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L’interpretazione regionale del cibo mondializzato

Da Lundici @lundici_it

Quando si parla di mondializzazione, un esempio pratico sotto gli occhi di tutti è la grande internazionalizzazione delle opzioni culinarie nelle nostre città. L’interpretazione regionale del cibo mondializzatoPer primo arrivò il fast-food, spesso accompagnato dall’immagine nefasta di cibo spazzatura distribuito multinazionali americane. Poi arrivarono i ristoranti cinesi, messicani, africani, interessanti opzioni che ancora chiamavamo “etnici” per una serata all’insegna della scoperta e della novità.

Oggi, nel bene e nel male, il cibo internazionale è più semplicemente una realtà, ricette dalle più diverse origini sono proposte quotidianamente finanche nelle mense aziendali e nelle scuole materne.

Questo fenomeno ha creato una sorta di menù di piatti internazionali che è possibile degustare, in una miriade di declinazioni, un po’ dappertutto nel mondo. Si va dagli storici hamburgher, pizza e kebab, ai sushi e agli involtini primavera, alla paella, al churrasco, al curry, solo per citare alcuni.

Ma la mondializzazione del cibo è un fenomeno che va solo dal regionale al mondiale, volgarizzando e semplificando ricette tipiche di una località o di una nazione per distribuirle universalmente? O è possibile che il cibo mondializzato riassuma poi un’identità locale, con esempi di eccellenza paragonabili alle cucine tradizionali?

L’interpretazione regionale del cibo mondializzato

Un temaki brasileiro

Di recente ho avuto il piacere di scoprire a Londra una temakeria brasiliana. Il temaki, un cono di alghe ripieno di riso e pesce molto simile al maki, è un piatto tipicamente giapponese. In Brasile però, il temaki è stato importato e riadattato al gusto locale, creando ricette originali popolarissime. Se il tutto è servito bevendo Guaranà e col sottofondo di Forrò (musica tradizionale del Nord-Est del Brasile, NdR), ecco che si può tranquillame affermare di aver mangiato brasiliano… mangiando sushi.

Questo esempio si aggiunge ad un altro recente, quello di un ristorante cinese a Parigi tenuto da giapponesi, in cui i proprietari preparano i piatti cinesi secondo il gusto del loro paese. Il risultato è notevolmente diverso da quello originale, benchè altrettanto gustoso e sicuramente innovativo. Una cucina che mi ha fatto pensare ai nostri ristoranti cinesi di fine anni ’80, spesso tenuti da italiani, in cui servivano un pollo al limone molto simile a una cotoletta: un piatto praticamente impossibile da trovare in Cina.

Sono solo pochi esempi, ma senz’altro indicatori di nuove tendenze che fanno della mondializzazione un mezzo di rinnovamento e varietà, una nuova via fra l’oltranzismo tradizionalista dei piatti locali e l’appiattimento gastronomico del cibo mondiale, tutto uguale ovunque.

Aspetto quindi di poter assaggiare un risotto al fois gras altrove che in Francia, trovare un buon ristorante di cuscus di maiale o perché no, se mai esistessero, delle buone linguine Alfredo, magari fuori dal Nord America. Se le trovate, ve ne prego, segnalatelo all’autore.


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