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Il diario di un curato di campagna – Robert Bresson

Creato il 17 agosto 2015 da Maxscorda @MaxScorda

17 agosto 2015 Lascia un commento

Diario di un curato di campagna
Sono pieno di pregiudizi lo ammetto ma d’altro canto in questi anni mi sono stati buoni consiglieri facendomi dribblare stereotipi e luoghi comuni.
E’ anche vero pero’ che riesco a liberarmene in fretta se una voce che considero autorevole mi consiglia altrimenti e la la voce e’ quella di Deleuze e poco importa che Bresson sia francese e le sue storie poco in linea coi miei gusti. Il suo stile pero’ no. Importante riferimento del minimalismo cinematografico, espressionista nel paradigma visivo oltreche’ letterario, ha contrapposto la sua voce alla nascente nouvelle vague pur delineando tracce che anche da quelle parti avrebbero seguito.
Inizio il viaggio nel suo cinema con "Il diario di un curato di campagna", non opera prima ma primo successo di critica e modello di stile e carattere.
E’ la storia di un curato di campagna appunto, un giovane prete pieno di dubbi e dolore, tormentato nell’anima e nel corpo con dolori di stomaco che lo obbligano ad una dieta di solo pane, frutta e vino, insufficienti persino per stare in piedi senza svenire. Osteggiato dalla popolazione che non comprende il suo fare austero e alienato, verra’ coinvolto nelle vicende della ricca e nobile famiglia del paese dove il signore intrattiene rapporti con una giovane cameriera, la moglie ha cessato di esistere quando le mori’ il figlio maschio e la figlia che non riesce a rimanere impassibile innanzi il tradimento del padre e l’inerzia della madre.
La conversione di quest’ultima alla fede da tempo perduta, avra’ conseguenze sulla vita di tutti.
Ebbene sono colpito, affascinato anzi da un film diverso da tutti gli altri perche’ Bresson fu egli stesso un regista diverso da tutti gli altri. La negazione del cinema inteso come narrazione lineare o rappresentazione e il soggetto ridotto all’essenziale ma che esplode in dialoghi dall’enorme peso specifico quando serve, fa di questo film un punto zero nella cinematografia non solo francese ma internazionale. Tarkovskij lo elesse suo film favorito e non c’e’ motivo di dubitarne ritrovando lo stesso immobile tormento, la dirompente energia potenziale racchiusa negli oggetti inanimati, nei soggetti sepolti in loro stessi, fino a Scorsese che sul prete modello’ l’introspezione del Travis di "Taxi driver". Strutturato a piccoli racconti che come episodi di una serie narrano storie diverse ma orientate verso una grande trama comune, si resta invischiati nella progressione degli eventi e l’assenza di recitazione, come volere di Bresson, induce a introiettare il dramma in se stessi veicolando l’empatia in un sentimento universale di passione che e’ missione perche’ la via verso la santita’ passa per la semplicita’, per quell’essere bambini che piu’ volte vengono evocati e che cosi’ bene Claude Laydu, l’interprete principale, ha portato sullo schermo.
Formidabile, semplicemente formidabile.

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