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«La scintilla di un genio senza eredi. Anche oggi sarebbe dieci anni avanti»

Creato il 21 giugno 2013 da Nicola Mente

Ricordo di Andrea Pazienza / Intervista a Marina Comandini

paz 1 andrea pazienzaLe straordinarie avventure di Andrea Pazienza sfumarono in una notte di giugno del 1988, lasciando un’eredità altrettanto straordinaria a un mondo che non ha smesso mai di volergli bene. A venticinque anni dalla scomparsa, si fa i conti con un’immaginaria giovane vita pasciuta all’ombra della sua presenza, e alla luce della sua assenza. Una vita orfana di Pazienza che di Pazienza non ha mai saputo fare a meno, riconoscendolo sottovoce, talvolta. Marina Comandini, moglie di Andrea, ci ha aiutato a ripercorrere quello che è stato il ruolo di Pazienza, quel che è la sua essenza, riconoscendo quegli aspetti che rimarranno sedimentati e al contempo fecondi nell’immaginario di un paese non troppo diverso da quello ritratto nei suoi racconti illustrati, nei suoi disegni, e nella sua opera in toto.

Il fumettista Gipi ha dichiarato di aver dovuto necessariamente scrollarsi di dosso l’influenza di Andrea, onde evitare di tendere all’imitazione incosciente. Cosa è rimasto di Andrea Pazienza nell’immaginario artistico italiano, e cosa in quello satirico (sebbene il suo lavoro nel campo della satira sia meno diffuso)?

Andrea ha avuto un’enorme e assoluta influenza in tutto il campo artistico italiano. Oggi viviamo in una realtà in cui i segni lasciati dal suo lavoro sono presenti in qualsiasi aspetto della rappresentazione. Lui andava oltre, e sull’aspetto satirico la sua cronaca non si rivolgeva alla politica in senso stretto: la sua era (ed è) un’analisi della società attraverso il racconto del costume e della quotidianità. Certo è che le opere di satira sono ancora completamente attuali.

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Andrea era un cronista figurativo dell’Italia di allora. Cos’è cambiato in questo paese rispetto a quello che rappresentava?

Formalmente non molto, anche se io credo che siano cambiate le persone, nella fattispecie i giovani: allora ai ragazzi non veniva dato molto spazio, e questa è la stessa dinamica presente oggi. La differenza forse era nel fatto che la cultura, i libri, il sapere erano dei valori fondamentali. C’era una necessità più impellente di confronto e di aggregazione, motivazioni più radicate, e più profonde.

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E’ ancora possibile veicolare dissenso attraverso le arti figurative?

Nel caso di Andrea non lo chiamerei propriamente dissenso, contando che lui era  il referente di bisogni spesso non ascoltati, e di visioni della realtà che in pochi avevano preso in considerazione fino a quel momento. Il dissenso parte dal lettore, che raccoglie la fotografia del mondo così com’è,  di fronte agli occhi. Oggi, nonostante qualche bella eccezione, è diventato tutto molto più difficile, perché anche il dissenso è diventato monetizzabile.

Continuando su questo tema, Andrea diceva sempre che “il disegno deve essere sofferto”, e che la differenza  tra lui e gli altri colleghi era spesso proprio quella di “sentire” ciò che si disegnava: questo è dettato dal bisogno. Quindi, per recuperare nuove forme artistiche, dovremmo affrontare l’urgenza di ascoltare il proprio bisogno?

Credo che l’urgenza e la vocazione nell’ascoltare e nel rappresentare i propri bisogni sia ciò che distingue un artista. L’artista per me è colui che non può fare a meno di fare quello che fa, e che vive la sua opera (e la sua vita) come una sorta di missione. Oggi si può ascoltare i propri bisogni: forse è più difficile saper riconoscere chi lo fa davvero, e chi crede di farlo.

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Riconoscendo la preponderante influenza di Pazienza sul mondo dell’illustrazione, c’è qualcuno tra i contemporanei che può, se non raccoglierne l’eredità, mostrare quel qualcosa in più?

A me piace Massimiliano Frezzato. In lui rivedo qualcosa, ma soprattutto a livello di disegno. Per quanto concerne il testo, credo che quelli di Andrea siano ancora livelli molto alti e difficilmente raggiungibili: lui ha introdotto un nuovo linguaggio, nuovi modi di dire, ha rivoluzionato diversi campi artistici. Negli altri emergenti, come Zerocalcare di cui oggi si parla molto, non rivedo quella scintilla capace di tracciare nuovi sentieri, come ha fatto Andrea.

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Tutti questi elementi portano un parallelismo quasi spontaneo: Andrea Pazienza e Rino Gaetano si legano con delle affinità. La folgorante evoluzione artistica, l’uso di personali decodifiche sulla realtà, il processo di “normalizzazione” a cui sono stati sottoposti dopo la morte, la loro partecipazione distaccata in i tempi di contestazione in cui tutti si prendevano molto sul serio. Cosa ne pensa?

Andrea amava Rino Gaetano, e credo che in questo ci sia un senso: avevano un modo simile di vivere la propria esistenza, e il proprio talento.

La carriera folgorante di Andrea (con morte prematura) crede lo abbia in qualche modo preservato da una morte artistica?

Bè, Picasso ha prodotto cose eccelse fino a tardissima età, ad esempio. Lo stesso si può dire per Andrea: sarebbe sempre rimasto avanti rispetto all’epoca. Oggi siamo nel 2013? Lui sarebbe stato nel 2025. E ancora oggi amatissimo, nonostante la comprensione della sua opera sia infinita. Quando incontro persone che vengono a chiedermi la firma sui suoi libri, lo trovo bellissimo: ovviamente non per una questione personale, ma perché questi sono segnali del fatto che la sua arte attraversa e attraverserà sempre i tempi. Andrea non è una meteora: Andrea è un genio.

(Pubblicato su “Gli Altri Settimanale” del 21 giugno 2013)


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