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Impotenza, globalizzazione e sterminio secondo Zygmunt Bauman

Creato il 21 luglio 2014 da Stupefatti
Impotenza, globalizzazione e sterminio secondo Zygmunt Bauman

Con la globalizzazione si ha come un’espansione degli orizzonti, panorami che diventano troppo vasti e soprattutto troppo carichi di dettagli per essere sopportati, grandezze sterminate – ottima parola: sterminio – e un senso di soffocamento che deriva dalla spinta naturale – uguale e contraria – a Mettere La Testa Sotto Terra Come Fa Lo Struzzo. L’immagine è quella di un uomo piccolissimo infilato piedi e mani in una ragnatela gigantesca, secca e incrostata. Un uomo piccolissimo davanti a un qualche ciclopico colosso o colossale ciclope, che lo terrorizza con lo sguardo, paralizzandolo. Nessun gesto libero, in altre parole, nessun movimento-azione-spinta interna che non sia determinato-condizionato-influenzato più o meno subliminalmente da un qualcosa di Esterno e – soprattutto – di Gigantesco. E così si contestualizzano due considerazioni che si trovano leggendo Bauman. Ovvero: Che generalmente – a livello individuale e collettivo – sbagliamo il focus dei nostri sforzi. Che non capiamo la vera natura dei problemi che ci tormentano. A livello politico, per esempio, cerchiamo di lottare con armi locali problemi globali. Mentre, a livello psico-sociale, interpretiamo come colpa o mancanza o difetto personale delle situazioni che si vengono a creare a partire da dinamiche collettive. In tutto questo, c’è un problema di percezione. Come mai abbiamo più strumenti, rispetto al passato, e ci sentiamo più impotenti, rispetto al passato? Come mai abbiamo più benessere ma siamo più disperati e depressi? Semplice. Questione di prospettive, o meglio: di orizzonti. Perchè si è avuta come un’espansione degli orizzonti, panorami che diventano troppo vasti e soprattutto troppo carichi di dettagli per essere sopportati. Grandezze sterminate. Ottima parola, a proposito. Sterminio.Note

1) SENSO DI IMPOTENZA: la percezione di tutto ciò per cui non ci possiamo fare niente. Un brano da "Amore Liquido", Zygmunt Bauman:
DarkKnightRisesFootballScene_588x329I nostri antenati avevano ben pochi strumenti, forse nessuno, che permettesse loro di agire con efficacia a grande distanza – ma neanche avevano occasione di assistere a manifestazioni di sofferenza umana troppo distanti perchè potessero intervenire con gli strumenti a loro disposizione. La totalità delle scelte morali con cui i nostri antenati si confrontavano potrebbe essere circoscritta al ristretto spazio della prossimità, degli incontri e delle interazioni personali. (…)Oggi invece il silenzio del comando etico è assordante come mai in passato(…) Oltre a ciò che possiamo vedere a occhio nudo (non assistito) nelle nostre immediate vicinanze, oggi noi siamo quotidianamente esposti alla conoscenza “mediata” della miseria “distante” e dalla crudeltà “distante”. Oggi abbiamo tutti la “tele-visione”; ma pochi di noi hanno accesso ai mezzi della “tele-azione”. Se la miseria che potevamo non solo vedere ma anche lenire o curare ci poneva in una situazione di scelta morale che l’”espressione sovrana della vita” (benchè ciò fosse straordinariamente difficile) – il crescente divario tra ciò di cui siamo resi (indirettamente) coscienti e ciò che possiamo (direttamente) influenzare porta l’incertezza che accompagna tutte le scelte morali a vette senza precedenti alle quali il nostro bagaglio etico non è abituato ad operare e forse non è neanche in grado di farlo. Da questo doloroso riconoscimento di impotenza, siamo tentati di scappare in cerca di rifugio. La tentazione di trasformare il “difficile da affrontare” in “irraggiungibile” è costante e sempre più forte.

2) LA POLITICA SEMPRE PIU' LOCALE, IL POTERE SEMPRE PIU' GLOBALE. Un brano da "Amore Liquido", Zygmunt Bauman:
the-dark-knight-when-nolan-was-good-joker-concept-artI reali poteri che creano le condizioni nel cui ambito tutti noi oggigiorno agiamo fluttuano nello spazio globale, mentre le nostre istituzioni di azione politica restano in grande misura legate al suolo; esse sono, cosÏ com’erano prima, locali. Poichè restano principalmente enti locali, gli organismi politici che operano nello spazio urbano tendono a essere fatalmente afflitti da un insufficiente potere d’azione, e in particolare di azione efficace e sovrana, sul proscenio che ospita la “piece” della politica. Un altro risultato, tuttavia, è la scarsità di politica nel cyberspazio extraterritoriale, il campo di gioco dei poteri.
Nel nostro mondo in via di globalizzazione, la politica tende sempre più a essere appassionatamente, coscientemente “locale” Cacciata o esclusa dal cyberspazio, la politica ripiega sugli affari che sono ´a portata di mano”, su questioni locali e su rapporti circoscritti. Per gran parte di noi e quasi sempre, queste sembrano “le uniche” questioni per le quali ´possiamo fare qualcosa”, che possiamo determinare, migliorare, reindirizzare. Solo nelle questioni locali la nostra azione o inazione può “fare la differenza”, laddove per altre questioni riconosciutamente ´sovralocali’ non c’è (o almeno questo ci viene costantemente ripetuto dai nostri leader politici e da tutti gli altri ´bene informati) ´altra alternativa‘. Finiamo così col sospettare che, data la pietosa inadeguatezza dei mezzi e delle risorse a nostra disposizione, le cose seguiranno il loro corso qualunque cosa facciamo o potremmo ragionevolmente contemplare di fare. Finanche questioni con origini e cause indisputabilmente globali, remote e recondite entrano nell’ambito di competenza della politica esclusivamente attraverso le loro conseguenze e ripercussioni. L’inquinamento dell’aria o delle acque a livello globale si trasforma in una faccenda “politica” quando si decide di impiantare una discarica di rifiuti tossici ´nel giardino di casa nostra’, in qualche luogo spaventosamente vicino, ma anche incoraggiantemente ´a portata di mano’. La progressiva commercializzazione del settore sanitario, un evidente effetto della sfrenata caccia al profitto da parte delle multinazionali farmaceutiche, balza all’attenzione della politica solo quando l’ospedale di un quartiere diventa fatiscente o gli ospizi e istituti psichiatrici locali vengono gradualmente eliminati. Furono gli abitanti di una sola città, New York, a pagare per l’inferno scatenato dal terrorismo internazionale, e furono i consigli comunali e i sindaci di altre città che dovettero assumersi la responsabilità di garantire la sicurezza individuale, ora ritenuta vulnerabile, all’attacco di forze trincerate ben oltre il raggio di azione di qualsiasi municipalità.

La devastazione globale di vite umane e lo sradicamento di intere popolazioni da territori abitati da tempo immemore entranonell’orizzonte dell’azione politica solo attraverso i pittoreschi ´emigranti economici’ che affollano le strade che un tempo apparivano cosÏ uniformemente…


Per farla breve: “le città sono diventate discariche di problemi generati a livello globale” Gli abitanti delle città e i loro rappresentanti eletti si trovano ad affrontare un compito che non possono assolutamente risolvere per quanto grande possa essere il loro ingegno: il compito di trovare soluzioni locali a contraddizioni globali.Da qui il paradosso osservato da Castells, di una ´politica sempre più locale in un mondo strutturato da processi sempre più globali’ ´C’è stata una proliferazione di significato e di identità: il mio quartiere, la mia comunità, la mia città, la mia scuola, il mio albero, il mio fiume, la mia spiaggia, la mia chiesa, la mia pace, il mio ambiente. Del tutto indifese contro il terremoto globale, le persone si attaccano a se stesse’.
Notiamo che quanto più si ´attaccano a se stesse’, tanto più tendono a diventare indifese ´contro il terremoto globale, e anche tanto più impotenti a decidere i significati e le identità locali, e dunque anche i loro stessi significati e le loro stesse identità – per la gioia degli operatori globali, che non hanno certo motivo di temere l’inerme.
3) Il prezzo della difficoltà di essere INDIVIDUI in un contesto globale: il rancore, l’umiliazione. Il singolo soggetto costretto a sforzi atlantici. Caricarsi personalmente di tutto un globo di problemi e contraddizioni. Un brano da "L'arte della vita", Zygmunt Bauman.

Dark-Knight-Raffle-1Almeno nella parte opulenta del pianeta, la posta in gioco della concorrenza all’ultimo sangue non è più la sopravvivenza fisica, nè il soddisfacimento  dei bisogni biologici primari dettati dall’istinto di sopravvivenza. Non è il diritto ad affermare se stessi, e definire i propri obiettivi e a decidere il genere di vita che si preferisce vivere. Si presume anzi che l’esercizio di  tale diritto sia un dovere dell’individuo, e che qualunque cosa accada all’individuo sia conseguenza dell’esercizio di tale diritto, o della deprecabile omissione o del consapevole rifiuto di esercitarlo. Perciò, qualunque cosa accada all’individuo sarà interpretata a posteriori come ulteriore conferma del fatto che la responsabilità per la propria condizione sia unicamente e inalienabilmente individuale, nella disgrazia come nel successo.


Una volta calati nel ruolo di individui, siamo incoraggiati a ricercare attivamente il “riconoscimento sociale” di quella che è stata preventivamente definita una nostra scelta individuale, ossia della forma di vita che noi individui per scelta o per necessità adottiamo. “Riconoscimento sociale” significa approvazione del fatto che l’individuo che adotta tale forma di vita conduca una vita degna e decorosa e che su questa base merita il rispetto dovuto e concesso alle altre persone degne e decorose.L’alternativa al riconoscimento sociale è la negazione della dignità: l’umiliazione.
Per riprendere una recente definizione di Dennis Smith: “Un’azione è umiliante se ignora o contraddice la rivendicazione di un determinato individuo (…) su ciò che è, e sul luogo e modo in cui si integra”: in altre parole, negando, implicitamente o esplicitamente, agli individui l’atteso riconoscimento della loro persona e/o stile di vita e rifiutando loro i diritti che sarebbero stati (o rimasti) loro disponibili a seguito di tale riconoscimento. Una persona si sente umiliata quando riceve una dimostrazione “brutale, con parole, atti o eventi, di non poter essere ciò che pensa di essere (…) L’umiliazione è l’esperienza di essere spinti o tenuti in basso, frenati o espulsi ingiustamente, contro la ragionevolezza e contro la propria volontà”.
Il rancore si nutre di quella sensazione.In una società di individui come la nostra esso è del tipo più velenoso e irriducibile, ed è la più frequente e prolifica causa di conflitto, dissenso, ribellione e sete di vendetta- La negazione del riconoscimento, il rifiuto del rispetto e la minaccia dell’esclusione hanno sostituito lo sfruttamento e la  discriminazione come formule ampiamente usate per spiegare e giustificare i motivi di risentimento che gli individui potrebbero nutrire verso la società o verso quelle parti e aspetti della società cui essi sono esposti (di persona o attraverso i media) e di cui fanno esperienza in prima persona.Ciò non significa che l’umiliazione sia un fenomeno nuovo nella storia della società moderna, specifico della fase attuale. Al contrario, essa nell’uomo è antica quanto la socievolezza e la comunanza. Significa però che, nella società individualizzata dei consumatori, le definizioni e spiegazioni prevalenti e “più eloquenti” delle sofferenze e rimostranze che ne risultano si sono spostate, o si spostano, dalle caratteristiche di gruppo o di categoria ai referenti personali. E anzichè attribuire la sofferenza individuale a un’ingiustizia o a un malfunzionamento della totalità sociale – consentendo così di cercare un rimedio nella riforma della società – essa tende a essere percepita sempre più come offesa personale e attacco alla dignità e all’autostima dell’individuo, e dunque come qualcosa che richiede una reazione o vendetta personale.Chiamati a escogitare e applicare soluzioni individuali a disagi prodotti dalla società, gli individui tendono a rispondere per le rime. Ciò cui reagiscono è un colpo di sena che fa piazza pulita delle aspettative create da una ideologia incentrata sulla persona- Essi percepiscono e danno “senso” a tale evento, seguendo la stessa ideologia della privatizzazione, come se si trattasse di un affronto personale e di un’umiliazione rivolta (sebbene in modo casuale) contra la persona, e ha come prime vittime il rispetto di sè e i sentimenti di sicurezza e di fiducia in se stessi. Gli individui colpiti si sentono degradati, e poichè l’ideologia della privatizzazione postula che per ogni caso di sofferenza o disagio esista un colpevole, il senso di degrado si traduce una febbrile ricerca dei colpevoli dell’umiliazione; il conflitto e l’inimicizia, proprio come il danno, vengono considerati personali. I colpevoli vanno individuati, smascherati, condannati pubblicamente e puniti- Quelli che l’ideologia della privatizzazione designa come “loro” sono non meno individualizzati di coloro che quell’ideologia definisce come “noi”.

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