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IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 21 - 22 )

Creato il 02 aprile 2011 da Francy
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IL TESORO PIU' GRANDE di Fabiola D'Amico ( Cap. 21 - 22 )
  
 I lunghi capelli sciolti sulle spalle a incorniciare un viso pallido e magro, due occhi grandi, pieni di rinnovata speranza, e un dolce sorriso fu quanto vide la baronessa quando entrò nella stanza dove era Isabella. Con un gesto impulsivo, si accostò e l’abbracciò teneramente, poi riconquistando parte del suo autocontrollo si sedette sulla sedia vicino il letto e le disse: «Mia cara per me è una gioia avervi qui. Vostro padre mi ha molto parlato di voi, era orgoglioso di quello che avete fatto nella vostra vita. Per questo ha chiesto il vostro aiuto».  La baronessa prese da un pacco che aveva in mano dei documenti e li mostrò a Isabella e a Juan. «Il motivo della morte di vostro padre è in questi incartamenti, ma prima di spiegarvene il contenuto credo che Isabella sia giusto dirvi quanto è accaduto in questi ultimi tempi a vostro padre».   Dopo una breve pausa, la donna continuò il suo racconto. «Quando il conte Torrelles giunse a Palermo, fu subito accolto dalla cerchia nobile. Io lo trovai subito molto attraente e non vi nascondo che lo desiderai, ma per lui c’era una sola donna. Sì, vostro padre si era completamente innamorato di una giovane, che aveva conosciuto durante una passeggiata. A nulla valsero i miei incoraggiamenti, per lui esisteva soltanto Anna, e lei, per mia sfortuna, non lo rifiutò, negandomi la possibilità di consolarlo. In realtà quando la conobbi la mia gelosia scomparve, mai avevo conosciuto una creatura più bella. Ma non fraintendetemi, non era bella soltanto di aspetto, Anna era buona, gentile; ogni suo gesto era pieno di amore verso la vita e verso gli altri. In lei non c’era malizia, superbia, conquistava tutti con i suoi gesti innocenti, ma non per questo si poteva prendere in giro, lasciava tutti contenti e in preda al rimorso, concedeva sorrisi di perdono a chiunque. E grazie a lei, Capitano, che il Conte ha smesso di tormentarvi. Era così diversa da tutti noi, occupati a spendere soldi che a volte neanche avevamo; troppo indaffarati dalle cose del mondo per accorgerci che fuori c’era gente che viveva a stento. Vostro padre decise di sposarla e niente e nessuno gli fece cambiare idea. Neanche l’opposizione dei genitori di Anna. Credo che quella sia stata l’unica volta che lei si sia messa contro il padre, e questo le ha provocato un grande dolore, anche se cercava di apparire tranquilla, ha molto sofferto il distacco dalla famiglia».  Isabella interruppe il racconto della baronessa, per nulla turbata da quanto aveva appreso; sapere che il padre negli ultimi giorni della sua vita era stato felice gli riempiva il cuore. «Perché si erano opposti?».    «Sicuramente per la differenza di età, Anna aveva pressappoco venticinque anni, ma soprattutto perché vostro padre era cattolico, mentre loro ebrei. Anna si convertì durante la cerimonia del matrimonio, e, questo, per loro fu un duro colpo. Non rivolsero mai più la parola alla figlia. Anche se Anna era molto dispiaciuta, riuscì a superare la tristezza grazie all’amore di Carlos e all’arrivo di un figlio». Isabella sussultò di gioia quando comprese di avere un fratello. «Fra poco lo vedrete. È un bellissimo bambino, così pieno di vita; ma continuiamo il racconto. Pochi mesi dopo il matrimonio, un fatto tristissimo turbò le nostre vite, la milizia dell’inquisitore aveva arrestato i genitori di Anna e ne aveva sequestrato tutti beni. Carlos fece di tutto per ottenerne la scarcerazione, inviò persino una lettera al Re, ma a nulla servirono i suoi tentativi. Qualche settimana dopo venimmo a sapere che erano entrambi deceduti a causa delle continue torture. Mi dispiace, cara ti ricordo fatti tristi, forse è troppo presto».  Sul viso di Isabella era apparso il terrore, con trepidazione aveva cercato la mano di Juan. «Vi prego, continuate. Ormai quei ricordi spiacevoli appartengono al passato».     «Alla morte dei genitori, Carlos, per paura che Anna fosse coinvolta in quegli avvenimenti, mi chiese di portarla qui. E così facemmo. Il bimbo è nato qui ed io sono la sua madrina. Nessuno sapeva che si erano rifugiati qui, né che Anna aveva partorito un bambino. I vagiti del piccolo Carlos allietavano le nostre giornate, eravamo così assorti a contemplarlo che non ci accorgemmo del tempo che passava. Poi un giorno arrivò una lettera, era la risposta alla richiesta di aiuto che Carlos aveva spedito in Spagna. In essa si diceva che non era stato possibile intervenire prontamente, ma che era stato fatto tutto il possibile. Infine si chiedeva di accertarsi sulla sorte degli averi della famiglia. Questa domanda ci ha frastornati. Così Carlos decise di tornare a Palermo. Anna volle seguirlo, lasciandomi il bambino. Lì hanno scoperto che in qualche modo oscuro più della metà del patrimonio di Anna era scomparso. Come ben sai, la chiesa può trattenere soltanto una parte degli averi dei condannati, mentre deve restituire alla Corona la parte rimanente. Ebbene, soltanto qualche spicciolo era entrato nelle casse del Sovrano. Tuo padre ha scoperto troppo presto la verità e per l’ennesima volta si è fidato delle persone sbagliate. Il sommo inquisitore e il nipote Gualtiero si appropriano indebitamente del patrimonio delle vittime, facendo apparire sui documenti contabili soltanto una minima parte. In qualche modo, Carlos era riuscito a trovare alcuni documenti e li aveva presentati al Viceré, accusando formalmente l’inquisitore. Non ho mai capito perché, ma decise di mandarmi le copie originali di quei documenti, infine ti scrisse quella lettera. Credo che avvertisse un pericolo imminente. E così fu. Due giorni dopo la milizia dell’inquisitore venne a prelevarlo in casa sua, e in quell’ora funesta, Anna, per proteggerlo dalle spade dei soldati, lo coprì con il suo corpo. Morì all’istante, probabilmente neanche ha sofferto, ma tuo padre era fuori di sé. Un mio servo fedele mi ha narrato questi fatti, lo stesso che mi portato questi documenti. Quella notte stessa, fu incarcerato e da quel giorno ha avuto inizio il supplizio che si è concluso pochi giorni fa».  La baronessa non disse più nulla attendendo che le lacrime di Isabella si asciugassero, poi riprese: «Figliola, il tuo compito è proteggere tuo fratello e condurlo nella sua casa. Per me sarà molto doloroso separarmene, ma so che per salvagli la vita, non c’è altra soluzione. Inoltre dovrai consegnare questi documenti al Re in persona, affinché sia fatta giustizia e il nome di tuo padre non sia più infangato. Devi convincerlo che questi religiosi non agiscono mossi dalle sacre parole della Bibbia, in loro c’è odio e vanità. Questo scempio deve terminare e al più presto».  Isabella ritrovando la voce le disse: «Non temete, lotterò con tutte le mie forze affinché il comportamento di certa gente abbia termine. Nessuno più di me, ne conosce la crudeltà!».    «Ora credo che sia venuto il momento di farti conoscere tuo fratello!». Quindi si congedò.  Isabella e Juan rimasero per qualche tempo in silenzio, poi lei gli chiese: «Juan, cosa ne pensi?».  Juan si alzò e si avvicinò alla finestra. «Il racconto della baronessa spiega molte cose. Quando hanno scoperto chi eri, ti hanno arrestata, forse immaginando che tu sapessi la verità o magari che ti aveva mandato gli originali dei documenti. Chiarisce anche il motivo delle torture subite e l’intervento dell’inquisitore. Credo che siamo in pericolo, quegli uomini non si saranno certo arresi, la loro vita dipende da quello che abbiamo in mano. Dobbiamo andarcene al più presto».    «Sono troppo debole, non credo di essere capace di cavalcare». La paura tornò a tormentarla.    «Ti ho portato in braccio fin da Palermo, non credi che saprò condurti al vascello sana e salva?». Si avvicinò e le diede un bacio sulla bocca.    «Ma questa volta non sarò sola! Adesso ho delle nuove responsabilità». Isabella pensò al piccolo uomo che fra poco sarebbe stato tra le sue braccia.    «Non ti lascerò più. Mai».    «Non posso chiederti di rischiare la tua vita a causa mia. Hai superato troppi ostacoli per arrivare dove sei. Non puoi tornare a fuggire per causa mia. Non posso permetterlo».    «Niente di quello che potrai dire mi farà cambiare idea. Ricordi? Hai promesso di accettare la mia proposta di matrimonio, se io avessi compreso la tua storia. Adesso siamo una sola famiglia.!».    Un breve rumore alla porta li distrasse.   La baronessa entrò, tenendo in braccio un bambino di pochi mesi. Aveva grandi occhi neri, molto simili a quelli di Isabella, e riccioli neri; ma soprattutto era rubicondo in viso. Isabella volle stringerlo tra le braccia; subito il bimbo si accoccolò sulla spalla, emettendo degli allegri vagiti al suono della sua voce. Quando poi gli intonò un’antica nenia, quella che Carmelita le cantava da piccola, si addormentò con un sorriso beato.     «Ha riconosciuto il suo stesso sangue. È molto irrequieto con gli estranei, mentre si è subito trovato a suo agio tra le vostre braccia».   Isabella pensò al bimbo che aveva perso, Dio gli aveva tolto un figlio, ma le aveva ridato l’amore di Juan e un bambino da amare. «Carlos Torrelles Velazquez, d’ora in poi io sarò la tua mamma e Juan il tuo unico padre. Noi ti ameremo come se fossi nostro figlio e il nostro cuore, qui in questo giorno, ti regaliamo. Possa l’Altissimo Dio che è in cielo proteggerti dai malvagi, darti la salute, il coraggio di tuo padre e la bontà di tua madre!». Quando ebbe terminato, alzò lo sguardo verso Juan, che con tenerezza baciò la tempia del bimbo.    «Adesso riposa, domani al più tardi dovremo andare via!». Le prese il bambino e insieme alla Baronessa se ne andò.     «Non credi che sia un bimbo delizioso?». Chiese ancora una volta Isabella.   Fuori era buio, nella casa regnava un silenzio assoluto, ma i due innamorati non dormivano.     «Se non la smetti di vezzeggiarlo e guardare lui anziché me, credo che potrò diventarne geloso!».    «Sciocchezze, per lui provo un amore di mamma. Per te nutro un affetto ben diverso».   Quelle semplici parole furono dette con tale passione che Juan non seppe trattenere un gemito. Così la strinse tra le braccia.   «Non hai idea di quanto ti desideri. Se solo potessi, ti prenderei e ti amerei fino a quando tu non mi chiedessi di fermarmi».    «Potrei non chiederlo per niente!». Isabella strusciò contro di lui, come un gattino che fa le fusa. Gli sfiorò il petto.    «Isabella ti prego, smettila. Tutto questo è un tormento».   Juan cercò di allontanare la mano ma Isabella gli prese quella sua e se la portò al seno, Juan non poté impedirsi di stringerlo, facendole scappare un gemito di desiderio.     «Juan, ti desidero, ma hai ragione è troppo presto». Il respiro di Isabella era affannato.    «Eh no, non puoi tirarti più indietro». Dolcemente la spinse nel letto e cominciò a baciarla con passione. Poi lentamente la spogliò. «Non preoccuparti, non faremo nulla che possa farti male. Voglio solo toccarti e baciarti».  E così fu, la sua bocca e la sua lingua sfiorarono ogni centimetro della sua pelle, le sue mani accarezzarono le ferite della schiena, delle gambe. Le sue dita cercarono, trovarono il fulcro della femminilità. Era umida, calda, era pronta per le sue carezze. La toccò delicatamente, con leggerezza, titillò il clitoride per attimi infiniti, fin quando non la sentì fremere, contorcersi dal piacere. In ogni gesto c’era amore e voglia di dare. Mai una volta chiese per sé qualcosa; Juan desiderava lenire ogni ferita di Isabella, non solo quelle fisiche, voleva spazzare via ogni ricordo, ridarle la speranza di vivere. Anche se sapeva che dopo sarebbero riaffiorati con prepotenza. La condusse alle vette del piacere, gemendo lui stesso quando avvertiva il desiderio arrivare su in alto nel cielo. E quando finirono, la strinse al petto, per nulla rammaricato di non aver dato sfogo alla sua passione.    La voce di Felipe interruppe il sonno senza sogni di Juan. «Che cosa ci fai qui? Che ore sono?!».  Isabella si mosse tra le sue braccia, ancora addormentata.     «Dobbiamo andare. È appena arrivato un servo della baronessa, le guardie sono sulle nostre tracce, sanno che il vascello è attraccato nel porto di Termini». La voce di Felipe era preoccupata.  Juan si destò del tutto e, prendendo in mano la situazione, disse: «Organizza la partenza. Chiedi alla Baronessa di preparare il bambino. Io, intanto, mi occupo di Isabella. Tra dieci minuti si parte!».   Felipe si dileguò in gran fretta, senza dare alcuna risposta.  «Isabella, svegliati. Dobbiamo andar via». Lei ancora assonnata si alzò adagio sul letto. Le spiegò in fretta quello che era accaduto, poi, dopo essersi vestito, si prese cura di lei. La aiutò a lavarsi e a vestirsi, infine la prese in braccio e la portò nel grande studio. Qui la Baronessa si apprestava a salutare il piccolo Carlos, ancora dormiente. «Mia cara abbi cura di te e di questo bambino. Che il Signore vi protegga e assista capitano».   Dopo qualche minuto erano già pronti a partire. Felipe si occupava del bimbo, Juan di Isabella. Il sole non era ancora sorto, e la strada appariva piena di pericoli nascosti.  Erano in viaggio da quasi un’ora quando il bambino si svegliò lanciando un acuto grido. In fretta cercarono di dargli qualcosa da mangiare, ma il piccolo continuava a strillare. Isabella lo prese in braccio e lo cullò, calmando il pianto, così poterono proseguire per qualche altro miglio.   La voce del bambino aveva attirato l’attenzione di altri viaggiatori, si muovevano da molte ore, in formazione militare, con i cavalli a galoppo. Il suono giunse al capitano della squadra attutito; fece fermare gli uomini per poterlo identificare e quando si ripeté, si convinse che si trattava del pianto di un bambino. Spronò di nuovo il resto della compagnia al galoppo e si diresse verso la direzione del suono. L’istinto gli suggeriva che il vagito di un infante, in aperta campagna, a quell’ora del mattino, non fosse casuale. Qualunque viaggiatore assennato si fermava durante la notte.   Juan avvertì il rumore dei cavalli e decise di allontanarsi dalla strada maestra e proseguire sui sentieri laterali, avendo cura di lasciare che un cavallo continuasse la sua corsa da solo. Chiunque fossero quei viaggiatori avevano senz’altro sentito il pianto del bambino. Lasciò che Isabella, con il bambino, proseguisse in groppa al cavallo, mentre lui e Felipe la seguivano a piedi. Questo rallentò la loro andatura al punto che in breve tempo poterono distinguere le sagome dei soldati a cavallo. Si nascosero tra gli alberi, abbandonando anche l’altro destriero, aspettando che la compagnia li superasse, ma inutilmente. Qualcuno aveva avvistato l’animale senza cavaliere e ora il capitano aveva sparso i suoi uomini per la campagna.     «Dobbiamo andare via. Felipe prendi il bambino, coprigli la bocca se torna a piangere. Isabella sali sulle mie spalle, senza discutere».   Il tono di Juan non ammetteva repliche e in quella situazione Isabella non aveva alcuna voglia di cominciare una discussione, così docilmente gli obbedì.   Da quel momento i due uomini, cominciarono a correre apparentemente senza una meta precisa, in modo da confondere chiunque stesse inseguendoli, ma in realtà diretti verso il mare; sebbene la loro andatura, inizialmente fosse costante, dopo un po’ di tempo, costretti dal peso di Isabella, del bambino e dei loro pochi bagagli, cominciò a rallentare e la distanza con i cavalieri ad accorciare. Si fermarono per pochi minuti.    «Non possiamo continuare ancora per molto; inoltre c’è il pericolo che il bimbo torni a piangere e ci avvistino». Juan era molto preoccupato, guardò Isabella e la vide tremare. In quei brevi momenti in cui erano rimasti nascosti aveva riconosciuto don Domenico Gualtiero. La paura l’aveva assalita e sebbene cercasse di mostrarsi forte, l’ansia di ricadere nelle sue mani era evidente.   Non avrebbe permesso che qualcuno tornasse a farle del male, a costo della sua vita, dunque c’era una sola cosa da fare. Fece un segno a Felipe e insieme si allontanarono di qualche passo; rimasero a discutere per alcuni minuti, poi tornarono da Isabella.  «Stai bene?» le chiese.  «Come no. Non si vede?!». In realtà avrebbe voluto trovarsi a miglia di distanza.    «Credi di potercela fare a camminare da sola?».  Isabella fece di sì con la testa, credendo che lui non riuscisse più a portarla, ma quando ascoltò la sua idea folle quasi gridò il suo dissenso.     «D’ora in poi seguirai Felipe e non ti volterai mai indietro. Dovrai correre con tutte le tue forze senza risparmiarti. Mancano poche miglia al punto in cui è attraccato il vascello, gli uomini vi stanno aspettando. Io resterò qui, cercando di distrarli, in modo da rallentarli…».    «No, non posso permettertelo. Non ti lascerò qui da solo ad affrontarli».    «Ascoltami, non possiamo fare altro. Sono molto vicini e da soli non possiamo affrontarli. Fa come ti dico». Juan la toccò sulla guancia, asciugando le lacrime della donna che amava.    «Ma così metti in pericolo la tua vita. Ti ho appena ritrovato, non posso perderti di nuovo!». Rispose Isabella, la voce incrinata dal pianto.    «Sciocca, credi che voglia farmi prendere? Cercherò solo di distrarli. Anch’io ho voglia di gettarmi tutta questa storia alle spalle e cominciare la nostra nuova vita insieme. Credimi non puoi liberarti così facilmente di me!». Juan cercò di scherzare, ma Isabella continuò a piangere e a stringerlo a sé.    «Su, non possiamo perdere tempo. Ci vediamo fra qualche ora al vascello. D’accordo?».    «Non mi lasci altra scelta». Isabella non riusciva a rassegnarsi all’idea di perderlo.    «Felipe, prendi il bambino. Ricordati di non guardare mai indietro». Le diede un ultimo bacio, poi la spinse verso Felipe.    «Ti amo!». Isabella lo guardò per l’ultima volta, perdendosi nei suoi occhi blu.     «Io di più, ora vai!». Juan li guardò allontanarsi, poi, quando fu sicuro che non tornassero indietro, cominciò a darsi da fare. 
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