Magazine Opinioni

Io non mi fido dei cattolici

Da Gynepraio @valeria_fiore

Io non ho ricevuto una educazione religiosa vera e propria perché mio padre (ora purtroppo-o-per-fortuna imborghesito) è un ex comunista anticlericale, mentre mia madre non l’aveva a sua volta ricevuta e quindi non era particolarmente interessata al tema.

I miei non sono sposati in chiesa, non ci sono manco mai andati, non è mai venuto il prete a benedire casa mia. Non si sono mai affrontati argomento come la vita dopo la morte o il misticismo. Morale, anch’essa abbastanza scarna e riconducibile a pochi principi di buon senso: in privato fa’ quel che vuoi ma in pubblico comportati in modo da non farci vergognare, rispetta vecchi/ malati/ disabili, non danneggiare i beni altrui ivi compresi quelli di proprietà dello Stato, sii generosa ma non cretina.

A dispetto di questa formazione spirituale un po’ lacunosa, sono stata battezzata, (per quieto vivere di chissà chi), frequentavo l’ora di religione e ho fatto anche la Comunione. A chi mi chiede come mai i miei mi abbiano sottoposta alla trafila del catechismo, non so rispondere. Credo che molto c’entrasse con l’essere cresciuta in un Comune di provincia: ad astenersi dall’ora di religione erano solo uno o due bambini per classe, tipicamente, Testimoni di Geova (non c’erano gli immigrati musulmani di 2° generazione). Se fossi cresciuta in Torino e avessi frequentato una scuola pubblica del centro, probabilmente ce ne sarebbero stati di più e ai miei non sarebbe parso strano fammi saltare l’ora.

Alla fine delle elementari, i miei genitori dovettero loro malgrado iscrivermi ad un istituto privato religioso. La scuola media pubblica del comune in cui vivevo non disponeva del tempo pieno, loro lavoravano fulltime e non volevano lasciarmi sola fino alle 8 tutti i giorni: per cui, constatata l’assenza di altre soluzioni valide nel raggio di 30 km, mio padre si turò il naso e accettò il compromesso. Mia madre, aliena a ogni allarmismo, commentò la decisione dicendo: “Se anche dovrai dire una preghiera, sai che male ti farà.”

Mia madre non mentiva: non sono di certo morta.

In realtà frequentare figli di famiglie religiose mi ha mostrato un mondo che ignoravo: alcuni miei compagni di classe, la domenica mattina, andavano a Messa con genitori e fratelli, oppure pregavano tutti insieme prima di pranzo, a Natale la famiglia si “autotassava” per fare elemosina alle Missioni. I genitori di questi miei compagni vivranno davvero secondo i dettami del Papa? Faranno veramente sempre sesso senza precauzioni? Com’è che le loro madri non sono tutte perennemente incinte? Queste e altre domande mi affliggevano, in prima media.

I salesiani hanno una ossessione per il gioco. Alle scuole elementari, le mie maestre non ci volevano far giocare troppo: mettendomi nei loro panni, direi giustamente, perché eravamo una manica di 20 scalmanati di cui avevano responsabilità totale. Se sudavamo come cinghiali il giorno dopo c’era mezza classe assente, e restavano ferme col programma. La legge 626 sulla sicurezza ancora non esisteva e in quei corridoi in marmo iperscivolosi ho visto dei bambini fare dei voli che manco Gianni Sperti ad Amici 2008. Se passavamo l’intervallo tranquilli, poverine, erano felicissime così potevano prendersi il caffè alla macchinetta con le maestre delle altre sezioni e distrarsi un minuto. Secondo i salesiani, invece, il gioco sta ai ragazzini come il bromuro a soldati: serve a stancarli, sedarli e incanalarne l’aggressività. Ma anche a estirpare quel brutto vizio dell’introspezione, alle amicizie troppo esclusive (“devi essere amico di tutti e volere bene a tutti”) e, non ultimo, a prevenire i rapporti con l’altro sesso.

Il gioco è il premio che segue il primo grande dovere: lo studio. Si deve quindi creare motivazione nei ragazzi, costi quel che costi. Inculcare allo studente medio dodicenne -che preferisce fissare una mosca piuttosto che stare sui libri- l’importanza di apprendere è un compito molto difficile: i salesiani avevano quindi approntato una climax discendente di raccomandazioni.

  1. studia per Gesù, che ti ha donato questa prodigiosa intelligenza affinché lo onorassi
  2. studia per i tuoi genitori, che fanno tanti sacrifici per te e il tuo futuro
  3. studia per i tuoi compagni, per dare loro il buon esempio e farti parola di Dio
  4. studia per te stesso, se non vuoi finire come un disperato buono a nulla

Dal punto di vista educativo, è esattamente il contrario di quello che mi avevano insegnato i miei genitori, ed è l’opposto di quanto io direi a mio figlio il giorno che m’avvedessi che non c’ha voglia di fare un cazzo. Queste motivazioni fallaci funzionano raramente, e comunque solo nel breve termine: la mia esperienza, infatti, è che gli studenti usciti da una scuola religiosa di livello sono alternativamente a) geni precocemente ammessi alla Normale di Pisa oppure b) fattoni dediti alle droghe chimiche e al furto di autoradio.

Ci sono alcuni concetti tremendi dell’educazione religiosa, come l’Inferno. Io non me la sono mai veramente bevuta la storia delle fiamme che ti bruciano il culo, alla fine ho sempre creduto che Dio si divertisse a farla sucare per un po’ ai dannati, ma poi li perdona e li ammette in Paradiso, ma con riserva, tipo l’obbligo a lavori socialmente utili. Chissà come dovevano invece sentirsi i ragazzini creduloni con genitori divorziati (che pure a scuole erano ammessi, sia mai detto che le colpe di una generazione ricadano su quella successiva), praticamente esseri scomunicati senza Dio né morale.

In diverse occasioni mi sono chiesta se vorrei dare a miei figli una educazione religiosa cattolica. Ho cercato di analizzare laicamente la questione, di non avere pregiudizi e di capire cos’è meglio per un bambino. Ho concluso che sia meglio offrirgli gli strumenti per costruirsi una spiritualità e farsi domande profonde (anche se non sono laureata in teologia) senza ricorrere alla dottrina. In altre parole non c’è nulla sulla religione -al netto della fede, che però non si apprende- che non possa insegnare un buon genitore, agendo secondo coscienza.

Se tu metti un ragazzino nelle mani di un educatore, sia esso una maestra elementare, una insegnante di danza classica, un catechista o un capo scout, accetti il rischio che questa persona gli somministri dei concetti al tuo posto: stai di fatto delegando una parte della sua formazione a un estraneo. La base della delega è la fiducia.

Il problema è che io non mi fido dei cattolici.

non mi fido dei cattolici


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog

Magazines