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Lavarsi: questo è vivere!

Creato il 08 ottobre 2011 da Senziaguarna

“Nessun bagno per mille anni!” affermò indignato nell’Ottocento lo storico francese Jules Michelet nella sua opera La sorciére. Certo, aveva tutti i suoi buoni motivi per pensarlo, visto che nemmeno il palazzo di Versailles (il non plus ultra del lusso) comprendeva stanze da bagno o servizi igienici, e i capolavori dell’idraulica del suo sottosuolo servivano solo per le fontane del parco; d’altronde, lo stesso Luigi XIV fece il bagno una volta sola in tutta la sua vita, e fece trasformare la sua vasca da bagno in una fontana, convinto dalla Facoltà di medicina dell’Università di Parigi, la quale aveva un sacrosanto orrore dei bagni, considerati veicolo privilegiato di malattie.

Lavarsi: questo è vivere!

Vasca da bagno di Luigi XIV, interno dell'Orangerìe, Versailles.

Ad uno storico come Michelet, abituato alla ripugnante sporcizia dell’Età Moderna, sembrò logico che, nel Medioevo dovesse essere ancora peggio. A ciò egli attribuisce la diffusione in occidente della lebbra: “La guerra che il medioevo dichiarò alla carne e alla pulizia doveva portare i suoi frutti. Più di un santo viene esaltato per non essersi mai lavato nemmeno le mani. E men che meno il resto! La nudità d’un momento era gran peccato. I secolari seguivano fedelmente le prescrizioni del monachesimo.” (La sorciére, E. Dentu Libraire-Editeur, 1862 p. 110)
Ebbene, è falso! il Medioevo conosceva benissimo l’igiene, avendo ricevuto sia l’eredità delle terme romane sia quella dei bagni di vapore nordici, ancora oggi caratteristica della Scandinavia.
Gli aneddoti sui santi che ricorda Michelet (il caso più famoso è quello di Sant’Antonio Abate) vengono registrati appunto per la loro mostruosa eccezionalità, dato che un simile stile di vita non si richiedeva nemmeno ai monaci! Ad esempio, San Cesario, fondatore del monastero femminile di Arles nel 513 dice alle monache di lavarsi ogni volta che vorranno e ne sentiranno la necessità, e lo stesso San Girolamo rimprovera certe monache di confondere la santità con la sporcizia. San Benedetto, dal canto suo, raccomanda una certa moderazione: considera più che sufficiente che i monaci facciano il bagno una volta a settimana, ma, prima di ogni pasto, specifica, sono obbligati a lavarsi le mani. I monasteri hanno dei bagni propri, ubicati di solito vicino all’infermeria dato che sono destinati in primo luogo ai monaci vecchi o malati, e finiscono per raggiungere dimensioni impressionanti, come quelli dell’abbazia di San Gallo, in Svizzera, di età carolingia.

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Planimetria dell'Abbazia di San Gallo (VIII secolo).

E’ ovvio che, in periodi di decadenza, ci fosse il concreto pericolo che i bagni potessero diventare teatro di situazioni non propriamente adatte ad un monastero. L’ondata riformatrice che parte da Cluny a partire dall’anno Mille colpisce anche questo aspetto (pur contando l’abbazia ben dodici sale da bagno): l’abate Ugo prescrive il bagno solo due volte all’anno, a Natale e a Pasqua, e San Pier Damiani afferma che per i monaci la sporcizia è obbligatoria quanto il silenzio. Eccessi dichiarati, questi, fatti apposta per combattere un altro eccesso e per ricordare ai monaci che avevano fatto la scelta di essere “morti al mondo”; ma non si deve credere che il mondo dei consacrati associasse la pulizia alla vanità o alla lussuria. E nessuno lo può dimostrare meglio di San Tommaso d’Aquino, che, nella Summa Theologiae, parla dei bagni quando tratta dell’accidia; i teologi del Medioevo, con il termine “accidia”, non intendono tanto la pigrizia quanto la “tristezza”, ovvero quella che noi chiameremmo “depressione”; da fine psicologo, San Tommaso denuncia la tristezza come lo stato d’animo che nuoce di più alla salute, e ne indica i rimedi: il piacere, il sonno, le lacrime e i bagni. (Summa Theologiae, I-II, q. 38) I predicatori, poi, riprendono l’antico Mens sana in corpore sano di Giovenale, applicandolo alla vita spirituale: come il bagno è una pratica abituale, così devono esserlo la confessione e la messa.
Non sono solo i teologi ad occuparsi della teoria del bagno: sono anche e soprattutto i medici. Il bagno viene infatti considerato, in particolare dalla scuola medica di Montpellier, il metodo migliore per conservare la salute, a differenza della Scuola Medica Salernitana, che mette al primo posto una dieta equilibrata. I medici hanno ereditato dall’Antichità la teoria dei quattro umori: la salute cioè significa equilibrio fra i quattro umori che compongono il corpo umano, il sangue, la flemma, la bile gialla e la bile nera. Il bagno è molto apprezzato come regolatore termico, per ripristinare il giusto calore del corpo nei casi in cui si può alterare: ad esempio, negli anziani la temperatura del corpo si abbassa, dunque i bagni caldi contribuiscono a ripristinare il giusto livello di calore; al contrario, i bagni tiepidi o freddi sono raccomandati in caso di febbre, ma con qualche riserva perché troppo violenti. Soprattutto a partire dal XII secolo, si sviluppa una vera e propria trattatistica dei bagni, grazie ad autori importanti come Bartolomeo Anglico, Vincenzo di Beauvais, Arnaldo di Villanova, Aldobrandino da Siena e Michele Savonarola.
Uno dei punti maggiormente approfonditi dai medici è la pulizia dei neonati: si potrebbe quasi dire che abbiano in merito una vera ossessione. Raccomandano il bagnetto «quando il bambino è ancora addormentato, lo si deve lavare tre volte al giorno». Le bacinelle per il bagno dei neonati non mancano nemmeno nelle case dei contadini; generalmente sono ovali o circolari, fatte di listelli di legno, dentro può starci un neonato disteso. Dove ce lo si poteva permettere, potevano essere di metallo: per esempio, nelle Cronache di Jean Froissart si racconta che, quando, durante la Guerra dei Cent’anni, fu saccheggiato il castello del conte di Fiandra, venne trovata la «tinozza dove veniva lavato da bambino, d’oro e d’argento.» Nelle case più raffinate, si poteva addirittura corredare la bacinella con un baldacchino, un padiglione di tela avvolta in cima a un’asta di legno che sormontava la vasca, per proteggere il bambino dalle correnti d’aria. Nelle scene della nascita della Vergine o di San Giovanni Battista,  si vede la madre o la domestica controllare l’acqua con la mano prima di immergervi il bambino: i medici raccomandano che l’acqua sia «dolce e di moderato calore» E’ sempre necessario prendere qualche precauzione per il bagnetto: si deve sempre accendere un bel fuoco nel camino e mettervi la tinozza davanti; ci vuole un asciugamano abbastanza grande per avvolgere bene il neonato perché, uscendo dall’acqua, non prenda colpi d’aria. Gli inventari ci dicono che le asciugamani del corredino dei neonati sono quasi sempre a fondo bianco, ma a volte possono essere anche a righe o con le frange. Il motivo di questa ossessione si spiega con la teoria che, sul corpo ancora fragile e delicato dei neonati, il bagno abbia un effetto rinforzante. «Lo si bagna e lo si unge per nutrire abbondantemente la carne», sottolinea Bartolomeo Anglico, autore del De Proprietatibus Rerum, una sorta di enciclopedia che fece scuola fino al Seicento. Il primo bagno del neonato, d’altronde, è qualcosa che risale alla notte dei tempi, e costituiva, in antichità, una sorta di riconoscimento da parte della comunità familiare. Così, in epoca cristiana, questo antico rito viene associato al sacramento del battesimo, in precedenza ricevuto in età adulta: ora non è più solo dalle mucose che si libera il bambino, ma anche dal peccato originale.

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Giusto de Menabuoi, particolare dalla Nascita di S. Giovanni Battista, 1376 c.a. - Padova, Battistero.

Non sono solo i neonati a fare il bagno in una tinozza di legno: in molti inventari si trova nominato una sorta di mollettone per rivestire il fondo di legno, per evitare le schegge. La grande tinozza per il bagno è a tutti gli effetti parte integrante del mobilio della casa, e la si trova appesa nella stanza da letto, e quando la si usa la si mette vicino al camino per evitare raffreddori. Alcuni castelli o dimore aristocratiche hanno perfino un ambiente completamente riservato ai bagni: ad esempio, i registri del re di Francia Renato d’Angiò (XV secolo) nominano, per il suo castello di Angers, almeno cinque vasche da bagno; il castello di Lagopesole fatto costruire dall’imperatore Federico II, era addirittura dotato di una sauna, ottenuta attraverso una serie di condotte per le pareti e sotto il pavimento, molto simile a quello delle terme romane e dei bagni arabi, molto apprezzati dall’imperatore; lo stesso dicasi per la principesca dimora dei Rufolo, ricchissimi banchieri di Ravello. In questi casi non si badavano a spese per migliorare il comfort della stanza da bagno, ad esempio circondando la vasca di un baldacchino di velo, per una migliore conservazione del calore.

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Ricostruzione della vasca da bagno di Eleonora di Castiglia, moglie di Edoardo I d'Inghilterra (seconda metà del XIII secolo) - Leeds Castle, Kent.

Una tinozza può contenere una persona o due, a volte anche di più.
L’acqua viene scaldata nei paioli, e poi versata nella vasca.
Il sapone esiste, come ci conferma un decreto di Parigi con cui si obbliga i fabbricatori ad apporre i loro sigillo sulle saponette. Ne esistono due tipi: il sapone gallico, a base di cenere o erba saponaria o faggio, mescolata al grasso animale, preferibilmente quello di capra, semplice e alla portata di tutte le tasche; il sapone saraceno o sapone d’Aleppo, a base di olio d’oliva mescolato alla potassa con l’aggiunta di olio d’alloro, prodotto d’importazione e dunque molto costoso. Se non si dispone di sapone ci si serve di erbe come la saponaria, dai cui fiori si ottiene un succo che, nell’acqua, ottiene un “effetto bagnoschiuma”; si profuma l’acqua con erbe, fiori e sali.

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Memmo di Filippuccio, il Podestà e sua moglie al bagno - affresco dal Palazzo Comunale di San Gimignano (Siena), inizio XIV secolo.

Le cronache e i poemi cavallereschi ci informano delle abitudini dei castellani e dei borghesi: faceva parte delle più elementari regole della buona educazione far preparare il bagno a un’ospite che arrivasse dopo un lungo viaggio, o lavarsi i piedi e le mani quando si veniva da fuori. Tutto ci parla di un’alta società niente affatto rozza come certi poemetti satirici presi un po’ troppo alla lettera da alcuni storici moderni possono far credere. Non ci si accontentava di lavarsi le mani prima dei pasti, ma, per esempio durante i banchetti, amava le raffinatezze come gli sciacquadita e l’acqua profumata.

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L'abluzione delle mani prima del banchetto - Tappezzeria di Bayeux, inizio XII secolo.

Il Ménagier de Paris, un vero e proprio trattato di economia domestica scritto da un ricco borghese parigino della fine del Trecento per sua moglie, ne dà una ricetta: “Mettete a bollire della salvia, poi scolate l’acqua e fate raffreddare fino a quando è tiepida. Mettetevi, come sopra, camomilla o maggiorana, oppure mettetevi del rosmarino, e cuocete con scorza di arance. Vanno bene anche foglie di lauro”.
Dove i trattati diventano più prolissi è quando danno consigli di igiene alle donne. I medici raccomandano di lavarsi ogni mattina le mani, le braccia, la faccia, senza dimenticare le unghie e i denti, che bisogna avere “lucidi, forbiti e sfregati”: il medico salernitano Matteo Plateario (XII secolo) dà la ricetta di una polvere dentifricia a base di ossi di seppia finemente tritati con cui sfregare i denti con un panno di lino umido. Un altro problema sono le ascelle: per evitare il cattivo odore, un erbario del XIII secolo raccomanda di depilarle e di lavarle col vino mescolato all’acqua di rose e alla cannella. Ci si può sorprendere davanti a queste prescrizioni sorprendentemente moderne, come ad altre curiosità: per esempio che si usassero le foglie di verbasco come… carta igienica!

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Verbascum thapsus - il verbasco più comune.

Su questo punto le sorprese non finiscono qui: nei castelli e nelle case borghesi, ogni camera da letto non mancava mai di uno stanzino allora detto in Francese privé, longaigne o restrait, cioè quello che noi chiameremmo WC o toilette, il che vuol dire che i servizi igienici non erano familiari, ma addirittura personali! L’abbazia di Cluny ne contava almeno quaranta. Generalmente, le latrine si trovavano all’ultimo piano dell’edificio, direttamente in comunicazioni con le fogne e le fosse di scarico. Una descrizione ce la dà ad esempio Boccaccio nel Decameron, parlando della latrina in cui il disgraziato Andreuccio da Perugia, gabbato dalla cortigiana, viene fatto cadere per esser poi derubato di tutto.

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Andreuccio da Perugia gabbato dalla cortigiana - miniatura fiamminga dal Decameron, XV secolo.

Dove non ci si poteva permettere di avere servizi privati, o si usava il vaso da notte (che poi si svuotava dalla finestra), o si andava alle latrine pubbliche; ne avevano anche gli ospedali, che smaltivano i liquami attraverso sistemi come la cenere della legna, ottimo decomponente per i rifiuti organici. Vediamo le autorità cittadine preoccuparsi di migliorare il sistema fognario: il sottosuolo di Parigi era solcato da fogne coperte a volta.
Insomma, per riassumere ciò che il Medioevo pensava riguardo all’igiene, possiamo utilizzare un detto in latino allora molto diffuso:

Venari, ludere, lavari, bibere
Hoc est vivere!

Ovvero:

Cacciare, giocare, lavarsi e bere:
Questo è vivere!

Bibliografia:
Georges Vigarello, Lo sporco e il pulito. L’igiene e il corpo dal Medioevo a oggi, Venezia 1996.
Monique Closson, Propre comme au Moyen-Age, in “Historama”, n°40, giugno 1987;
Andrea Martignoni, Les bains, lieux de plaisir et de thérapie, in “Historia”, n°735, p. 22.



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