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Il cuore del Rione Prati come e peggio della periferia più profonda. Una lettera "sognatrice" per "istigare" a non avere paura

Creato il 03 dicembre 2014 da Romafaschifo

Via Carlo Mirabello, quartiere Prati, è dedicata ad un grand’uomo che dopo aver fatto la guerra d’indipendenza del 1866 divenne, grazie alle sue doti scientifiche, il braccio destro di Marconi e, successivamente, Ministro della Marina. Insomma, non uno qualunque.
Cosa direbbe il buon vecchio Carlo se oggi si facesse un giro nell’omonima via? Si stupirebbe nel vedere le macchine parcheggiate (parcheggiate?) una sopra l’altra, in ogni angolo della strada e non? Sorriderebbe nel vedere i due (dico due) negozi di alimentari bengalesi aperti a pochi metri di distanza l’uno dall’altro e aperti fino a notte fonda? Tirerebbe fuori la spada vedendo gli escavangers scavare nei bidoni della spazzatura, o defecare e orinare li vicino dopo aver bevuto vino pregiato dai minimarket di cui sopra? Si farebbe un giro nei vari bordelli presenti nei vari palazzi di questa rispettabile strada? O strabuzzerebbe gli occhi e gli verrebbe un colpo? Beh, in ogni caso tutto questo capita a due passi dal Tribunale penale, a pochi metri dalla caserma dei Carabinieri, a dieci minuti dal Vaticano, sotto gli occhi inermi di tutti quei cittadini che, a torto o a ragione, si girano dall’altra parte.
Certo, qui non abbiamo i problemi dei nostri poveri concittadini di Tor Sapienza o di chi convive con la prostituzione sotto le loro casse. Ma anche questa storia sta arrivando ad un parossismo che desideriamo segnalare. Il degrado morale e fisico che ci assedia da anni è diventato, per qualcuno, un fardello troppo grosso da sostenere. Stiamo perdendo la battaglia, ci stiamo assuefacendo allo schifo strisciante. Ho provato in prima persona ad intervenire. Ho provato a coinvolgere altre persone ma poche, troppo poche, sono disposte a rischiare in prima persona. Quindi, spesso, mi sono trovato a combattere (COMBATTERE) da solo contro gruppi di nomadi ubriachi cercando di mandarli via senza avere supporto da chi vive in questa via come me, se non parole. Attenzione, non critico chi ha paura. Soprattutto se si parla di persone di una certa età che, fondamentalmente, sono indifese. Anzi è soprattutto per loro che io ci metto la faccia. Eppure penso che non bisogna più avere paura, non perché razionalmente non sia paurosa la questione, bensì perché non possiamo più scegliere la paura come rifugio sicuro. La paura non è più una possibilità. Se la si sceglie abbiamo già perso, tanto vale aprire le porte delle nostre case e permettere all'immondizia umana di entrare e fare i loro porci comodi.
Mi trovo, sempre più spesso, a parlare con gente normale, gente come noi, commercianti, impiegati, abitanti di zona, che ha negli occhi una rabbia enorme per il declino che una città come Roma sta prendendo. Dove ormai le regole sono roba per deficienti e chi se ne fotte la fa da padrone. Vedo, negli occhi di queste persone, voglia di fare, ma non sapere come fare. E allora partono iniziative isolate, di gente che tira sugli zingari che pisciano per strada buste piene d’acqua, qualcuno scendere dalle loro case per prenderli a calci nel sedere, qualcun altro tappezzare la via di manifesti nella speranza che le persone (“perbene”?) non buttino la spazzatura fuori dai cestoni ma, se li trovano pieni, vadano altrove a buttare la loro immondizia. Lo sapete anche voi, c'è gente insospettabile che, se potesse, sterminerebbe il nemico. Ma non è questo di cui abbiamo bisogno, vero? Non è la violenza, che risponde alla loro violenza. Certo, perché camminare per una strada che è una discarica a cielo aperto, dove la puzza regna sovrana, dove i rovistatori con i loro carretti passano a intervalli di 20 minuti a squadre di 2-3 persone cercando nei cassonetti (e fuori) quello che poi rivenderanno nei loro schifosissimi bazar, buttando un occhio ai portoni aperti dove potersi intrufolare all'occorrenza, dove si beve alcool ad ogni ora del giorno (e della notte) grazie ai minimarket che vendono vino a buon mercato e lasciano che gli “avventori” restino fuori dai loro negozi come se fossero dei bar, dove i cassonetti pubblici sono utilizzati come latrine a cielo aperto (oltre che come alcove improvvisate: abbiamo visto gente accoppiarsi per strada!!!), dove si parcheggia fottendosene delle più elementari regole di buon senso, dove anche chi ha gli strumenti base di educazione civica preferisce accantonarli, è subire violenza. E non è un fatto che questi scarti umani hanno fatto il “salto di qualità”? Che se si prova a dire qualcosa a queste bestie orinanti ormai ti rispondono apostrofandoti malamente? Non è violenza questa? Il non volersi adeguare alle regole è qualcosa che è già avvenuto. Ma non è la violenza che risponde alla violenza, certo. Ma la prevenzione e la fermezza si. L’unione fa la forza, di dice. Essere per bene è ancora un valore, dalle mie parti. E se siamo 5-10-100 su questa via a pensarla così allora è il momento di aggregarci. Cosa aspettiamo? Che dalla strada lo schifo entri nei nostri palazzi? Qui da noi è già successo. Un ubriaco, pochi mesi fa, fuori dal mio pianerottolo. Sono uscito con una racchetta in mano, aspettandomi il peggio, mia moglie chiusa in casa. Fortunatamente qualcuno aveva chiamato la polizia e tutto si è concluso con l’allontanamento (non il fermo, ma l’allontanamento) del simpatico individuo che voleva entrare nell’appartamento accanto al mio. E' andata bene perché non ha opposto resistenza. Ma mi risulta che i raptus di follia siano, appunto, raptus. E se il simpatico visitatore avesse avuto un coltello in quel momento? E se al mio posto ci fosse stata una persona anziana? E se domani vostra figlia rientrasse nell’androne del palazzo e...
Finché avrò un minimo di forza in corpo non mi arrenderò. Cercare di svegliare le coscienze sopite e rassegnate è un qualcosa che mi sono imposto. Da solo faccio fatica, certo. Ma se siamo uniti, se siamo già un gruppetto (e lo siamo, basta guardarsi intorno) possiamo almeno provarci. Chi la vede come noi non deve restare chiuso nella propria rabbia come un Clint Eastwood dei noantri, bensì deve uscire, confrontarsi, partecipare e far partecipare. I comitati di quartiere sono qualcosa di concreto, ma a volte non bastano. La polizia ha pochi mezzi, e se deve scegliere tra correre verso una chiamata di emergenza invece che per un intervento su chi sta facendo schiamazzi per la via è comprensibile. Le lettere alle istituzioni perché facciano qualcosa vanno benissimo. Tutto fa gioco. Nella mia via vivono professionisti, gente in gamba, capace. Può essere messa sotto i piedi schifosi di chi vuole ridurre tutto a lordume? Non sono loro ad essere di più, ma noi. Solo che loro fanno più casino. Non dobbiamo stare fermi. Le voci corrono, le notizie anche. Se, ad esempio, da domani si sapesse che nella mia via è meglio evitare di fare i casini di cui sopra perché chi ci vive è molto stanco e tanto arrabbiato da essere pronto a tutto (ovviamente un “tutto” completamente ed esclusivamente legale) per evitare che questo degrado continui, pensate che questi signori continuerebbero a venire indisturbati o troverebbero altre vie dove andare a fare i loro porci comodi? E se la cosa fosse replicata a macchia d'olio? In questo io ci credo. Per cercare di cambiare occorre partire dal particolare per poi arrivare al generale. Io vivo qui, in questa via che ogni giorno decade un pò di più. Ma non mi arrendo. Non voglio stare zitto. Voglio combattere, nel rispetto delle regole ovvio, contro chi le regole non le rispetta. E se siamo più persone saremo più credibili.
Sono solo un sognatore?
Gianmaria

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