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Insegnare italiano all’estero. A Barcellona il centro “Ama l’italiano” promuove la nostra cultura. La storia dell’intraprendente Ada Plazzo.

Creato il 18 gennaio 2016 da Leultime20 @patrizialadaga

Ci sono persone che hanno l’intraprendenza scritta nel Dna. Una l’ho incontrata di recente. Si chiama Ada Plazzo, risiede da dieci anni a Barcellona e con Michela D’Auria, amica cagliaritana ma cittadina del mondo come Ada, ha fondato il centro culturale Ama l’italiano, una realtà in continua crescita che piace agli spagnoli quanto ai cittadini italiani residenti in città.

Ada Plazzo e Michela

Ada Plazzo con Michela D’Auria (con gli occhiali), le fondatrici del centro culturale “Ama l’italiano” di Barcellona.

Scopo di Ama l’Italiano è insegnare la nostra lingua agli stranieri, ma anche trasmettere la cultura di casa nostra a tutti coloro che sono curiosi di andare oltre gli stereotipi più comuni.

La storia di Ada, nata a Napoli 36 anni fa, è di quelle che merita di essere raccontate, perché la sua voglia di fare possa essere d’esempio per tutti coloro che hanno il “non si può” come filo conduttore della vita. Il fatto che abbia intrapreso la sua attività a Barcellona non mi fa pensare a un “cervello in fuga”, quanto a una donna che avrebbe ottenuto gli stessi risultati in qualsiasi altro luogo, in Italia o nel mondo.

La incontro nella sede di Ama l’italiano, un appartamento al primo piano di un anonimo palazzo barcellonese dove arriva trafelata con la bicicletta in mano (lei era puntuale, io in anticipo).

Il centro culturale è un posto semplice e allegro come la sua proprietaria. Stampe colorate e mappe geografiche alle pareti, disegni un po’ ovunque. Da una porta socchiusa vedo una decina di studenti riuniti intorno a un tavolo, intenti a fare domande rigorosamente in italiano, a una giovane insegnante che spiega loro l’uso delle preposizioni.

IMG_2037Seguo Ada nel suo ufficio e mi faccio raccontare la sua storia, una di quelle che ridà fiducia nelle capacità dei giovani italiani, molto spesso additati come indolenti bamboccioni.

Lavoro da quando ero ragazzina, ho sempre cercato l’indipendenza. Già a 15 anni, in estate, in una località tra il Lazio e la Campania dove andavo in vacanza con i miei, mi sono proposta come animatrice di bambini. Il proprietario dei bagni mi lasciò carta bianca e io feci un annuncio conl megafono per radunare i miei primi clienti. L’iniziativa ebbe così successo che poi mi chiesero di restare anche in settembre…

A sedici anni Ada si trasferisce con la famiglia in Umbria, a Terni, e da quel momento viaggi e soggiorni all’estero diventano la norma, tanto che mentre frequenta la facoltà di lettere si trasferisce in Germania, ad Heidelberg, dove vive per quattro anni specializzandosi in linguistica italiana. Nel frattempo non smette di fare i lavori più svariati fino a quando scopre la sua vera passione per l’insegnamento della nostra lingua.

Inizialmente volevo dedicarmi al teatro che era una delle mie passioni, però quando ho cominciato a insegnare italiano agli stranieri ho capito che era davvero quella la strada che volevo seguire. Dopo la laurea ho vissuto quattro mesi in Perù per fare un tirocinio presso la Camera di Commercio italiana e poi sono tornata in Italia perché stavo con una persona che voleva vivere nel suo paese natale, in Veneto. Ho vissuto tre mesi a Feltre e mi sentivo più straniera in Veneto che in Germania. Così ho cominciato a mandare curriculum e ho trovato lavoro all’Università di Orvieto come coordinatrice di corsi di Italiano.

A Barcellona Ada Plazzo ci arriva nel 2006 piazzandosi tra i primi cinque classificati al concorso del Ministero degli Affari Esteri per lavorare come insegnante presso l‘Istituto Italiano di Cultura di Barcellona. Il contratto, pero, dopo due anni scade e non è rinnovabile, perciò Ada e i suoi colleghi si ritrovano con il sussidio di disoccupazione e la Spagna che si avvia verso la grande crisi degli ultimi anni.

IMG_2035Con spirito d’iniziativa, insieme a Michela D’Auria e a un altro socio poi uscito dal progetto, Ada Plazzo decide di fondare la propria scuola di italiano.

Una mia studentessa aveva a sua volta una scuola di inglese così le ho chiesto di affittarci una o due delle sue aule, a seconda del numero di allievi che riuscivo a trovare. Alcuni nostri studenti ci avevano seguito e ci siamo promosse con il passaparola.

La scuola, che oggi dà lavoro a sei persone, è diventata presto un punto di riferimento per la diffusione della cultura italiana grazie a iniziative che vincolano l’apprendimento della lingua alla cucina, all’arte, al teatro. Racconta Ada che è stata la sua socia Michela a sviluppare le iniziative legate alla nostra tradizione culinaria. Alle lezioni partecipa un target di studenti assai vario di tutte le nazionalità.

Ieri a lezione abbiamo fatto una crostata alla nutella e avevamo una signora finlandese e un manager scozzese. Poi ci sono i gruppi aziendali o persone che richiedono lezioni intensive individuali. Organizziamo corsi per centri civici e eventi di ogni tipo. Persino le reti televisive si rivolgono a noi per avere informazioni corrette sulla cultura italiana da utilizzare nei loro programmi.

Tra i progetti di Ama l’italiano ci sono anche i nuovi corsi per bambini che dovrebbero vedere la luce a breve.

Quando si domanda ad Ada quali sono state le difficoltà da superare in questi anni, lei non parla di burocrazia o finanziamenti, bensì di “diverbi interni”. Come in ogni società, insomma, andare d’accordo non è semplice, eppure il centro cresce, infatti da qualche tempo offre anche corsi di spagnolo per gli italiani che arrivano a Barcellona.

Unico rammarico di Ada Plazzo è che il nostro Governo non riconosca ancora la figura professionale dell’insegnante di italiano per stranieri e insieme ad altri professori specializzati in questo tipo di insegnamento sta portando avanti una campagna affinché la professione ottenga un riconoscimento ufficiale. Una richiesta che appare più che legittima visto la grande quantità di immigrati che arrivano nel nostro Paese e che hanno biosgno di insegnanti qualificati per accelerare il processo di integrazione.

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