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L'amore di Bogart e Bacall, un sogno irripetibile a Hollywood

Creato il 09 maggio 2010 da Sophielamour

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Se oggi il mondo dello star system dovesse cercare un attore-mito del calibro di Bogart credo farebbe molta fatica a trovarlo.
Humphrey De Forest Bogart nasce a New York il giorno di Natale del 1899, la sua famiglia è di classe agiata. Destinato a uin ottimo college Bogart, che non brilla negli studi, rifiuta e abbandonati gli studi si arruola in marina. Partecipa alla prima guerra mondiale. Da una colluttazione con un prigioniero gli resterà quella cicatrice al labbro superiore che contribuirà in seguito a conferirgli quella particolare mimica facciale che è la maschera caratteristica del suo volto cinematografico, oltre che una certa difficoltà di pronuncia.
Lavora con un impresario teatrale, William Brody, con cui aveva già fatto esperienza prima del conflitto (a 17 anni ebbe le sue prime esperienze come regista di teatro). Affronta il palcoscenico con diversi lavori finchè viene notato nel ruolo di Duke Mantee nell’adattamento teatrale de “La foresta pietrificata” che nel 1936 sarà portata sullo schermo da Archie Mayo in un film che vede Bogart nel suo primo importante ruolo e a cui Humphrey darà un’impronta notevole.
Prima del 1941, a parte il film di Mayo, interpreta diversi film con parti relativamente poco importanti, soprattutto polizieschi ma anche un paio di western e un fantahorror (“Il ritorno del dottor X” di Vincent Sherman). Bogart ha davvero “fatto la gavetta” e una delle più dure e lunghe della storia del cinema. Nel 1941, appunto, la svolta: John Huston lo sceglie per interpretare il ruolo di Sam Spade ne “Il mistero del falco” (noto anche come “Il falcone maltese”) che ne decreta l’incondizionato successo e da cui nasce il mito di Bogart il”duro”, a volte cinico a volte sardonico. Dello stesso anno l’interpretazione del gangster “buono”, braccato ma che trova il tempo per una bella azione di riscatto morale, in “Una pallottola per Roy” (“High Sierra” di Raoul Walsh).
Nel 1942 nasce il personaggio-mito, il film di Bogart per eccellenza, l’intramontabile “Casablanca” di Michael Curtiz con Ingrid Bergman, il suo film più famoso, anche se non il suo migliore (questo titolo spetta a “Il tesoro della Sierra Madre” che girerà per la tregia di John Huston nel 1948). E pensare che per il ruolo di Rick avevano pensato a Ronald Reagan, ma il futuro Presidente degli Stati Uniti rifiutò ritenendo quel personaggio troppo debole per il suo credito.
Humphrey Bogart non è, fisicamente, il classico divo hollywoodiano: è piccolo, non ha particolari doti espressive, è tutto sommato

Fotografie per Humphrey Bogart

 

il massimo della “normalità”, ma la sua presenza scenica, il suo carisma di attore, la sua faccia dolente disincantata ne fanno l’idolo delle platee americane e mondiali. Ogni personaggio a cui da vita è perfettamente caratterizzato, quasi Bogart ne scavasse in profondità la psicologia e se ne appropriasse totalmente. Dall’avventuriero misterioso e lacerato dai ricordi d’amore di Casablanca, al capitano Queeg e le sue ossessioni in L’ammutinamento del Caine, dal marinaio rozzo de La Regina d’Africa (interpretazione che gli valse l’Oscar), al reduce de L’isola di Corallo., fino al gangster del bellissimo “Ore disperate” di cui è stato fatto un remake ad opera di Michael Cimino.

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E poi, oltre al Rick di Casablanca, un altro personaggio memorabile: nel 1946 Howard Hawks lo chiama ad interpretare la parte di Philip Marlowe in “Il grande sonno”. Da allora il detective creato da Chandler e Humphrey Bogart diventeranno, nell’immaginario collettivo, una cosa sola. Nessun altro attore che si sia cimentato con il personaggio è mai riuscito a creare una tale simbiosi. Soltanto Robert Mitchum vi riuscì in parte, ma anche grazie ad un certo stile che si rifaceva al mito di Boogey.

 

La filmosgrafia di Bogart è nutrita, anche se va detto che dalla fine degli anni ’40 in poi le sue interpretazioni appaiono in molti casi sottotono, salvo quando la sensibilità del regista riusciva a trarre da lui il meglio, affidandogli parti difficili e controverse o, come fece quel geniaccio di Billy Wilder catapultandolo nella commedia sofisticata (“Sabrina”).

 

Oltre all’Oscar per “La Regina d’Africa”, recitato al fianco di una strepitosa Katharine Hepburn, Bogart ottenne solo altre due nomination (Casablanca e L’ammutinamento del Caine). Di certo molte sue interpretazioni sono degne della statuetta. Ma l’Oscar, come il Nobel per la letteratura, raramente si da a chi lo merita.

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La sua vita privata è movimentata da matrimoni, dallo scalpore suscitato dal suo amore per Laureen Bacall che lui conosce sul set di “Acque del Sud” (celebre la frase di lei “Se mi vuoi fammi un fischio” e chissà quanti spettatori, come me, hanno subito accennato a fischiare!). Laureen e Humphrey si sposano poco dopo e lei diventerà la quarta signora Bogart, soppiantando il ricordo diHelen Menkell, Mary Philips e Mayo Methot che l’avevano preceduta. Sarà, quella Bogart-Bacall una delle coppie più stabili e felici di Hollywood, per i pochi anni che ancora rimarranno a lui da vivere.

 

Ma, prima di concludere, non si può tacere il fatto del carattere intrabbile che aveva Nogart, in parte mitigato da un caustico senso dell’ironia che esercitava soprattutto nei confronti della stampa e dello star system. Eppure, pur non amando particolarmente i giornalisti, proprio un giornalista è il protagonista di un bellissimo film e di una sua grande e appassionata interpretazione in nome della libertà di stampa: “L’ultima minaccia” lezione di film e di etica giornalistica da ricordare (1952 per la regia di Richard Brooks). Un film come questo nel 1952 è anche un atto di coraggio. L’america è attraversata dalle isterie della guerra fredda e del maccartismo. Ma Bogart, di idee democratiche, non se ne cura, anzi. Nella fase più nera del maccartismo egli organizza una marcia di protesta contro le liste di proscrizione che a Hollywood stanno impedendo a molti, accusati di essere communisti, di lavorare.

 

La frecciatina ai giornalisti però è, curiosamente, il suo ultimo film, una storia di un pugile “costruito” il cui successo è montato artificiosamente da un giornalista privo di scrupoli: “Il colosso d’argilla”, tra l’altro uno dei migliori del genere, di Mark Robson (1956).

 

Bogart amava il mare, aveva un suo panfilo personale il Santana col nome del quale battezzo anche gli studios indipendenti cui diede vita nel 1947, amava abche l’alcool e le sigarette. Non vi è film in cui non lo si veda accendersi, con quel suo gesto inimitabile, una sigaretta. E il fumo fu probabilmente all’origine del tumore al polmone che lo costrinse ad una lunga e disperata lotta che si concluse il 14 gennaio 1957 con una morte prematura.

 

Di lui John Huston disse “Non l’ho mai visto reciare con tanta fedeltà ruoli da lui odiati e detestati” a sottolinearne le doti di altissima professionalità.

 

Amato in vita divenne da morto un mito, cui diede nuova vita e impulso Woody Allen ricordandolo nel suo “Provaci ancora, Sam” titolo ricavato dalla battuta “Suonala ancora, Sam” in Casablanca Rick-Bogart pronuncerebbe rivolto a Hoagy Carmichael (Sam, il pianista) e che in realtà nel film non c’è.

 

Poiché fino alla fine degli anni quaranta molti attori erano sotto contratto con le mayor si verificava spesso un vero e proprio lavoro di squadra con gli stessi attori impegnati in diversi film. E dunque vale la pena accennare ad alcuni di esse che con Boogey formarono un gruppo davvero affiatato: Peter Lorre, Walter Brennan, Laureen Bacall (ovviamente), Edward G. Robinson, Sidney Greenstreet.

 

Humphrey Bogart è stato per il cinema un pezzo di storia non trascurabile e i suoi film si rivedono sempre con piacere e riescono sempre ad appassionare anche dopo molte visioni. In tempi di effetti speciali di ogni genere fa bene ogni tanto tornare a vedere delle belle storie “come una volta”. E se a farcele gustare c’è Boogey allora è un piacere in più

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