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Jarosław Iwaszkiewicz e Caravaggio

Da Paolo Statuti

   Nel mio blog ho già pubblicato alcune poesie di Jarosław Iwaszkiewicz (v. “Il poeta polacco che aveva l’Italia nel cuore”) e il racconto “Conegliano”, tratto dal suo libro Viaggi in Italia. Da questo stesso volume propongo oggi ai miei lettori le pagine dedicate a Caravaggio, nella mia traduzione.

 

   Tutte le volte che sono a Roma inizio la mia visita dei quadri di Caravaggio dalla chiesa di Sant’Agostino…Col passare degli anni si è stabilito tra me e questo pittore un rapporto intimo. Ricordo la delusione e il dispiacere provati in passato, quando al posto della Madonna dei pellegrini nella chiesa di Sant’Agostino e dei quadri nella chiesa di San Luigi dei Francesi, vedevo la scritta “in restauro”. Non solo perché per alcuni anni mi era impedito di ammirarli, ma anche perché dal “restauro” essi tornano orribilmente deturpati, con i colori chiassosamente vividi, e bisogna aspettare di nuovo qualche anno, perché quella tonalità rinnovata si smorzi, diventi meno invadente, e a volte purtroppo non serve aspettare e rimangono per sempre delle “strisce” bianche sui corpi delle figure rappresentate, sul raso dei loro abiti, e il quadro non torna più al suo originario splendore. Il restauro dei quadri è un incubo e sostanzialmente rovina il Caravaggio. Soltanto il Giovane col canestro di frutta degli Uffizi di Firenze può essere considerato un miracolo di restauro.

   Inizio dunque dalla Madonna dei pellegrini di Sant’Agostino, poi segue la cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi, quindi il Riposo durante la fuga in Egitto (il mio quadro prediletto) nella Galleria Doria, poi tutti i cinque o sei quadri della Galleria Borghese, sui quali sono stati già scritti interi volumi e infine la Conversione di san Paolo nella Basilica di Santa Maria del Popolo.

   Questo per quanto riguarda Roma. Agli Uffizi di Firenze visito il Giovane con canestro di frutta e il Sacrificio di Isacco, che è uno dei quadri più straordinari di questo pittore. Quando ero a Taormina, mi sono recato appositamente a Messina, per vedere nel locale museo due quadri di Caravaggio: l’Adorazione dei pastori e la Risurrezione di Lazzaro. Essi sono malamente conservati, forse hanno risentito del terremoto? Ma la Risurrezione di Lazzaro non ho saputo interpretarlo, come fanno gli studiosi tedeschi, che vedono in questo quadro un meraviglioso simbolismo. Infine a Palermo, presso l’Oratorio San Lorenzo, la stupenda, direi quasi “borghese”, Natività, l’ultimo quadro di Caravaggio prima della morte, lo guardai poco tempo prima che venisse rubato.

   La Deposizione dei Musei Vaticani non la guardo, perché non amo questo quadro. La linea geometrica del contorno ha qualcosa di arido, e la composizione qualcosa di molto artificiale.

   Artificiale forse è anche il Riposo durante la fuga in Egitto, ma il quadro in se stesso, l’idea stessa ha un grande fascino, ci sono tanti elementi extrapittorici, e dà tanto da riflettere sui confini tra pittura e poesia. Nelle collezioni del British Museum esiste un disegno di Giuseppe Cesari (Cavaliere d’Arpino) che raffigura lo stesso tema, nello stesso modo: san Giuseppe seduto e la Madre stanca china sul Bambino, nella stessa identica posa che si vede nel quadro di Caravaggio. Soltanto che Caravaggio ha aggiunto un angelo in piedi davanti a Giuseppe, con le ali iridescenti, che suona la viola, e a Giuseppe ha messo in mano il foglio con le note che egli mostra all’angelo con una dolce espressione del viso, mentre la Madre è allo stesso modo china sul Bambino, ma dorme cullata insieme al figlio dal suono dell’angelica viola. E tutto si trasforma, si crea una storia, un racconto, una poesia, la musica risuona nel quadro e il colore delle ali iridescenti dell’angelo integra la tonalità del quadro e la storia, che a raccontarla potrebbe sembrare banale e sdolcinata, ma diventa un quadro pittoricamente meraviglioso – con una mirabile divisione del piano, attraverso la linea delle spalle e delle ali dell’angelo. Già su questo quadro si può scrivere moltissimo, figuriamoci poi sulla cappella Contarelli!

   Quando ci sono stato l’ultima volta, incontrai davanti ai quadri due inglesi, fratello e sorella. Erano seduti su due sedie e ogni volta che s’interrompeva l’illuminazione dei quadri, mettevano nella cassetta un’altra moneta da cento lire. Restarono seduti a lungo, alla fine uno dei due mi cedette il posto. Stavamo seduti in silenzio, benché la cappella fosse colmata dal  grido del martirio di san Matteo, e non ci scambiammo neanche una parola. Ma ci univa lo stesso sentimento di ammirazione e di gratitudine per Caravaggio, e la “paura”, e il tremito” davanti a questo quadro così terribile e feroce…

   Lo spesso realismo di Caravaggio cessa di essere realismo; i suoi personaggi così vivi, veri, inseriti in un racconto, in una storia, densa di elementi letterari – presi singolarmente essi diventano le massime conquiste della pittura rinascimentale, le massime conquiste della pittura in generale.

   Velazquez a quanto pare trascorreva ore intere davanti alla Madonna dei pellegrini nella chiesa di sant’Agostino. Vedevo la gente in piedi per ore davanti alla cappella Contarelli nella chiesa di san Luigi.

   La scena del martirio di  san Matteo è una cosa del tutto incredibile. Praticamente il boia occupa l’intero quadro con il suo corpo nudo (e con il suo grido), rispetto al quale sparisce san Matteo disteso a terra, e sparisce perfino l’angelo, che è posato su una nuvola e che porge al santo la palma del martirio. Lo stesso nel quadro che raffigura la conversione di san Paolo, il vero protagonista del quadro è il possente sauro, che riempie interamente di sé lo spazio del quadro, e occorre molta luce e una osservazione molto attenta, per scorgere l’inverosimile espressione del volto del santo svenuto, al quale è apparso Dio.

   E’ sorprendente quanta attenzione abbia dedicato il pittore all’animale, rischiando in tal modo di distrarre lo spettatore, attratto dalla vista del cavallo, dalla composizione del quadro, cioè semplicemente egli potrebbe non scorgere il volto di Paolo, così come potrebbe non notare che l’unghia dell’indice della sua mano destra teso verso la luce – è spezzata. E il viso di Paolo è sovraesposto, ispirato, anche se lo vediamo di scorcio, è il viso di un uomo che giace a terra, posato sulle meravigliose pieghe del mantello color mattone.

   Ma posso perfettamente capire un certo turbamento degli spettatori romani, ai quali come “conversione di san Paolo” veniva mostrato l’enorme ritratto di un sauro che riempie interamente il quadro, e la cui lucentezza del manto dorato è resa con maestria e passione. A malapena vediamo in basso l’inconfondibile bel viso di Paolo, mentre davanti agli occhi abbiamo l’immagine di una bestia gialla, incredibilmente accorta: il cavallo solleva con cautela la zampa anteriore e guarda il protagonista con occhio saggio e comprensivo, l’espressione del suo muso è più sagace di quella del palafreniere che regge le sue redini e che sembra non rendersi affatto conto, perché mai si trovi lì. Ultimamente si è versato molto inchiostro, si sono consumate molte penne a sfera per scrivere sul Caravaggio. A volte si sceglie l’antico silenzio, il disprezzo di questo pittore, al posto di questi ragionamenti analitici, di queste psicoanalisi e dei più svariati modi di togliere allo spettatore il semplice gusto di guardare una pittura geniale. Lo storico dell’arte tedesco Herwarth Röttgen riflette a lungo sul gesto di Lazzaro risuscitato nel quadro custodito nel Museo Regionale di Messina. Ammetto che io, personalmente, ero così incantato dalla tempesta di glicine lilla, che fioriva nel grazioso cortile del piccolo museo, che il grigio e mal conservato (e forse anche malamente dipinto) quadro mi ha lasciato del tutto indifferente. Soltanto in una fotografia ho notato che Lazzaro, risvegliandosi dal sonno mortale, muove una mano, come se volesse fermare Cristo, e forma con l’altro braccio una croce. C’è in questo un significato simbolico intenzionale? Si tratta di una “trovata”? Nella Maddalena che osserva il volto del fratello morto tornato in vita, c’è un po’ dell’inutile verismo, che nel Martirio di san Matteo esplode con  autentica furia.

   Un particolare interessante: la radiografia di questo quadro mostra che la sua composizione era intesa in modo affatto normale. Il santo era situato in fondo, circondato dagli sbirri, e uno di loro si avvicinava a lui a spada tratta. Una composizione normale e “pacata”.

   Ciò che abbiamo oggi è spaventoso per la sua veemenza. Osservando il quadro più da vicino, vediamo che gli sbirri nudi sono tre. Ma dopo aver gettato Matteo a terra, due si sono voltati e hanno lasciato al terzo collega il compito di commettere il delitto. Uno si è rannicchiato in un angolo a destra del quadro e vediamo soltanto le sue spalle robuste, l’altro nell’angolo di sinistra, girato verso il primo, è spaventoso, coi capelli tagliati corti e appoggiato sulle mani, mostra allo spettatore le forti e terribili zampe di uno strangolatore.

   Un ragazzetto che sembra uscito dalla grande sala degli autoritratti della Galleria Borghese, grida anche lui. E’ lo stesso ragazzo che appariva anche nella parte dell’angelo (finché il quadro non fu rubato) nella Natività, dipinto a Palermo, dove Caravaggio si era fermato dopo le avventurose scappate a Malta. Si vede che il modello faceva parte del gruppo dei compagni fissi del grande pittore. O forse semplicemente egli lo aveva impresso nella memoria?

   Il grido del ragazzo spaventato, il triviale urlo del boia che uccide – si avvertono quasi fisicamente. Allo stesso modo grida Isacco sotto il coltello di Abramo alla Galleria degli Uffizi di Firenze – mentre l’angelo che trattiene la mano di Abramo e indica con il dito la vittima da sacrificare (metà maiale, metà capro), è classicamente, ironicamente bello, come una statua greca. Che ironia in questo quadro!

   Gli autoritratti della Galleria Borghese, eseguiti per il cardinale del Monte, terminano con il quadro che raffigura David con la testa di Golia, non molto tempo fa orribilmente restaurato. Sul tema di questo quadro gli studiosi hanno versato fiumi d’inchiostro (o forse soltanto di acqua). Essi si chiedono perché David con commozione e pietà guardi la testa recisa di Golia, che è l’autoritratto del pittore. Ma se le figure di giovani raffigurate da Caravaggio (con frutta o senza) sono autoritratti, allora anche David è il ritratto di Caravaggio da giovane, che con tristezza regge la testa di Caravaggio nell’età matura. E’ una metafora molto letteraria narrata in un linguaggio molto pittorico.

   Nel caso di Caravaggio appunto non si sa dove termina la pittura e dove inizia la letteratura. Le storielle letterarie di Caravaggio sono spesso inspiegabili e le chiarisce soltanto il linguaggio della pittura. Ad esempio, perché lo sbirro che decapita san Matteo è nudo ed è così diabolicamente bello?

   Non dimenticherò mai l’impressione provata, allorché visitai per la prima volta la cappella Contarelli. A quel tempo non sapevo ancora che Caravaggio è il più grande pittore rinascimentale che si possa incontrare a Roma.

 

(C) by Paolo Statuti

 I quadri di Caravaggio citati da Iwaszkiewicz:

Caravaggio:  Risurrezione di Lazzaro

Caravaggio: Risurrezione di Lazzaro

Caravaggio: Sacrificio di Isacco

Caravaggio: Sacrificio di Isacco

Caravaggio: Natività (rubato e mai più ritrovato)

Caravaggio: Natività (rubato e mai più ritrovato)

Caravaggio: Giovane con canestro di frutta

Caravaggio: Giovane con canestro di frutta

Caravaggio: David con la testa di Golia

Caravaggio: David con la testa di Golia

Caravaggio: Madonna dei pellegrini

Caravaggio: Madonna dei pellegrini

Caravaggio: Adorazione dei pastori

Caravaggio: Adorazione dei pastori

Caravaggio: Riposo durante la fuga in Egitto

Caravaggio: Riposo durante la fuga in Egitto

Caravaggio: Deposizione nel sepolcro

Caravaggio: Deposizione nel sepolcro

Caravaggio: Conversione di san Paolo

Caravaggio: Conversione di san Paolo

 

Caravaggio: Martirio di san Matteo

Caravaggio: Martirio di san Matteo


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