articoli difficilissimi (sui quali poi l’Ozio finiva per chiedere parere, e interrogarle) alla condivisione di un congruo numero di cene e di grappette. Per non parlare della mostra di quadri alle 2 di notte, o dei coffee-break (da Hogwarts agli studiosi generosamente offerti) cui la ‘povna e l’Amica Vicina si sono imbucate con grazia, a suon di vini prelibati e raffinatissimi spuntini. Tutto questo – oltre ad avere determinato il numero più basso di ore di sonno di settembre mai dormito negli ultimi vent’anni – ha permesso alla ‘povna una serie variegata di osservazioni sociologiche. Dalle affinità elettive a (scontate) riflessioni sui rapporti di famiglia; dalle “coincidenze inevitabili” (la definizione, che la ‘povna userà fino alla morte, è stata loro offerta, e dimostrata, direttamente dall’Ozio) a come siano diverse, nella comunità di amici e conoscenti, le reazioni personali all’incontro con la Fama.
Appartiene a questo ultimo punto la storia che la ‘povna si accinge a raccontare; non inaspettata, ma triste. E che la fa riflettere, soprattutto, sulla mancanza di consapevolezza, perché è probabile che il suo protagonista (che pure, in termini di buon comportamento, l’ha fatta, semplicemente, grossa) continuerà a passare nella vita senza rendersi conto: della sua propria arroganza, della grettezza di fondo, di quanto sia importante, per stare al mondo, l’educazione delle brave madri.
L’episodio, nei fatti, è presto detto. Come si ricorderà, il lunedì sera, durante il primo incontro, l’allegra comitiva si era lasciata prospettando una cenetta – che avrebbe coinvolto, in una mescolanza (usuale, visto che da tempo si conoscono) di amicizia e di famiglia, insieme ai loro rispettivi zii, la ‘povna e gli Amici Vicini. Poiché il livello della confidenza si era spostato dalla casualità di un aperitivo volante a quello di rapporti coltivati e intensi, il discorso, nato per caso, non aveva coinvolto in alcun modo Krypton, che, in quanto loro superficiale (per la ‘povna: molto) conoscente, costituisce il tipico legame di piazza: certo, facciamo pure un bicchiere insieme, se ti incontro. Ma poi ognuno se ne ritorna, per separate strade, a casa.
La ‘povna e l’Amica Vicina restano dunque purtroppo non sorprese quando, il giorno seguente, ritrovano Krypton al solito baretto.
“Tu sei una disgraziata” – accoglie l’Amica Vicina con lo sguardo affannato da ‘oddio-speriamo-di-non-avere-sfigurato-troppo’ – “non mi avevi detto che suo zio era davvero un premio Nobel”.
La nipote di “suo zio” lo guarda scettica. E Krypton si rivolge a lei, mellifluo, e anche prontissimo:
“Carissima, come stai” – e giù bacio-bacio (per la prima volta da quando si conoscono) – “ci pensi, gli chiedevo l’autografo, a saperlo…”.
La ‘povna (cui la mamma l’educazione l’ha insegnata, e pure tanto) “ci pensa”. Ma quello che pensa non lo può certo dire. Krypton va avanti per la sua strada, con protervia: “Va beh, poco male” – ammicca – “vuol dire che glielo chiedo venerdì”.
La ‘povna di nuovo tace (può fare poco altro). Lei e l’Amica Vicina si scintillano un messaggio. Poi Krypton (che ha amici più interessanti cui badare, oggi) gira loro la schiena, e se ne fotte (anche, se prima di andare, avrà cura di avvicinarsi di nuovo a giuggiolarle, e baci e abbracci, e “meravigliose fanciulle” pure al momento dei saluti).
Quello che Krypton non sa (perché, per l’appunto, la ‘povna, per davvero, nemmeno la conosce) è che così si è giocato ogni remota possibilità di presenza. Perché se c’è una cosa che le fa saltar la mosca al naso – al punto da farle dimenticare persino come si sta al mondo – è che qualcuno, in situazioni come questa, le forzi in mano il gioco, senza apparente possibilità di scelta. Imponendole la carta da gettare. Così la cena viene organizzata senza di lui, ovviamente, e anche senza remore. Mentre l’Amica Vicina, giorno dopo giorno, ostenta di non rispondere alle telefonate che giungono costanti, perché il parvenu della scienza, disperato all’idea di perdere l’evento (e incapace anche, va detto, di contattare direttamente la nipote dello zio che tanto anela a ri-conoscere) non sa più cosa tentare.
Si arriva così al venerdì dell’appuntamento. La ‘povna e tutto il gruppo si stanno sedendo a tavola, in gran chiacchiere, all’Osteria del Gambero Rosso. Poco prima di ordinare, l’Amica Vicina le dà il gomito: “Leggi!”.
Testo, parola per parola, di un sms: “Ciao, volevo sapere se allora la fate, la cena dei mille punti. Se sì, mi piacerebbe esserci, anche se una cosa di famiglia. Magari anche dopo”.
Silenzio.
Silenzio.
Si guardano negli occhi: “Per me ravioli, e dopo trippa!” – ordinano convinte – “E poi, facciamo un brindisi!”.
“Alle coincidenze!”.
“Alla salute dei presenti!”.
“Ma anche” – aggiungono mute, in un coro silenzioso, eppure scandito con chiarezza – “alla faccia, delusa, degli arrampicatori culturali”.


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