[Una versione tascabile di questo pezzo è uscita sul quotidiano L'Unità del 9 ottobre 2011, F. L.]
Il Messico ai tempi della guerra al narcotraffico, lanciata dal Presidente Felipe Calderón nel 2007 contro i cartelli della droga, sta sperimentando una triste serie di “effetti collaterali” legati all’esplosione della violenza e alla militarizzazione. Non si tratta né dei cinquantamila morti in cinque anni, attribuibili alle faide tra i narcos e alle operazioni speciali dell’esercito, della marina e della polizia federale, né delle duecentotrentamila persone costrette a fuggire dal Nord del paese in cerca di un’esistenza pacifica. Siamo di fronte a un fenomeno meno conosciuto ma dirompente: le statistiche fornite dalle procure e dal Governo parlano, infatti, di quasi sedicimila desaparecidos in tutto il paese dalla fine del 2006, vale a dire una media di 8 o 9 persone al giorno di cui si perdono completamente le tracce. Quasi un terzo di queste sparizioni, per la precisione 4.832, si concentrano in due stati settentrionali, il Nuevo León e il Tamaulipas, sconvolti dalla guerra tra il cartello del Golfo e quello degli Zetas, suo antico alleato e braccio armato.
Calderón ha dichiarato il 2011 “anno del turismo in Messico” e le cifre sulle visite dall’estero e le entrate di valuta straniera sembrerebbero dargli ragione. In effetti alcune aree vivono ancora in un relativo “stato di grazia”, ma la realtà per la popolazione di molte altre regioni del paese – e purtroppo sono sempre di più, dalla frontiera con gli USA a Guerrero nel Sud e Michoacán nel centro – stride con l’immagine della propaganda ufficiale.
Nella speranza che Wikipedia non venga distrutta dalle politiche liberticide annunciate dal nostro governo, mi permetto di citarne una voce che ci introduce al cosiddetto Triangolo delle Bermude o delle Bermuda contenuto nel titolo di questo articolo. “E’ una zona di mare di forma per l’appunto triangolare, i cui vertici sono a nord, il punto più meridionale della costa dell’arcipelago delle Bermude, a sud, l’estremo occidentale dell’isola di Porto Rico, e a ovest, la punta meridionale della penisola della Florida”. E ancora. “S’estende per circa 1.100.000 km2. La cultura popolare ha fatto sì che nascesse la convinzione che si fossero verificati dal 1800 in poi numerosi episodi di sparizioni di navi e aeromobili, motivo per cui alcuni autori hanno soprannominato la zona “Triangolo maledetto” o “Triangolo del diavolo”. Il triangolo ha vissuto particolare popolarità nei media soprattutto a partire dal libro bestseller Bermuda, il triangolo maledetto (The Bermuda Triangle) del 1974 di Charles Berlitz, secondo il quale nella zona avverrebbero misteriosi fenomeni che sono stati accostati al paranormale e agli UFO”.
Riporto alcuni estratti da un intervista (che uscirà su Carmilla integralmente la prossima settimana) all’ingegnere messicano Alfonso Moreno, che vive con la sua famiglia nella capitale e ha percorso e ripercorso quella strada decine di volte fino al chilometro 113 alla ricerca di suo figlio che è scomparso 8 mesi fa. “Il 27 gennaio Alejandro è partito da Città del Messico per Laredo, è uscito alle 7, ha fatto scala a Monterrey dove ha pranzato con un amico. Verso sera ha passato il casello di Sabinas Hidalgo e dopo ha trovato un falso posto di blocco, quindi ha mandato via Facebook un messaggio ma poi basta, è stato risucchiato dalla terra con la sua auto”.
Una volta era normale attraversare la frontiera tra Messico e Usa per fermarsi solo alcuni giorni a fare shopping nei mall o a cercare offerte di elettronica e prodotti informatici. “Ora quelle strade sono abbandonate e la gente ha paura, non ci va come prima. Era emozionato per quel viaggio con gli amici in Texas. Non sapevamo quanto fosse pericoloso il Nord”. Alejandro è ingegnere informatico e quel giorno era in macchina da solo, aveva comprato dei computer a Laredo per portarli a casa dopo le vacanze. Circola l’ipotesi per cui alcune cellule dei narcos rapiscono e impiegano gli informatici obbligandoli a lavorare per loro nelle telecomunicazioni e in attività di spionaggio. “Se Dio vuole, lo stanno facendo lavorare, speriamo che non ce l’abbiano ammazzato”.
Tre settimane fa la banda di tipo paramilitare dei mata-Zetas, che si presentano come protettori del popolo, ha rivendicato su Youtube l’uccisione e l’abbandono in mezzo a una strada di 35 presunti Zetas nel sobborgo di Bocas del Río, vicino a Veracruz. Venerdì scorso, a soli due giorni dall’avvio dell’operazione militare del Governo “Veracruz sicura”, la città è stata scossa dalla notizia di un altro ritrovamento da parte delle forze armate: 32 corpi senza vita nascosti in tre case di un quartiere altolocato e altri 4 gettati nella via pubblica di una zona popolare. Per finire (?) sabato scorso altri dieci cadaveri sono stati scoperti in altri spazi pubblici dei quartieri Laguna Verde e Boca del Río, a Veracruz.
Ci sono state alcune catture di presunti mata-Zetas, ma la situazione nell’ultimo mese sembra essere sfuggita di mano e la violenza scatenata dagli scontri tra i cartelli degli Zetas, del Golfo e della Familia Michoacana sulla costa atlantica s’è spostata dal settentrionale Tamaulipas, blindato da una massiccia presenza di militari e polizia federale, a Veracruz.
Il procuratore dello stato, Reynaldo Escobar, s’è dimesso la settimana scorsa e ci si prepara a scenari simili a quelli già visti nelle regioni settentrionali come Chihuahua e Nuevo León (ricordo solamente l’eccidio di 52 civili ad opera degli Zetas nel Casinò Royale di Monterrey lo scorso 25 agosto) . Il pericolo è che anche qui si normalizzino le mattanze, gli attentati, i sequestri di massa e le fosse comuni – o narco-fosse – usate per far sparire le vittime di questi crimini.
E’ probabile che la maggior parte dei desaparecidos finiscano in fosse comuni come quella scoperta nell’agosto 2010 a San Fernando, nel Tamaulipas, dov’erano interrati 72 migranti centroamericani. Altri vengono stipati in case utilizzate dai narcos per occultare armi, droga, persone sotto sequestro e cadaveri note come casas de seguridad. Altri ancora, forse, sono impiegati per alcuni mesi come tecnici.
“I ragazzi che scompaiono hanno un’età media tra i 20 e i 40 anni, tutta la gente che abbiamo incontrato nei nostri viaggi è giovane. Il governo deve intervenire subito”, ribadisce Alfonso Moreno. Se continua a crescere ai ritmi attuali, il numero dei narco-desaparecidos potrebbe lasciare un’eredità di vittime e sofferenze paragonabili a quelle dei periodi bui delle dittature nel Cono sud. “Chiediamo alle persone che hanno preso nostro figlio che ce lo restituiscano, con tutto il cuore è l’unica cosa che posso dire”: questo l’ultimo appello di Alfonso ai narcos e alle autorità.