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Le mie letture – Vuoi star zitta, per favore?

Da Marcofre

Secondo Al, la soluzione era una sola. Doveva sbarazzarsi del cane senza che Betty o i bambini se ne accorgessero.

Nella quarta di copertina di questa raccolta di racconti di Raymond Carver, Richard Ford scrive che si tratta di 22 racconti tutti perfetti. Probabilmente ha ragione lui, e io non ho la capacità di scrivere recensioni (infatti questa NON è una recensione). Forse non sono tutti perfetti, ma di sicuro dimostrano una capacità (dell’autore) di cogliere i personaggi con una tale cura, e amore, da lasciare senza fiato.

È la prima raccolta di racconti di Carver. In un’intervista lui dichiarò che aveva impiegato tredici anni per arrivare alla pubblicazione. Nel frattempo aveva dovuto arrangiarsi: con un matrimonio e due figli da crescere, oltre alla necessità di lavorare, e altri guai assortiti, non c’è molto spazio per scrivere.

Come si sa, Carver era spesso accusato di scrivere storie di gente sempre impelagata nei guai. Come se non fosse (quasi) sempre così. Erano gli anni Settanta quando questa raccolta fu pubblicata per la prima volta; il 1976 per essere esatti.

C’era stato lo scandalo Watergate e la guerra del Vietnam era culminata con la caduta di Saigon. E Carver se ne esce con uno spaccato della piccola società statunitense triste, quasi in sintonia con il sentimento del suo Paese.
Eppure riesce a compiere il miracolo.

Per prima cosa, impara a usare le parole come un artigiano sopraffino. I personaggi, gli ambienti che deve raffigurare hanno diritto al meglio, a una prosa precisa e meravigliosa. Proprio perché sono considerati così “comuni” (vale a dire: meschini, e perdenti: quelli per i quali il sogno americano resterà tale), è giusto riservare loro un trattamento, un’attenzione che di solito non hanno affatto.

Lo stupore che coglie il lettore al termine della lettura di alcuni racconti (o forse tutti?) è possibile perché l’autore non ha avuto alcuna fretta e si è dedicato a celebrare le erbacce. Per dimostrare che anch’esse contengono bellezza e poesia. Ma anche se ne sono privi, esiste un attimo, una sorta di lacerazione che svela, e ci ricorda che non siamo numeri, ma esseri umani.

Poi, celebra la forza dell’individuo. In Carver non c’è solo la pesantezza del vivere tra alcol, mancanza di lavoro, tradimenti, o cose che a un certo punto cominciano a girare male, e probabilmente gireranno male per un bel pezzo.

Esiste la capacità di adattarsi, di andare avanti. C’è sempre o quasi un movimento, un guizzo che dimostra la volontà di adattarsi, senza però arrendersi completamente. Come se fosse inevitabile venire a patti con un destino feroce, che predilige colpire una volta, e poi un’altra. D’accordo, così sia: eppure i personaggi di Carver riescono a ritagliarsi un momento tutto loro. Può essere uno sviluppo improvviso (o meglio, la promessa di uno sviluppo improvviso), e non è detto che dopo sarà migliore; però c’è, godiamocelo.

Oppure un ricordo che all’improvviso torna a farci visita. Come nel finale de “I chilometri sono effettivi?”.

 

Gli torna in mente quando si è svegliato la mattina dopo che aveva comprato la macchina e l’aveva vista, là nel vialletto, che scintillava nel sole.

 

Al termine della lettura di questi racconti si ha voglia di riaprire e rileggere certe parti. Poi, un pensiero attraversa la mente. Quella vita, in fondo è quella che scorre qui accanto, adesso. Prendiamocene un po’ cura.

La versione letta da me è quella di Minimum Fax, ma sul sito dell’editore non è più disponibile, e occorre rivolgersi a Einaudi che sta ristampando tutte le opere di Carver.


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