Magazine Diario personale

La conoscenza di sé passa dal guardaroba e il mio sé ha un problema

Da Romina @CodicediHodgkin

Cioè, fermi tutti. In camera da letto sembra sia esplosa una fabbrica di capi d’abbigliamento e io ho il fiatone. Sto facendo una cosa che detesto dal profondo e che non facevo da…da…non lo so, forse – e non ne sono certa – da quando sono andata a vivere da sola nel 2007. Sto facendo pulizia nell’armadio.

Vi spiego, io non sono normale. Io lo so che probabilmente ci sono dei percorsi di terapia in 12 steps per risolvere il mio problema, un po’come si fa con la dipendenza dal fumo. Il mio problema è che accumulo vestiti.  Accumulo vestiti per anni e anni senza buttare niente. Ho colonizzato anche l’armadio di Maschio Alfa, ormai, e non perché ho tanti vestiti punto. Perché ho tanti vestiti il 90% dei quali nemmeno vengono indossati da anni. Dato che al momento non sono fisicamente in grado né di cercare casa, né di affrontare un trasloco la Gnappetta Alfa dovrà necessariamente nascere in questa casa, volente o nolente. Ergo, devo rimediare spazio per mettere le sue cosine. E per rimediare spazio, devo buttare quello che non serve. Era ora, anche, direi. Per mesi e mesi e mesi ho sognato che a casa mia piombasse dal cielo come Mary Poppins Carla, quella di Real Time, che con una bacchetta magica mi sistemasse armadio e cassetti. Niente da fare, evidentemente lei è come Babbo Natale: invece che riconoscere i bambini cattivi e lasciarli senza regalo, riconosce quelli che hanno un armadio che la condurrebbe dritta dritta in manicomio e li lascia cuocere nel loro brodo.

Tant’è, due giorni fa ho deciso che fosse giunto il momento di fare quello che dovevo. Ho iniziato dal cassetto dei calzini, tanto per non partire subito col trauma grave. Ho buttato un’intera bustona di calzini, calzerotti e calzettoni. Avete presente il mio famoso problema della lavatrice e i buchi spazio temporali? Deve essere più grave del previsto visto che circa il 70% dei calzini che ho buttato era spaiato. E poi, avete presente i calzettoni di spugna anni ’90, quelli cui l’elastico, invariabilmente, faceva l’”effetto fisarmonica”? Avevo anche quelli. Lo confesso. Mai più messi a partire dalla fine delle scuole medie ma mai nemmeno buttati.  E i collant? Ne vogliamo parlare? A parte il fatto che non so perché io debba avere almeno 3 paia di collant per colore, ma perché conservare anche quelli smagliati? Via, ho ripulito tutto. Non solo, sapendo che tanto il mio animo è fondamentalmente disordinato, devo anche farmi violenza per mantenere tutto in pseudo-ordine. Ho preso due scatole di scarpe. In una ho messo i calzini corti superstiti (che comunque, sono più di venti paia, mica pochi), nell’altra ho messo i calzettoni lunghi. Infine, ho ordinato i collant e per tenerli ben composti ed evitare che si srotolino, li ho fermati uno per uno con un elastico. Poi, è stato il turno dei costumi da bagno (anche quelli MAI messi, specialmente perché se posso evitare il mare, lo evito con la gioia nel cuore) in una busta et voilà: ho un cassetto dei calzini che sembra quello del pilota serial-killer della pubblicità della Calzedonia (perché un uomo che tiene i calzini in quel modo, a me desta seri sospetti…).

Poi, ieri, son passata al cassetto della biancheria. Un ingiustificabile numero di capi e fare una cernita è stata dura. In pratica, tra le cose improbabili, ho conservato solo le mutande portafortuna dei tempi dell’università, quelle non si toccano. Ho dato tutti gli esami, con loro. La volta che ho avuto tre esami in tre giorni le ho lavate a mano e asciugate con l’asciugacapelli.

Oggi è toccato al guardaroba vero e proprio. Ho fatto un bel respiro e ho aperto l’armadio. Mediamente, ci sono 5 magliette per stampella. Sentite, io non lo so che ho un problema, sono consapevole. Ora, ok, è vero che lavorando in ambienti funerei, infelici, cupi, banali, omogeneizzanti e grigi il mio guardaroba ha necessariamente dovuto adeguarsi e mi ritrovo con un numero imprecisato di completi giacca-pantalone grigi. Cinquanta sfumature di grigio, praticamente. Vabbé, poco da fare, quelli me li devo tenere. Ma perché ho conservato fino ad oggi dei pantaloni rossi che ricordo benissimo di aver comprato in quinto superiore e che ormai sono stinti e depressi? Li ho comprati che avevo 17-18 anni. Ora ne ho quasi trenta. E i pantaloni taglia 40 che mettevo quando facevo chemio? Ma quando ci rientro io in una taglia 40? Per rientrarci dentro, dovrei essere morta da sei mesi! E quelle 10 cinture che non ho mai messo, che sono giunte a me non so bene come e che sono sicura di non aver mai comprato io? Via. E poi, ma perché, perché, perché diavolo ho conservato decine di magliette con i polsini dall’orlo saltato, che hanno fatto i pallini, pantaloni che morivano di depressione perché non li ho indossati per anni e anni?! Mi sono messa lì con la santa pazienza e il metro di giudizio per eliminare o meno un capo è: “l’ho messo nell’ultimo anno? Sì, lo tengo. No, lo butto”.  Mica per niente: non è che io sia una di quelle che non fa shopping…io sono tremenda e continuare a comprare senza togliere di mezzo le cose vecchie è da pazzi.

Ora però mi sono affaticata e son son stramazzata sul divano (è dura fare queste cose “impegnative” dopo tre mesi di immobilità praticamente assoluta) e ho lasciato due cumuli di panni – estate e inverno – sul letto e sette buste di panni e accessori da far sparire buttate nel corridoio. Giuro che è un’esperienza a tratti spirituale. Una cosa tipo “dimmi che vestiti ti ostini a tenere e ti dirò chi sei”.  Oserei dire che mi sto purificando attraverso la pulizia dell’armadio. Catarsi totale. Se l’aliena non mi lancia manifestazioni di disappunto, tra qualche ora riprendo. Oppure, per quanto mi riguarda, stasera si dorme tranquillamente sul divano…


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