Una delle norme presenti nel Decreto Sviluppo dello scorso ottobre, riguarda la possibilità per le start up di raccogliere finanziamenti attraverso un nuovo strumento di raccolta: il crowdfunding.
Da qualche giorno la Consob, la commissione nazionale che controlla le attività legate alle società quotate e la raccolta di capitali sul mercato, ha pubblicato la bozza del Regolamento in materia di “raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line”. Si tratta di un’innovazione importante, anche se per ora limitata alle start up, che apre l’accesso al credito e al finanziamento diffuso, saltando, di fatto il circuito del credito bancario e aprendo nuove prospettive a chi ricerca fondi per lanciare il proprio progetto imprenditoriale. Il regolamento mette anche l’Italia all’avanguardia nel mondo del crowdfunding.
COS E’ IL CROWDFUNDING?
Secondo Wikipedia Il crowd funding o crowdfunding (dall’inglese crowd, folla e funding, finanziamento) è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone ed organizzazioni.

Il crowdfunding sale alla ribalta della cronaca quando Barack Obama lo inserisce, nel settembre 2011, in una serie di proposte avanzate al Congresso USA – note come Jobs Act - con l’obiettivo di rilanciare l’economia americana. In particolare, il punto 10 propone di ridurre le regole con cui le piccole imprese raccolgono capitali, facilitandone l’accesso anche attraverso il crowdfunding, mantenendo da un lato le tutele sugli investitori. ma svincolandole dai soli grandi investitori istituzionali.

Nei Paesi anglosassoni e in Europa, il crowdfunding si sta rapidamente diffondendo come metodo alternativo di finanziamento di progetti, non solo sociali.
Negli Stati Uniti, piattaforme come Kickstarter.com riescono a raccogliere milioni di euro per finanziare progetti tecnologici mentre in Italia sono già attive 16 piattaforme (e altre cinque sono in lancio) che hanno ricevuto 30.000 progetti (di cui 9.000 approvati / pubblicati) raccogliendo 13 milioni di euro. Un’analisi più dettagliata della situazione italiana è contenuta nella ricerca “Analisi delle piattaforme italiane di crowdfunding” di Univ. Cattolica / twintangibles&crowdfuture.
In Europa sono oltre 300 i milioni di euro raccolti attraverso 200 piattaforme di crowdfunding attive. Un numero che dovrebbe crescere del 50% secondo il rapporto European Crowdfunding Network scaricabile qui che delinea lo scenario europeo

1. Modelli Reward-based o basate su ricompense: le persone che effettuano una donazione per un progetto ricevono in cambio una ricompensa o un premio, siano essi materiali (per esempio, il pre-ordine del prodotto non ancora sul mercato) o intangibili (per es. un grazie sul sito web). Più dei 2/3 di tutte le piattaforme al mondo sono di questo tipo, utilizzate in modo orizzontale e non necessariamente specializzate nel Sociale. Il modello può essere ulteriormente diviso in due sottogruppi principali: il modello all-or-nothing (“tutto o niente”) – es. Eppela – in cui la raccolta dei capitali non avviene se le promesse non raggiungono il target, e il modello take-it-all (“prendi tutto”) – in cui il finanziamento giunge al progetto a prescindere se esso raggiunga o meno il target entro la scadenza prefissata.
2. Donazioni. Il servizio di tali piattaforme è ad uso esclusivo delle organizzazioni non profit (ONP) e dei loro sostenitori. In Italia esistono 5 piattaforme che seguono questo modello. Retedeldono è attualmente la piattaforma leader con all’attivo oltre 220.000€ di raccolta fondi sui 245.000€ di questo settore.
3. Modelli Equity-based o basati su azioni finanziarie: gli iniziatori del progetto definiscono un periodo di tempo e una somma target. Il target è diviso in migliaia di parti uguali offerte in forma di azioni a prezzo fisso. Le offerte proseguono finché non si raggiunge il target dopo di che inizia la fase di investimento vera e propria. Le piattaforme seguono due modelli principali: Club – in cui i potenziali investitori vengono reclutati come membri di un club di investimento chiuso evitando la sollecitazione al pubblico – oppure Holding (o Cooperativa) – in cui si crea una cooperativa che funge da meccanismo di raccolta dell’investimento: i contribuenti individuali vengono radunati in entità legali che investono nei progetti. Un esempio italiano è SiamoSoci.
4. Social Lending (Microfinanza)
A) Modello micro-prestiti attraverso la raccolta di piccole somme diffuse
B) Prestito Peer-to-peer: è una transazione finanziaria (prestito) in cui un gruppo di persone presta picole somme di denaro alla stessa persona o organizzazione.
Esempi italiani sono Smartika (prima Zopa) o Prestiamoci.

Questo crea un mercato interamente nuovo: da un lato i portali o piattaforme di raccolta, che dovranno essere gestiti da Banche, investitori autorizzati (per esempio le SIM) o da società che verranno inserite in un registro speciale sotto la sorveglianza della CONSOB. Dall’altro le start up, oggi particolarmente penalizzate nell’accesso al credito e spesso sottocapitalizzate, che, qualora abbiano caratteristiche di innovazione tecnologica o utilità sociale, avranno accesso a una modalità alternativa di raccolta di capitali. In mezzo i finanziatori, ovvero, potenzialmente, l’intera popolazione italiana che potrà partecipare in prima persona allo sviluppo economico, finanziario e sociale scegliendo i progetti preferiti in cui investire anche solo pochi euro.
Certo, non sono tutte rose e fiori. Per gli investitori innanzitutto, visto che l’investimento in start up è tra quelli a rischio finanziario più elevato. Per questo motivo l’azienda che sceglie questa strada di finanziamento, dovrà essere accompagnata da un investitore professionale e vengono previste, obbligatoriamente, tutte le informazioni che devono essere fornite ai sottoscrittori.
Inoltre l’Italia è molto diversa dagli Stati Uniti dove Kickstarter, nel 2012, è riuscito a raccogliere, da solo, quasi 320 milioni di dollari da parte di 2 milioni di investitori. Culturalmente innanzitutto – anche se pure Kickstarter ha dovuto emanare direttive più strette dopo che ritardi o fallimenti nei progetti avevano portato a delusioni nei finanziatori che si approcciavano al mezzo quasi come a un sito di e-commerce più che a un’operazione finanziaria vera e propria – per quanto riguarda la propensione al rischio e la creazione di capitali di rischio, ma anche per fattori tecnologici come il digital divide, la difficoltà di promozione delle piattaforme e la frammentazione, e difficoltà tecniche nei sistemi di pagamento.
