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Il conflitto sociale passa per le generazioni – guest post di Leonardo Palmisano.

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite
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L’articolo che segue è il secondo guest post su Destinazione Cuore Stomaco e Cervello (#DcSc). Dopo Marco Dominici con “Atene Città Aperta“, questa volta ho il piacere e l’onore di ospitare Leonardo Palmisano, sociologo, giornalista e autore di Dopo di Lui, edito da Caratteri Mobili.

L’articolo è la versione italiana di Alter, go home! che Leonardo Palmisano ha pubblicato sul Taz, quotidiano stampato a Berlino e tra i più letti in Germania.

Il conflitto sociale passa per le generazioni

In Vita Activa, Hannah Arendt ha scritto che ‘la divisione del lavoro [quindi della società] si sviluppa direttamente dal processo lavorativo’. Preoccupandosi delle professioni meccaniche e non di quelle creative, la filosofa era nel pieno del dibattito ‘classista’ del suo tempo. Se attualizziamo il suo pensiero, e lo applichiamo al laboratorio social-politico italiano, dobbiamo pensare a una riformulazione del concetto di classe che tenga dentro un elemento colpevolmente dimenticato dalle classi dirigenti della Penisola: l’età.

In Italia l’attuale dibattito politico intorno al lavoro divide le forze sull’art. 18, cioè sulla possibilità di licenziare liberamente in tutte le imprese che hanno più di 15 addetti. A fronte di questo, ci sono circa quaranta forme contrattuali tutte destinate a una sola generazione: i Trenta/Quarantenni (T/Q sono stati definiti). Agli altri, ai Cinquanta/Sessantenni (C/S), quando assunti e non espulsi dal mercato prima della pensione, si applica una sola forma di contratto: quello a tempo indeterminato, che dura tutta una vita e dà diritto a una pensione lontana ma garantita.

Un processo lavorativo drogato da un eccesso di contratti a ‘tempo parziale’ produce una società ‘intermedia’ e ‘a tempo perso’ dove la generazione dei C/S detiene un surplus di potere senza avere le adeguate competenze per portare il paese fuori della crisi.

I C/S entrano nel mercato del lavoro in pieno boom economico e finanziario, quando l’Italia tirava e si attestava come nuova potenza industriale e bancaria. I C/S entrano nel mondo della scuola e dell’università, del pubblico impiego e in quello privato spesso senza una laurea o senza un concorso, ma ben presto scalano la piramide sociale in virtù della necessità soprattutto clientelare di quadri e dirigenti da immettere nel lavoro.

I C/S partecipano alle rivolte del ’68 e del ’77 esigendo una maggiore liberalità nei costumi che si è tradotta nella libertà dei consumi. I C/S hanno introdotto la transazione sessuale (sesso in cambio di ruoli e lavoro) e la ‘tangente’ (denaro in cambio di appalti e favori) come aspetto consueto della vita pubblica italiana. Tanto è vero che durante la seconda Repubblica – appena morta con la caduta di Berlusconi – i C/S hanno furbescamente riorganizzato il potere, demolito i partiti, svuotato la Democrazia e la partecipazione per imporre un sistema informale e mafioso di regole che io chiamo ‘tangentomania’.

I C/S hanno introdotto un ribaltamento semantico della parola ‘bello’ imponendo regole sull’urbanizzazione delle città che hanno radicalmente imbruttito il Bel Paese, e regole sulla produzione culturale e sull’intrattenimento che hanno prostituito la televisione, il cinema, la narrativa, le arti e perfino lo sport italiano. Ci sono notissimi C/S che incarnano questa degenerazione di una generazione: Marchionne, Benetton, Cimoli, Antonio Ricci. Gli attuali capi dei partiti italiani vengono da quella generazione. Il grosso del management e dell’amministrazione bancaria pure. In poche parole: la più forte e più facile concentrazione di potere della storia d’Italia è nelle mani di una generazione pigra e inadatta.

A differenza di questi, gli under quaranta (T/Q) sono l’ultima generazione formata nelle università italiane prima di una riforma che ha indebolito didattica e ricerca a vantaggio delle carriere dei C/S. I T/Q, quando lavorano, occupano posizioni di basso profilo ma ad alto contenuto di innovazione, e recentemente l’Istat ha rivelato che tra questi in tre anni si sono persi un milione e seicentomila posti di lavoro, mentre tra i C/S se ne sono guadagnati quasi trecentomila.

I T/Q sono tecnici, laureati, operai specializzati che portano avanti tutto un sistema produttivo ma sono sottocontrattualizzati, esclusi dall’accesso al credito per l’impresa, espulsi dal mercato immobiliare e dalle grandi e medie città. Ai T/Q adesso spetta l’onere di ereditare un Paese devastato dai C/S e di ricostruirlo.

Ma con quali certezze?

Pochi si sono interrogati, per esempio, sulla complessa psicologia di questa generazione, che se da una parte vuol riprendere a fare famiglia, dall’altra non può perché priva di mezzi e di tutele sociali, ma non di idee. E in un paese dove il mercato delle idee è a tutto vantaggio di chi nel tempo ha prodotto quella che Massimiliano Panarari ha definito ‘egemonia sottoculturale’, allora ecco spiegato il nuovo brain drain, ma anche la forte opposizione etico-simbolica tra C/S e T/Q.

I C/S giustificano ancora l’uso del corpo delle donne per vendere qualunque cosa – lo ha fatto recentemente il fotografo Oliviero Toscani – mentre tra i T/Q si sta sviluppando una opposizione morale che osteggia la mercificazione dei corpi e delle persone. I C/S sono, statistiche alla mano, i più grossi consumatori di prostituzione di strada; i T/Q cercano l’amore. I C/S non protestano più, perché seduti nelle loro comode poltrone di consumatori senza scrupoli. I T/Q erano in piazza a Roma il 15 ottobre 2011 ad esigere dignità e rispetto, ricevendo manganellate dalla polizia del leghista Maroni.

La vera differenza tra le due generazioni sta nella considerazione della Democrazia.

I C/S hanno smantellato i dispositivi democratici usciti dalla Resistenza e dall’Antifascismo a vantaggio di una Democrazia di apparato e di ratifica, da voto televisivo e da telequiz. Alla protesta dei T/Q i C/S hanno contrapposto nel tempo l’uso della violenza poliziesca, dal G8 di Genova alle recenti manifestazioni No-Tav.

I C/S sono un violento concentrato monopolista di potere inadatto alla nuova era e alla globalizzazione della democrazia. Non è un caso che la caduta di Silvio Berlusconi abbia rivelato la fragilità di questa generazione di vecchi. Quando l’arroganza prevale sul buon senso, quando la corruzione diventa sistema diffuso, quando riappare l’immoralità sulla scena pubblica, qualcosa si sta scardinando.

Le vittime sacrificali dei conflitti generazionali sono sempre più giovani – penso alle giovanissime vittime di mafia o ai militari uccisi nelle missioni in Medio Oriente: evidentemente qualcuno ha mosso guerra. I C/S hanno scatenato la loro ultima battaglia prima di piegarsi inesorabilmente alla sorte. Le università perdono ricercatori giovani, i giornali vivono la protesta dei giovani pubblicisti, le fabbriche soffrono gli scioperi dei giovani operai, i partiti perdono giovani militanti, i morti sul lavoro sono sempre più giovani, la camorra è insidiata da giovani scissionisti, e nella nuova impoverita famiglia italiana il conflitto tra padri e figli non è più etico, ma materiale.

Stando così le cose, conviene che i C/S facciano un immediato passo indietro nel mondo del lavoro, prima che il conflitto tra generazioni esploda come nuovo conflitto di classe: dove un’iniqua divisione delle tutele sociali e delle forme contrattuali sta portando il proletariato T/Q a serrare le fila contro una flaccida e aristocratica borghesia C/S.

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