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Immigrazione Italiana a New York: noi come loro

Creato il 05 marzo 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Nel 1883 la scrittrice e poetessa ebreo-americana Emma Lazarus scrisse i non così noti versi del sonetto che sarebbe stato scolpito sul piedistallo di quell'omaggio francese che era la Statua della Libertà: "The New Colossus" ("Il nuovo colosso"). La gran donna, la cui torcia è prigione di lampo, e il cui nome recita Madre degli Esuli (‹‹ ...A mighty woman with a torch, whose flame/ is the imprisoned lightining, and her name/ Mother of Exiles...››) dava così il suo compassionevole benvenuto alle variopinte ondate d'immigrazione di diversa bandiera che impetuosamente s'infrangevano sulle coste di Ellis Island, così alienanti eppure cariche di promesse: ‹‹ Datemi le vostre esauste, misere, accalcate folle desiderose d'un respiro libero, datemi il disgraziato rifiuto delle vostre sponde brulicanti, mandateli a me, questi vagabondi, percossi dalla tempesta; io ergo il mio lume accanto all'aurea porta!›› (‹‹... Give me your tired, your poor,/ your huddled masses yearning to breathe free,/ The wretched refuse of your teeming shore,/ Send these, the homeless, tempest-tost to me,/ I lift my lamp beside the golden door!››). New York, e l'America in generale, era divenuta un'aurea porta: terra vergine su cui approdare con nave olandese il 12 Settembre 1609, terra da collezione su cui piantare bandiera britannica fino al 4 Luglio 1776, terra custode di milioni di lacrime europee e germogli di nuove vite americane. Un' ultima spiaggia sapida di opportunità. In fondo, al pari della Statua della Libertà, l'America è stata costruita fuori dall'America, da chi ha creduto in quella promessa di vita nuova.

Il discorso di Obama sulla riforma del sistema di immigrazione

L'ispirato discorso tenuto dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama il 29 Gennaio 2013 era incentrato sulla " Comprehensive Immigration Reform", un'auspicata riforma del sistema di immigrazione volta a fronteggiare il problema degli ingressi illegali sul suolo americano, nonché a promuovere la regolamentazione degli oltre 11 milioni di "ombre" straniere fattualmente ma non legalmente "americane". In quell'occasione, Obama fece appello alla sensibilità del pubblico americano verso la propria identità storica: " è facile talvolta che la discussione assuma i toni dell'opposizione "noi" contro "loro". E quando questo accade, molta gente dimentica che la maggior parte di quel "noi" faceva parte di quel "loro". [...] A meno che voi non siate uno dei primi americani, dei nativi americani, allora provenite da qualche altra parte. [...] Gli irlandesi, che si lasciarono alle spalle una terra di carestia. I tedeschi, che scapparono dalle persecuzioni. Gli scandinavi, che arrivarono qui desiderosi di aprirsi la strada verso l'ovest. I polacchi. I russi. Gli italiani. I cinesi. I giapponesi. Gli indiani. Le accalcate folle che arrivarono qui attraverso Ellis Island da una costa e Angel Island dall'altra. Tutta quella gente, prima di diventare "noi", era "loro"". (‹‹i t's easy sometimes for the discussion to take on a feeling of "us" versus "them." And when that happens, a lot of folks forget that most of "us" used to be "them." [...] Unless you're one of the first Americans, a Native American, you came from someplace else. [...] The Irish who left behind a land of famine. The Germans who fled persecution. The Scandinavians who arrived eager to pioneer out west. The Polish. The Russians. The Italians. The Chinese. The Japanese. The West Indians. The huddled masses who came through Ellis Island on one coast and Angel Island on the other. All those folks, before they were "us," they were "them" ›› ). E' stata l'eterogeneità dell'America a renderla unitaria: questo l'appello del suo Presidente.

L'immigrazione a New York duranti i primi anni del Novecento

Tra il 1900 e il 1910 la città di New York registrò il più alto tasso di immigrazione, raggiungendo una percentuale del 41% di nati all'estero su 4.8 milioni di abitanti. A partire dagli anni 80 del XIX secolo, anche gli Italiani avevano cominciato a inseguire il sogno americano, fatto di eterni addii, irreparabile nostalgia, un viaggio burrascoso per mare e poi, per i più, una nuova vita sì, ma di stenti. Eppure si partiva. E non si tornava più. Quella spinta verso l'ignoto ne era il motore: esiste una parola in tedesco, Fernweh, la nostalgia quasi dolorosa per ciò che è lontano, ignoto, mai visto, e quindi, forse, timidamente, illuminato di speranza.

Si immagini un Vito Andolini: sbarcato da solo nel 1901 su Ellis Island, sulla lingua non una parola di inglese, il suo nome storpiato (memorabile la scena de " Il Padrino - Parte 2", in cui l'officiale di confine semplifica "Vito Andolini from Corleone" in "Vito Corleone"), trasferito in quarantena per 3 mesi a causa del vaiolo e infine rigettato, libero, nel mare di New York, dove comincia a portare avanti una vita onorevole in uno dei tanti poveri tenements in mattone rosso, tra una miriade di dialetti e parlate incomprensibili. In How the Other Half Lives, pubblicato nel 1890, Jacob Riis dipingeva così il ritratto dell'immigrato italiano residente negli "slums" newyorkesi, i tipici quartieri poveri come il "Mulberry Bend", la prima Little Italy: ‹‹ L'italiano viene alla fine, e giunto con la generazione che arrivò per mare resta là. Negli slums è accolto come un affittuario meno piantagrane rispetto all'irlandese litigioso o al tedesco precisino, vale a dire: egli si accontenta di vivere in un porcile e senza fiatare si piega al furto per conto del locatore... Quest'uomo è così ignorante che, come la metteva uno dei truffatori che vivevano alle sue spalle, "Sarebbe assolutamente immorale non sbatterlo al fresco"››. (‹‹ The Italian comes in at the bottom, and in the generation that came over the sea he stays there. In the slums he is welcomed as a tenant who "makes less trouble" than the contentious Irishman or the order-loving German, that is to say: is content to live in a pigsty and submits to robbing at the hands of the rent collector without murmur... The man is so ignorant that, as one of the sharpers who prey upon him put it, "It would be downright sinful not to take him in" ››.) L'italiano aveva fama di criminale, un criminale bonaccione, dai capelli unti e dalla camicia macchiata di sugo.

Immigrazione: l'opinione americana degli italiani ieri e oggi

Grottescamente divertente la scena del film di Spike Lee Do the Right Thing ("Fa' la cosa giusta", 1989), in cui tra gli insulti interraziali urlatisi tra l'afroamericano Mookie e il pizzaiolo Pino, emerge chiaramente lo stereotipo dell'italiano: ‹‹ Pino, f* you, f* your f* pizza and f* Frank Sinatra. ... You dago, wop, guinea, garlic-breath, pizza-slinging, spaghetti-bending, Vic Damone, Perry Como, Luciano Pavarotti, solo mio, nonsinging motherf*››. La pizza e Sinatra vadano a quel paese. L'italiano è un "dago", storpiamento dello spagnolo Diego, poi attribuito genericamente agli europei del Sud, e quindi anche agli italiani. L'italiano è un "wop", dal napoletano "guappo", audace, arrogante. L'italiano è "guinea", per via del colore scuro della pelle, per cui sarebbe simile a un africano della Guinea. L'italiano dall'alito che sa di aglio, che consegna le pizze, che spezza gli spaghetti prima di buttarli sul fuoco, che ascolta Vic Damone, Perry Como e Luciano Pavarotti, che canta o' "solo" mio, un canterino figlio di buona donna...

Con tutta probabilità, buona parte di questi stereotipi rimane intatta ancora oggi, forse divenuta fin'anche patrimonio affezionato della comunità italo-americana. Fisicamente, Little Italy è divenuta sempre più piccola a New York, eppure le tovaglie a scacchi rossi e bianchi ricoprono ancora le tavole delle numerose "Sal's Pizzeria" in giro per la città. L'unico sforzo che dovremmo richiedere a chi vede negli italiani solo "pizza, mafia e mandolino" è di notare che quelle stesse tovaglie, così italianamente suggestive, il più delle volte non sono macchiate di "pummarola". Mark Bittan, in un recente articolo apparso sul New York Times, ha confessato la sua profonda sorpresa quando, giovane abituato a sporcarsi di ‹‹ pizza, meat ragu, lasagna, stuffed shells and seafood "fra diavolo"›› (" pizza, ragù, lasagne, conchiglie ripiene e frutti di mare alla diavola") per le strade di Manhattan, scoprì che in realtà " per molti napoletani, la quintessenza della cucina casalinga è la Genovese, un condimento per pasta fatto di cipolla e manzo, simile alla zuppa di cipolle francese" (‹‹ To many Neapolitans, their quintessential hometown dish is La Genovese, an onion-and-beef pasta sauce akin to French onion soup ››).

Come a dire, non la solita zuppa di pomodoro.


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