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Io speriamo che me la cavo

Creato il 11 marzo 2014 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1

Io speriamo che me la cavo
Quando si dice che il vero cuore pulsante di un film, a volte, è il libro che c'è dietro... Ciò che vive tra le righe, circondato dalle emozioni rapite e immortalate dall'attimo che le ha partorite.
E se quegli attimi poi, appartengono ai bambini, il miracolo si compie e le immagini riportano in superficie tutto, ogni singola sensazione. Eppure nessuno, o forse pochi, avrebbero immaginato che Io speriamo che me la cavo (libro), sarebbe diventato un vero bestseller.
Nel 1990, il maestro elementare Marcello D'Orta, raccoglie sessanta temi scritti dai bambini della scuola elementare di Arzano, provincia di Napoli, e ne fa un libro. Immaginate l'impatto, nel sentire le voci di questi piccoli osservatori, involontari protagonisti di una storia non troppo fortunata. Le loro storie infatti, sono impregnate di disagi, di miseria e di camorra. E il tutto è filtrato dai loro stessi occhi, ecco perché l'innocenza e l'umorismo si fanno sentire, raddoppiando però la drammaticità, la commozione.
Io speriamo che me la cavo
Due anni dopo, Lina Wertmüller decide di farne un film. Attore protagonista, Paolo Villaggio, nei panni del maestro trasferito a Corzano, alla scuola De Amicis (deàmicis). Giunto qui per errore, Marco Tullio Sperelli, dovrà affrontare una realtà completamente nuova, mai toccata con mano, prima di allora. A partire da una classe praticamente vuota, i bambini sparsi per le strade a fare tutto ciò che la coscienza di un paese (la coscienza...), non dovrebbe ammettere. Ma la realtà a Corzano non prevedeva coscienza alcuna. I bambini lavorano, chi in un bar, talmente piccolo da cadere nelle vasche dei gelati. Chi fa il meccanico, chi già diventa donna a otto anni, e indossa il grembiule. Piccoli teppisti che crescono, fratelli che finiscono in carcere e madri disperate. Il disagio di un padre che non potrà mai offrire ai suoi figli una vita dignitosa, le regole che non esistono e tutto il marcio che va, a ruota libera.
Il maestro Sperelli capisce fin da subito che la situazione a Corzano è inverosimile, piena di ingiustizia palese, mandata avanti anche da quelli che dovrebbero rappresentare l'Istituzione-Scuola. La direttrice ne è esempio lampante. Forse una delle cose più assurde capitate al maestro, è stato quello schiaffo a Raffaele, il bambino più problematico. Perché a partire da quello schiaffo, qualcosa in quei bambini è cambiato. La paradossale realtà che aiuta a sopprimere i sensi di colpa, a trovare il metodo giusto da applicare. Lo scherno che si fa vendetta e poi da lì un altro passo, verso il rispetto più alto, puro. Come solo un bambino sa restituire.
Paolo Villaggio non è un attore che a pelle si ama, anzi. Ma nella sua umanità, qui, ha saputo rendere onore alla figura di un maestro alle prese con il suo più lungo e dissestato cammino, verso la formazione più ambita. In quei bambini probabilmente anche lui, ha trovato una nuova strada. Un uomo solo, una moglie che non gli è più accanto e qui, ora, a fargli le fila una vecchietta, convinta che lui sia il povero defunto marito. Il disagio di quest'uomo che all'inizio trapela dagli occhi, nel sentirsi sfiorare la mano da un seno ancora così acerbo, oppure nel tenere in braccio una bimba appena nata e conversare con la donna di casa. Una bambina con le mani nel lavello e il latte sul fuoco a cui fare attenzione.
Io speriamo che me la cavo
Sperelli uscirà da questa esperienza, più ricco. Consapevole che laggiù, a Corzano, qualcosa che vive davvero, ancora c'è. E la scuola, la possibilità più vera che ogni bambino DEVE avere, si fa salvezza. Il bisogno di gridare le proprie emozioni e buttarle su un foglio. Pensando ai disagi, alle cose belle "nonostante tutto". Questo film è una lezione impartita a tutti quanti noi e, al di là della critica, sentiamo di aver compreso la storia nel momento in cui quel piccolo uomo, con il suo tema in mano, sigilla tutto con il finale dei finali. Il lieto fine circoscritto in quelle poche parole, anche se poi non si saprà più nulla di quei bambini lasciati lì, alla stazione. Rimane però, l'immagine di quel ragazzino sul motorino, a rincorrere il treno e, perché no, il futuro che lo attende e non gli va incontro.(Lacrime, tante lacrime)"C'è sempre un terzo mondo più terzo di noi"...E qui, c'è solo da imparare. Da quelli che ogni giorno lottano, pur di cavarsela.

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