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La paura di Hitler

Creato il 22 marzo 2013 da Faustodesiderio

Uno dei dischi più noti e apprezzati della coppia Mogol-Battisti è Emozioni. Le emozioni nel linguaggio comune hanno un significato positivo ben comprensibile in espressioni del tipo “che emozione”, “mi sono emozionato”, “ho provato una grande emozione”. Se qualcuno ci dicesse che l’esperienza politica e storica del nazionalsocialismo nasce proprio da qui, dalle emozioni, faremmo, almeno in prima battuta, un po’ fatica a capire perché il capo del nazionalsocialismo, Adolf Hitler, ci provoca da subito un’altra emozione fondamentale dell’esistenza: la paura. Eppure, il movimento nazionalsocialista nasce proprio dall’emozione e in particolare dalla paura. Dalla paura di cosa? Paura della fine, della fine della sicurezza, della fine della stabilità, paura della fine di un mondo e di una civiltà. Paura del progresso e del comunismo. L’origine del totalitarismo tedesco nasce dunque dalla paura che, come emozione conservatrice, diventa re-azione e sprigiona tutta la sua forza irrazionale e annientante davanti a cambiamenti rapidi e profondi che minacciano la vita umana per come si è manifestata e organizzata fino a quel momento. Questa interpretazione del fascismo hitleriano è di Ernst Nolte ed è a suo modo classica. E’ stata ripresa da Massimo De Angelis nel suo libro, appena uscito per Rubbettino, Adolf Hitler. Una emozione incarnata.

L’interpretazione di Nolte, fornita con il libro Il fascismo nella sua epoca del 1963, fece scandalo perché fu vista come un’apologia di Hitler. Ci volle, molti anni dopo, Francois Furet per valorizzare al meglio la lettura storica e filosofica che Nolte diede del nazionalsocialismo e vederne anche i punti di contatto tra i nazisti anti-rivoluzionari e i comunisti rivoluzionari fino ad una fatale conciliazione degli estremi. Il pregio del libro di Massimo De Angelis è proprio questo: sulla scorta di Nolte, Furet, Joachim Fest, Augusto Del Noce  – e, naturalmente, della sua vasta cultura filosofica -  approfondisce l’interpretazione di Nolte accostando il nazionalsocialismo di Hitler e la lettura di Essere e tempo di Heidegger in cui proprio l’angoscia  – come paura profonda e fondamentale dell’essere umano -  è quella “apertura” o “radura” dell’uomo che precede necessariamente ogni pensiero e ogni azione. Il lettore, che pur si dovrà armare di un po’ di pazienza  – ma le cose serie chiedono pazienza -  avrà modo di seguire tutto il percorso che Massimo De Angelis gli farà fare, a partire dal pensiero di Hegel, nel cuore della modernità nel tentativo di comprendere quegli sconvolgimenti titanici della prima metà del Novecento che vanno sotto il nome di guerra civile europea.

Il libro è arricchito dalla Prefazione dello stesso Nolte che fa un po’ il punto sui suoi studi in merito e riconosce il valore originale del lavoro fatto da Massimo De Angelis. Ma  – me lo permetterà De Angelis, al quale sono legato dal ricordo della sua collaborazione a L’Indipendente al tempo in cui ne fui vicedirettore -  Nolte introduce la sua nota d’apertura del libro ricordando un particolare gustoso dei suoi incontri con De Angelis alla “Fondazione liberal” che è bene riportare: “Se il mio ricordo è esatto, allora ignoravo quale fosse l’interessante passato di quell’uomo dall’aspetto così giovanile. Dal 1987 sino al 1994 egli era stato consigliere politico dell’allora segretario del Partito comunista italiano, Achille Occhetto, e dal 1992 era stato anche capo dell’Ufficio stampa del partito. Di tale passato era davvero difficile percepire qualcosa allorché io lo conobbi, nel 1995, e cioè allorquando il mensile “liberal” pubblicò un mio scambio epistolare con Francois Furet, insieme al quale poi presi parte al grande convegno di Napoli del 1997, cui seguì immediatamente, e del tutto inaspettata, la morte del mio collega e amico”. Che l’interpretazione di Nolte del nazionalsocialismo e di Hitler sia stata approfondita dall’ ex consigliere politico dell’ultimo segretario del Pci testimonia a suo modo il valore della lettura dello storico tedesco.



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