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Lettere dalla Fuga / 3

Creato il 01 marzo 2012 da Fugadeitalenti

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Terza e ultima puntata settimanale, con le vostre risposte alla domanda: è il 2012 l’anno della “Fuga dall’Italia”? Oppure cominciate a intravedere segnali concreti di speranza, che vi spingono a rimanere e a provarci a scommettere, sul nostro Paese? Per cambiarne radicalmente la mentalità e il modus vivendi/operandi?. Grazie per averci scritto, alla casella [email protected].

Oggi è il turno di Marco Bozza, blogger che ha già contribuito -in passato- alle nostre discussioni:

L’emigrazione raffinata

Non si scopre certo l’acqua calda nel sapere che sempre più giovani -ogni anno- decidono di portare il loro essere materiale e spirituale a germogliare fuori dai confini italici. La portata di questo fenomeno migratorio gonfia sempre più i confini di un vuoto generazionale a cui il nostro Paese si sta sottoponendo con un’inezia tale, quasi si stesse assistendo a qualcosa di miracolisticamente entusiasmante. Giorno dopo giorno; settimana dopo settimana; mese dopo mese; anno dopo anno il serbatoio del sapere italiano, insieme alla competenza tecnica e manualistica, battono sul Pil di un altro paese. Siamo in presenza di un’emigrazione molto più raffinata rispetto al passato. Non si parte con la valigia di cartone ma con il trolley; non ci s’imbarca in nave ma in aereo; non si è analfabeti ma accademicamente affermati. Eppure tutti questi passaggi di sorta, che in teoria farebbero pensare ad una nuova proposizione di progresso rispetto al passato, è solo una parvenza di benessere fumoso, nulla di più.

Volendo fare una piccola classifica delle tipologia dell’emigrante raffinato, al vertice della piramide c’è il “very hard migrant”, colui che dall’oggi al domani, stanco di vivere in un labirinto senza certezze, parte sulla scorta di un impulso estemporaneo ma inconsciamente ragionato. Scendendo abbiamo l’”hard migrant”, colui che ha magari già un punto di riferimento e parte per mettere in pratica la realizzazione degli obiettivi premeditati, infine collochiamo “all sort of migrant”, tutti coloro che laureati e non, giovani e meno giovani, single o ammogliati, decidono per mille motivi di scuotersi di dosso le brutture scatenanti dall’opacità di un inquinamento sociale e culturale capace di avvizzire le migliori intenzioni.

Non è più ormai una questione di età, perché se un giovane a venti o trent’ anni decide di emigrare, lo si puo’ anche capire, in quanto si è spinti dalla voglia di imparare nuove lingue,  fare esperienze, conoscere il mondo e così via. Ma quando i bagagli li arrotola un quarantenne-cinquantenne con famiglia a seguito, che per anni ha lavorato in Italia ma alla fine si rende conto che la propria vita ha un vuoto macroscopico, allora la cosa diventa psicologicamente intrigante. Intanto però è sempre più crescente l’interesse di  siti web, dei social network, della stampa estera verso questo fenomeno che ci dipinge un po’ come la Repubblica delle Banane.

Non molto tempo fa, il Time, prestigioso magazine britannico, ha scattato la fotografia sullo stato di crisi della gioventù nostrana, che a guardarla, c’è da portarsi le mani nei capelli. Alcuni giovani che sono stati intervistati mettono in risalto -oltre alle differenze riscontrate sul fronte lavorativo- soprattutto la mentalità, il modo di gestire le risorse umane in un Paese che non vuole scommettere in nessun modo sul futuro. Qualcuno ha provato a rientrare dopo diversi anni fuori ed è stato costretto a ripartire, per non perire. Per cui ben si comprende come la partenza spesso non sia un hobby, ma sia il frutto di quel caos dentro che -per forza di cose- deve proiettarti in un altro angolo per non perire nell’inquietudine e nelle amarezze trasudanti da un sistema liquido ed artefatto.

Un giovane architetto scrive:” in Italy my résumé had drawn no interest; in Dubai I was quickly promoted”. Una ragazza laureata in economia, dopo aver speso alcuni anni in Cina, essendo tornata in Italia e non avendo trovato nulla, decide di ripartire asserendo: “I gave Italy a second chance, but Italy may not have many more chances to preserve its most precious resource”. L’aspetto più inquietante che emerge è che anche molti politici, imprenditori, gente insomma che detiene il potere, manda i propri figli all’estero, perché hanno perfettamente la consapevolezza che qui, come ripete Celentano in una canzone, la “situazione non è buona”. Che cosa succede quindi nel momento in cui chi è deputato al cambiamento del Paese manda i figli fuori, a costruirsi un futuro diverso? Succede che si leggono frasi di padri famosi che recitano: “this country, is no longer a place where it’s possible to stay with pride, That’s why, with my heart suffering more then ever, my advice is that you, having finished your studies, take the road abroad”.

Sicuramente è possibile che qualche lettore non sia d’accordo, tenderà ad avanzare critiche, adducendo a ragione i classici luoghi comuni quali ad esempio “non pensiate che altrove sia meglio”  o robe di questo tipo. Forse avrà anche ragione, perché in fondo tutte le opinioni sono rispettabili. Però solitamente chi fa questo tipo di ragionamento, è perché il proprio equilibrio l’ha trovato, e come si dice in gergo, chi è sazio non puo’ credere al malessere di chi versa in condizioni di digiuno. E siccome sono in molti a minimizzare, la fuga sarà sempre più incessante“.

Marco Bozza

http://marcobozza.blogspot.com/

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