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L’eredità attuale del 25 aprile Troppe sterili polemiche sul giorno della liberazione

Creato il 25 aprile 2012 da Yellowflate @yellowflate
L’eredità attuale del 25 aprile Troppe sterili polemiche sul giorno della liberazioneAncora polemiche idiote, e colpevoli sottovalutazioni, sulla celebrazione del 25 aprile, festa della Liberazione d’Italia dai nazifascisti. La storia – si dice e si vuol far credere – ha camminato veloce. La generazione che fece o assistette alla guerra civile va scomparendo. A che pro dividersi ancora?
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>Ma il 25 aprile non è una data che divide. L’antifascismo e la memoria della Resistenza sono invece la base saldissima sulla quale è stata scritta nel 1947 la Costituzione repubblicana. Costituiscono i grandi depositi sui quali si è potuta costruire – pur nei rigori incombenti della guerra fredda – la legittimazione stessa della democrazia italiana. Da lì ha tratto linfa il patto costituente, cioè quel mirabile capolavoro per cui, nonostante già si dividessero aspramente nel Paese, le forze politiche del dopoguerra seppero trovare un’intesa calibrata, capace di durare a lungo, costuituendo il collante della rifondazione della nazione dopo la sua drammatica Caporetto del 1943.

Celebriamo il 25 aprile non come un lontano ricordo d’altri tempi, con il gusto puramente storiografico o – peggio – museale di ripercorrere il nostro passato. Lo celebriamo come la Francia laica e moderna ricorda il suo ’89; come la Gran Bretagna ricendica la lunga storia del suo parlamento glorioso; e gli Stati Uniti la rivoluzione americana guidata da Washington. Qui, e non altrove, stanno le nostre radici. Da qui bisogna ripartire, specie oggi, che una crisi profonda e insieme drammatica investe l’Europa e il mondo, travolgendo in Italia antiche certezze, rassicuranti tutele, rendite di posizione consolidate. Fu così anche nell’Italia del dopoguerra: un apparato industriale largamente da ricostruire, una finanza pubblica in pezzi, le rovine della guerra da rimuovere (rovine materiali, ma specialmente morali), una intera classe dirigente nuova da accreditare alla guida della politica. Compito diffiicilissimo, e tuttavia portato a termine nell’arco di meno di un decennio, innescando attorno alla giovane Repubblica democratica un processo di ricostruzione che sfociò a metà anni Cinquanta nel miracolo economico e nel rilancio italiano tra i paesi leaders del capitalismo mondiale. I miracoli (economici e morali) non avvengono per caso. Fu la Resistenza, fu l’accumulo di moralità che veniva dalla guerra partigiana a consentire quello straordinario balzo in avanti. L’Italia del dopoguerra (e non parlo solo delle élites dirigenti: parlo delle famiglie, della gente comune, delle nostre madri e dei nostri padri) potè spendere nell’immane sforzo postbellico una risorsa decisiva, che definirei come la moralità diffusa, la consapevolezza comune, in tutti gli strati della popolazione, che se ne potesse venir fuori, che si potesse riprendere a vivere con fiducia nel futuro: certi che i sacrifici di oggi sarebbero stati ripagati domani. Non ci sarà alcuna duratura ripresa dell’Italia dalla crisi attuale se analoghe energie morali non saranno valorizzate e messe in campo, se non si ritornerà a quello spirito collettivo del 25 aprile, a quell’unità tra tutte le donne e gli uomini di buona volontà nel nome di diritti che allora come oggi non potevano e non possono essere dimenticati. Perciò, accanto al processo di risanamento economico-finanziario, cui deve seguire la crescita del Paese in termini di produzione e di occupazione, bisogna tenere ben ferma la bussola del 25 aprile. Da lì, da quella straordinaria, intensa primavera della democrazia, viene un messaggio preciso. Dobbiamo raccoglierlo noi, ora che gli ultimi esponenti di quella generazione scompaiono, e farne il perno per riprendere la strada allora tracciata. In una società che vogliamo basata sul lavoro, sul benessere, sullo sviluppo ma al tempo stesso giusta, non classista e democratica. Sono passati 67 anni, due generazioni quasi. Ora tocca a noi. firmato Guido Melis

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