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L’invasione silenziosa del Baltico. Il ritorno di Pietro il Grande

Creato il 10 maggio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Reportage: “Tra le fauci dell’orso. Geopolitica e società di un’Ucraina divisa”

L’infatuazione russa per la Lettonia. Le dichiarazioni di Tallinn e Vilnius

Primi giorni di novembre 2014. La marina russa ha nuovamente sconfinato nella zona economica lettone. È forse la cinquantesima volta. L’ultima nave ex sovietica si è attestata a una decina di miglia dalle acque territoriali della Lettonia. E l’aeronautica militare del Cremlino non è da meno. In un solo anno sono stati intercettati nello spazio aereo lettone circa duecento velivoli battenti bandiera russa. Un’invasione silenziosa? Può darsi. Dal Ministero della Difesa di Riga, il ministro Raimonds Vejonis ha fatto sapere che il Paese non sarà impreparato, e saprà rispondere a dovere a un’eventuale invasione della Russia di Vladimir Putin. “I nostri soldati si stanno addestrando alle diverse situazioni da affrontare” fece sapere lo stesso ministro della Difesa, “Ma necessitiamo di una collaborazione con la Nato”.

La stessa Estonia, di lì a qualche giorno, confermò i timori dei vertici lettoni. Aveva così fatto sapere che nessuno si era mai illuso di una conclusione definitiva dell’Unione Sovietica nel 1991. La Rivoluzione rosa in Georgia nel 2003 e la Rivoluzione dei tulipani nel 2005 in Kirghizistan dovevano essere interpretate dall’Europa e dal mondo come un nuovo incendio che stava divampando in quell’area. L’Estonia dell’anno scorso (2014) dichiarò, inoltre, di aver già provveduto a predisporre le truppe per eventuali operazioni militari di contenimento dei confini, mentre la popolazione civile – riunita nella lega di difesa Kaitseliit – aveva raddoppiato la propria partecipazione nelle fila dell’organizzazione paramilitare.
Ma è forse la Lituania di Vilnius che, ormai da qualche tempo, soffre maggiormente la tensione con il Cremlino. Il 26% della popolazione è infatti di origine russa, e in Parlamento il partito filorusso rischia di destabilizzare gli equilibri politici interni. In quest’ottica, la Lituania ha fatto richiesta di un presidio permanente della Nato sul territorio nazionale, per scongiurare così un eventuale tentativo russo d’invasione del Paese.
All’interno di un simile quadro geopolitico, c’è chi ha parlato di un ennesimo rischio di Guerra Fredda, anche se il ministro lettone Vejonis ha affermato di come una tale prospettiva sia da definirsi particolarmente remota. Uno scontro diretto o ideologico con gli Stati Uniti non favorirebbe la Russia putiniana. Sebbene una seconda Guerra Fredda sia un orizzonte piuttosto improbabile, il Baltico non è per certo un mare ad oggi abbandonato a se stesso. Le tre repubbliche hanno dispiegato la marina militare, e restano all’erta e sensibili a ogni minimo movimento della Russia.

La Svezia delle utopie: Russia no-dangerous. La prudenza dei Finlandesi

A quasi dieci anni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Svezia del primo ministro Goran Persson rivelò di aver notevolmente ridotto gli apparati militari difensivi con la convinzione che la Guerra Fredda fosse ormai un capitolo dei manuali di storia. I vertici svedesi dichiararono così di essersi presi una pausa strategica, abbassando le difese militari a favore di un potenziamento dell’alta tecnologia, almeno secondo le parole dell’esperto in storia militare Bo Hugemark. L’esercito della Svezia consta ad oggi di 12mila unità, dopo alcune operazioni di riduzione inaugurate nel 2009 con la fine della leva obbligatoria.

La Battaglia di Hogland nella Guerra russo-svedese (1788-1790). Pubblico dominio/Wiki/Peter Isotalo

La Battaglia di Hogland nella Guerra russo-svedese (1788-1790). Pubblico dominio/Wiki/Peter Isotalo

Il perché di quest’abbassare la guardia da parte svedese, è da ricercarsi nella consapevolezza di una protezione efficiente scaturita dallo scudo baltico-finlandese. Ed ora che la Russia minaccia un ritorno alle armi, la Svezia di Kjell Lofven è un Paese in balia degli eventi, sprovvisto di un apparato militare adeguato e a rischio di un’invasione inarrestabile. Qualcuno ha così ricordato gli eventi del 1939 nella Polonia occupata dall’esercito nazista: un dilagare degli invasori in un territorio inerme (1° settembre ’39 – 6 ottobre ’39).
Non è questo il caso della Finlandia del Terzo millennio, segnata da una relativa prudenza derivata dalla diffidenza nei confronti della politica estera russa. Nelle prospettive di rapporto con il Cremlino, i vertici di Helsinki hanno registrato in questi anni una certa frattura: un ottimismo (forse utopico) dei politici e uno scetticismo dei comparti militari. Ad oggi, dunque, gli apparati difensivi finlandesi non necessitano di investimenti straordinari per arginare eventuali attacchi dal fronte russo. Nonostante ciò il 2014 è stato per la Finlandia un anno di sospetti e casi mai realmente risolti. Si sono registrate cinque violazioni dello spazio aereo da parte dei Russi, nonché alcuni incidenti tra l’agosto e il settembre dello stesso anno. A questi, poi, si sarebbe aggiunto l’impedimento alla nave finlandese “Aranda” di perlustrare le acque internazionali.

La strategia della “distrazione politica”

C’è inoltre chi parla di una manovra mediatica di distrazione dai concreti problemi della politica interna. Insomma, rabbuiare l’immagine della Russia per non parlare delle problematiche interne. Ancor più all’indomani della crisi ucraina, che parrebbe ridisegnare l’assetto sociopolitico dell’Est europeo. L’Ucraina del turnover Janukovich-Poroshenko è così divenuta lo spauracchio politico per questi Paesi che rischiano le attenzioni di Mosca. Nessuno vuole parlare ai propri elettori della situazione interna del proprio Paese, e preferisce così distrarre l’opinione pubblica verso le mire espansionistiche di uno Stato confinante. Queste le parole di Ivars Zarins, politico lettone del partito socialdemocratico “Armonia”: “Il mio Paese dovrebbe concentrare la propria attenzione su categorie ben precise: l’istruzione e il welfare, tralasciando la politica estera del Cremlino”.
Non bisogna del resto dimenticare – all’interno di un simile contesto – la simpatia di Zarins per Mosca, che è in fondo condivisa da gran parte delle minoranze russe in territorio baltico. Più ancora che una guerra fatta di armi, la tensione che si percepisce in questi territori ha la natura propria di una guerra mediatica e ideologica, radicata profondamente sulle dinamiche caratteristiche della propaganda sommersa. In questo senso, infatti, Mosca ha attivato nel novembre 2014 un nuovo canale satellitare, “Sputnik”, trasmettendo in estone, finlandese, lituano e in altre 27 lingue. Una strategia volta ad incrementare il consenso popolare nei confronti delle delibere del Cremlino, che è stata prontamente controbilanciata dalla scelta della Lettonia di aprire un nuovo canale in lingua russa, così da sfavorire la fruizione di emittenti straniere.
C’è chi parla, dunque, di una revisione sottile della libertà di parola. Altri, invece, si interrogano se una tale politica dell’informazione non sia poi soltanto un aumento del ventaglio mediatico. Che sia sul filo delle notizie o dei coltelli, i territori baltici e parte del Nord Europa guardano alla Russia col timore di una nuova guerra. L’Ucraina orientale è la conferma di una terra tutt’altro che preservata dalle tensioni.

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