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“L’uomo di paglia”

Creato il 22 luglio 2010 da Cinemaleo

1958: L’uomo di paglia di Pietro Germi

“L’uomo di paglia”
 
“L’uomo di paglia”

Tra Il ferroviere (1956) e Un maledetto imbroglio (1959) questo è il secondo dei tre film che vede il grande regista non solo dietro la macchina da presa ma anche come attore protagonista.

 

Il film non fu molto apprezzato dalla critica, gli fu soprattutto rimproverato il finale. Il Morandini, ad esempio, ha scritto: il finale rovina l’equilibrio a colpi di retorica e di buon senso piccolo borghese”. Mi permetto di non essere d’accordo. Il lieto fine è solo apparente: basti ricordare le parole della moglie fuori campo e soprattutto lo sguardo che il bambino rivolge ai genitori. L’ostilità degli addetti ai lavori del tempo si deve (è notorio) agli intellettuali di sinistra che hanno sempre accusato Germi di rappresentare la classe operaia senza sottolinearne la coscienza di classe e perdippiù con sentimenti e comportamenti tipicamente borghesi: uomini che amano bere, divertirsi, andare a donne, disposti a tutto pur di non perdere il lavoro… Naturalmente la Sinistra sbagliava, sia nell’aver mitizzato «l’operario» sia nel non avvertire i cambiamenti sociali che stavano avvenendo in Italia. Fortunatamente L’uomo di paglia ebbe un grande successo presso il nostro pubblico e ricevette lodi a non finire a Cannes e a Mosca (tra l’altro vinse il Nastro d’Argento per la Miglior Regia e per il Miglior Commento Musicale).

Visivamente raffinato, nel contenuto secco e asciutto (senza ombra di retorica o patetismi). Una acuta analisi della disgregazione famigliare e della solitudine dell’essere umano che, come molti suoi film, anticipa i tempi e fa di Germi un regista coerente e controcorrente (basti il confronto con i «drammoni» in voga negli anni Cinquanta).

Pietro Germi è stato uno dei pochi Maestri del cinema italiano a lavorare sui generi, passando disinvoltamente dal melò al film di denuncia, dal thriller al grottesco, dalla commedia di costume al dramma, dal noir psicologico alla critica sociale… ma sempre senza mai rinnegare se stesso e le su idee.

Da approvare in pieno il giudizio finale di Franco Scotto: L’uomo di paglia è una storia altamente umana scritta da un colto conoscitore del cinema. E non è poco”.

p.s.

Gabriele Niola, tra i meriti del film, giustamente sottolinea la “leggerezza di tocco anche nell’uso della voce fuoricampo (espediente tra i più pesanti) che è davvero invidiabile”.

scheda

 

premi e riconoscimenti 

 


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